Le leggi romane coprivano tutti gli aspetti della vita quotidiana. Si occupavano di criminalità e punizione, di proprietà terriera e diritto di proprietà, di commercio, di industrie marittime e agricole, di cittadinanza, sessualità e prostituzione, di schiavitù e manomissione, di politica, di responsabilità per danni alla proprietà e di conservazione della pace. Oggi, possiamo studiare queste leggi grazie agli antichi testi legali, alla letteratura, ai papiri, alle tavolette di cera e alle iscrizioni.
Il diritto romano venne istituito attraverso una varietà di mezzi, tra cui statuti, decisioni magistrali, editti degli imperatori, decreti senatoriali, votazioni assembleari, plebisciti e deliberazioni di esperti consulenti legali, diventando così vario e flessibile a sufficienza per poter affrontare le mutevoli circostanze del mondo romano, dalla politica repubblicana a quella imperiale, dal commercio locale a quello nazionale, e dalla politica statale a quella interstatale.
Fonti storiche
Una delle fonti più importanti sul diritto romano è il Corpus Iuris Civilis che, compilato sotto gli auspici di Giustiniano I, riguarda - come suggerisce il nome - il diritto civile. Uno dei suoi quattro libri, il voluminoso Digesto, affronta tutti gli aspetti del diritto pubblico e privato. Il Digesto fu prodotto nel 533 d.C. sotto la supervisione di Triboniano ed è una panoramica di circa 2.000 distinti volumi legali. Queste fonti originali furono redatte da noti giuristi o esperti legali come Gaio, Ulpiano e Paolo, e rendono il Digesto uno dei più ricchi testi sopravvissuti dall'antichità, poiché al suo interno è custodito un tesoro di incidentali informazioni storiche, utilizzate per illustrare i vari aspetti legali, che variano dall'aspettativa di vita fino ai dati fiscali.
Altre raccolte di leggi includono il Codex Gregorianus del III secolo (promulgato intorno al 292 d.C.) e il Codex Hermogenianus (emesso nel 295 d.C.), intitolati entrambi a importanti giuristi durante il regno di Diocleziano e che comprendono collettivamente oltre 2.500 testi. C'è anche il Codice Teodosiano, una raccolta di oltre 2.700 leggi compilate nel 430 d.C. e aggiunte negli anni successivi e, infine, il Codex Iustinianus (528-534 d.C.), che riassumeva ed estendeva i codici più antichi.
Poi, ci sono anche specifici tipi di documenti legali sopravvissuti dall'antichità, come i documenti sui negotia, che rivelano transazioni commerciali di ogni tipo, dagli affitti e dai contratti di locazione ai contratti che delineavano il trasferimento di proprietà. Anche le iscrizioni possono rivelare leggi e implicazioni delle stesse, atteso che, poste su monumenti pubblici, pubblicizzavano nuove leggi o ringraziavano per le vittorie di corte coloro che avevano aiutato la fazione coinvolta.
Fonti del diritto
Il diritto romano era di natura cumulativa, nel senso che una nuova legge poteva essere aggiunta al corpus giuridico o sostituire una legge precedente. Statuti (leges), plebisciti, decreti senatoriali (decreta), giurisprudenza (res iudicatae), consuetudini, editti (senatusconsulta) dell'Imperatore, dei magistrati o di altri funzionari superiori - come i pretori e gli aediles - potrebbero esser tutti delle fonti del diritto romano.
Nella tradizione, la prima fonte del diritto romano furono le Dodici Tavole, che sopravvivono solo come citazioni nelle fonti successive. A séguito dell'iniziativa di raccogliere in un unico luogo le leggi civili (ius civile) della prima Repubblica e porre fine al dominio esclusivo della classe sacerdotale e patrizia in materia di diritto, fu redatto un codice di diritto che disciplinasse i rapporti tra i cittadini, distinto da quello sacro (ius sacrum). Questo documento era in realtà una raccolta di sentenze riguardanti i diritti dei cittadini, solo in quanto tutte le altre parti erano sotto la giurisdizione legale del capofamiglia maschio (pater familias), che aveva una notevole libertà nel trattamento di coloro a lui affidati, che fossero liberi o schiavi.
Le Dodici Tavole divennero di utilità limitata quando sorsero questioni legali che quelle non coprivano; ad esempio, col diffondersi dell'attività commerciale, si rese necessario fornire una copertura legale alle transazioni e agli affari tra cittadini e non cittadini, e disporre di leggi che considerassero il comportamento e l’intenzione delle parti coinvolte. Questi rapporti divennero il fulcro di contratti e accordi, come la stipulatio e, da circa il 242 a.C., le controversie erano presiedute da un magistrato speciale (praetor peregrinus), competente in controversie legali che coinvolgevano gli stranieri, nonché nei rapporti tra Roma e gli Stati esteri, ossia il diritto internazionale (ius gentium).
Nella Repubblica, erano maggiormente enfatizzati gli adeguamenti delle leggi esistenti, operati dai magistrati (ius honorarium), piuttosto che le creazioni di una legge completamente nuova. Ciò avvenne in particolare per l'annuale Editto del Pretore (codificato dal 131 d.C.), con cui vennero delineati i tipi di casi ammissibili, le difese e le eccezioni, e si effettuò una valutazione della politica legale dell'anno precedente, apportando di conseguenza le necessarie modifiche legali. Questo era il modo tramite cui le leggi venivano modificate, mentre la legge stessa rimaneva invariata; così, si accumulava una serie di formule di causa, per dar maggiore copertura giuridica alla situazione in continua evoluzione della società romana. Ad esempio, si sarebbe potuto aumentare il valore di una multa, per tenere il passo con l'inflazione, ma il principio legale della sanzione per un determinato reato rimaneva invariato. Così anche altri funzionari, come i governatori e i tribunali militari, potevano "interpretare" la legge e applicarla al caso concreto, in base a una data e particolare circostanza individuale.
Nell’epoca imperiale l'imperatore assunse un ruolo attivo in materia legale, soprattutto in risposta alle petizioni private (libelli), ma in genere agiva su consiglio dei più qualificati per giudicare questioni legali, vale a dire i giuristi (vedi sotto). Forse l'esempio più famoso di un imperatore che creò una nuova legge fu l'editto di Caracalla del 212 d.C., che concedeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell'impero. L'imperatore operava anche quale giudice, quando c'erano conflitti tra il diritto romano e il diritto locale delle province, che veniva generalmente mantenuto intatto e, almeno in teoria, il problema fu eliminato con l'editto di Caracalla. In pratica, le leggi locali sopravvivevano come consuetudini e generalmente non venivano riformate, a meno che non offendessero la sensibilità romana, come ad esempio quelle riguardanti l'incesto e la poligamia.
Dal regno di Adriano, i giudizi e le dichiarazioni dell'Imperatore furono raccolti nelle constitutiones princips, le costituzioni dell'Imperatore. Inoltre, il Senato poteva anche emanare provvedimenti normativi (senatus consulta), ad esempio in materia di giochi pubblici o di diritti ereditari delle donne. La legge statutaria stabilita dal popolo tramite assemblee pubbliche (comitia), sebbene in rare occasioni, poteva anche contribuire al corpus legale, ma era generalmente limitata a questioni cerimoniali, come la decisione sugli onori postumi da attribuire ai figli di imperatori morti prematuramente.
Durante il regno di Costantino I, i pronunciamenti imperiali venivano spesso promulgati tramite il questore dell'imperatore, e il linguaggio utilizzato all'interno di questi divenne sempre meno tecnico, questione spesso citata come l'inizio della "volgarizzazione" del diritto romano. Tuttavia, in realtà, le scuole di diritto fiorirono effettivamente e gli esperti legali erano ancora a disposizione - sia del questore, sia del pubblico -, per deliberare sui più sottili punti del diritto, lasciati ambigui da questo nuovo approccio meno tecnico alla formulazione della legislazione.
Un elemento importante del diritto romano erano i giuristi (iurisprudentes), che sottoponevano leggi, norme e istituzioni scritte alla discussione e alla speculazione intellettuale, per estrarne i principi giuridici fondamentali in essi contenuti, che poi applicavano e verificavano su ipotetici casi specifici, per poi applicarli alla nuova legislazione. I giuristi erano un corpo d'élite, poiché probabilmente ce n'erano meno di 20 in ciascun momento storico, e la loro qualificazione per il ruolo era data dalla loro approfondita conoscenza del diritto e della sua storia. In epoca imperiale, essi furono inglobati nella burocrazia generale al servizio dell'imperatore. I giuristi avevano anche una sorta di monopolio sulla conoscenza giuridica, poiché l'opportunità di studiare il diritto - quale parte del consueto curriculum educativo - non fu possibile prima della metà del II secolo d.C. I giuristi scrissero anche dei trattati legali, tra cui uno dei più influenti fu quello «Sul diritto civile» (De Iure Civili), di Q. Muzio Scevola, nel I secolo a.C.
Sebbene i giuristi provenissero spesso dalle alte sfere della società e, forse inevitabilmente, fossero interessati alle questioni di maggiore rilevanza per quell'élite, nelle loro deliberazioni si occupavano anche di due princìpi sociali fondamentali: l’equità (aequitas) e la praticità (utilitas). Inoltre, a causa del loro monopolio intellettuale, i giuristi erano molto più indipendenti dalla politica e dalla religione, rispetto a quanto accadeva normalmente nelle società antiche. Tuttavia, dal III secolo d.C., il sistema dei giuristi fu sostituito da un intervento più diretto di coloro che governavano, in particolare dallo stesso imperatore. A poco a poco, crebbe il numero dei giuristi, che divennero più simili agli avvocati moderni, per esser consultati da chiunque avesse bisogno di una consulenza legale. Tuttavia, a differenza degli avvocati moderni, e almeno in linea di principio, costoro offrivano gratuitamente i loro servizi.
Aspetti pratici
In pratica, molto spesso il contenzioso veniva evitato dalle controparti giurando o mediante un insiurandum ma, quando non si riusciva a pervenire in tal modo a una conciliazione, seguiva l'iter giudiziario da parte dell'attore, che convocava in giudizio il convenuto (iudicia publica per le cause civili; quaestiones per quelle penali). La prima fase della maggior parte dei processi legali si svolgeva quando le parti coinvolte si presentavano dinanzi a un magistrato, che determinava la questione legale in questione oppure respingeva il caso quale questione di intervento legale (denegatio actionis), o ancora nominava un funzionario (iudex datus) che ascoltasse e giudicasse il caso. Quando entrambe le parti acconsentivano alla valutazione del magistrato, veniva tenuta udienza dinanzi al iudex, che prendeva una decisione a nome dello Stato. L'attore e il convenuto dovevano presentarsi all'udienza, in quanto il loro non era un sistema di rappresentanza legale. Se il convenuto perdeva una causa civile, c'era una condemnatio che lo obbligava a pagare una somma di denaro (litis aestimatio), tipicamente decisa dal iudex, che poteva coprire il valore originario dei beni o il danno subìto dall'attore.
Le sanzioni per i reati erano concepite come deterrenti, piuttosto che come misure correttive, e potevano comprendere multe (multae), carcere, castigo, confisca dei beni, perdita della cittadinanza, esilio, lavori forzati o la pena di morte (poena capitis). Le sanzioni potevano anche variare in ragione dello status dell'imputato e secondo che costui fosse maschio, femmina o schiavo. Forse non sorprende che i maschi di status sociale più elevato di solito ricevessero sanzioni più miti. La gravità della sanzione poteva anche dipendere da fattori quali la premeditazione, la abitualità, la provocazione o l'influenza dell'alcol.
In molti casi, specialmente quelli civili, se un convenuto moriva prima che il procedimento fosse concluso, l’erede di questo avrebbe potuto essere obbligato a rispondere in luogo del convenuto originario. Nel diritto romano dell’epoca repubblicana, non era previsto un vero e proprio mezzo di ricorso ma, nel periodo imperiale, le parti insoddisfatte potevano appellarsi all'imperatore o all'alto funzionario, al fine di far annullare o revocare la decisione originaria. Tuttavia, eventuali ricorsi privi di fondati motivi potevano comportare una sanzione a carico del ricorrente.
Conclusioni
Forse uno dei maggiori vantaggi del diritto romano e dei suoi ordinamenti giuridici era quello per cui, man mano che l'impero cresceva e le popolazioni diventavano sempre più diversificate, il diritto e la sua protezione nei confronti dei cittadini agivano come forza vincolante sulle comunità e promuovevano l'aspettativa che i diritti dei cittadini (e, col tempo, anche i diritti dei non-cittadini) sarebbero stati difesi ed era in atto un sistema per riparare agli illeciti. Inoltre, i romani ci hanno tramandato non solo molti termini giuridici, ancor oggi utilizzati nel campo del diritto e delle scienze giuridiche, ma anche la loro passione e competenza per una terminologia giuridica precisa e corretta, al fine di evitare ambiguità o addirittura interpretazioni errate del diritto – e questo, ancora una volta, è un approccio che tutti i moderni documenti legali tentano di emulare.