Il simposio (gr. συμπόσιον; σύν "insieme" e πόσις "bevanda") fu importante fenomeno culturale della società greca dal VII a.C. e consisteva in un convivio tenuto presso una dimora privata al quale gli uomini si ritrovavano onde bere, mangiare e cantare insieme ma anche onde discutere di diversi argomenti quali filosofia, politica, poesia e attualità. Al simposio fanno ampio riferimento la letteratura e il teatro greco, e le arti figurative lo rappresentarono di sovente nella decorazione ceramica.
Il simposio era aperto ai soli uomini greci, e le uniche donne ammesse erano le etere (hetairai, ἑταίραι), figure assimilabili a prostitute/cortigiane d'alta classe, intrattenitrici versate in musica (specialmente nel suonare l'aulos, il flauto), in danza e ginnastica, e nelle discussioni culturali. L'attività veniva principalmente praticata e apprezzata dal ceto più abbiente della società greca, gli aristoi; e, in quanto tale, costituiva anche mezzo di rinsaldamento e autorappresentazione di uno status condiviso e del legame culturale caratterizzante l'élite della polis (la città-stato).
I partecipanti, detti simposiasti, si ritrovavano presso la dimora privata di un membro del gruppo, e si adagiavano stesi su lettini (klinai, κλῖναι) in una stanza appositamente dedicata: l'andron (ἀνδρών). I lettini imbottiti erano generalmente tra i sette e gli undici, ed erano disposti intorno le pareti della stanza onde permettere a tutti i partecipanti di essere gli uni di fronte gli altri. Veniva inoltre eletto a sorte un simposiarca che presiedesse e sovrintendesse alla proporzione d'acqua e vino da mescere, alla quantità di vino da servire, ai brindisi, ai giochi o gli argomenti, alle regole in generale. Sembra che la formalità dell'occasione variasse, con alcuni simposi constare discussioni filosofiche di livello e altri non essenti che mere sbevazzate.
Dopo aver mangiato, bevuto, e versato libagioni (spargimento rituale del vino), era consuetudine gli ospiti si dilettassero in giochi, nell'ascolto e nell'esecuzione di musica (specialmente su lira), nel racconto di storie — o si attardassero discutendo di politica, di attualità, dandosi consigli circa gli affari d'ogni giorno, e, insomma, godendosi la vicendevole compagnia. La declamazione di versi era altro intrattenimento comune — in particolare citando dalle opere dei poeti lirici Alceo, Anacreonte, Archiloco e Teognide; ma gli stessi ospiti erano incoraggiati a dar sfoggio delle proprie qualità poetiche e comunque intellettuali, anche attraverso improvvisazioni e motteggi spiritosi. Si seguitava a bere lungo tutta la serata, servendosi a turno della stessa coppa fatta passare in giro (kylix, κύλιξ). Anche improvvisarsi nel canto era intrattenimento popolare — ad esempio esibendosi in scolii (gr. σκόλιον, pl. σκόλῐα), canzoni intonate a turno da ogni simposiasta consuetudinariamente in senso antiorario, o silli (gr. σίλλος, pl. σίλλοι), canzonacce satiriche o comiche. Occasionalmente, il corteo di compari di baldoria (kòmos, κῶμος) proseguiva la festa in istrada, cantando e danzando, con certo dispiacere del vicinato.
Il simposio era un'ambientazione popolare per la letteratura e il teatro greco. Le commedie di Aristofane Le Vespe e Lisistrata includono ad esempio scene di simposi. Platone dedicò alla pratica l'intero omonimo dialogo: ambientato nel 416 a.C., in esso Socrate, Aristofane, Agatone, Alcibiade, e altri personaggi storici s'incontrano onde festeggiare il successo di una tragedia di Agatone, e finiscono col discutere fino al mattino del significato dell'amore. Socrate conclude che la più alta forma d'amore è l'amore per la vera bellezza — bellezza nella sua accezione ideale, immutabile e perfetta. Dal testo apprendiamo inoltre anche qualcosa circa il rito, per così dire, seguito dagli invitati/personaggi del simposio: leggiamo di Socrate che si veste bene per l'occasione e calza addirittura dei bei sandali, a indicazione dell'importanza sociale del simposio in questione; presso la casa di Agatone, gli ospiti si distendono sulle klinai e cenano, offrono libagioni agli dèi, cantano un inno, e infine si lanciano in una discussione succulenta accompagnata dal vino versato.
Di là dal dialogo omonimo in sé, Platone appoggia il simposio e ne promuove i benefici anche nelle Leggi (sua ultima e più lunga opera), dove la pratica è assurta a mezzo di disamina e incentivo delle virtù dei cittadini. Anche Senofonte scrisse un dialogo socratico (ambientato nel 421 a.C.), dal titolo Simposio, in cui Socrate ed altri discutono l'oggetto dei loro più grandi orgogli.
La raffigurazione di scene da simposi era considerevolmente popolare sulla ceramica a figure rosse e a figure nere, e particolarmente sul fondo delle kýlikes — una scelta decorativa ovvia, considerato l'uso di queste per attingere e bere vino ai simposi, così come ne era funzionale la forma, tale da facilitarne il sollevamento da terra da chi era steso sui lettini.