La lingua degli etruschi, come il popolo stesso, è rimasta in qualche modo misteriosa e deve ancora essere completamente decifrata. L'alfabeto utilizzava caratteri greco occidentali, ma la lingua ha presentato difficoltà agli studiosi perchè non è correlata alle lingue contemporanee indo-europee e gli esempi sopravvissuti di questa sono largamente limitati ad iscrizioni molto brevi, la maggior parte delle quali essendo nomi propri. Lettere, pronuncia, struttura generale delle frasi e molti nomi propri sono in genere compresi, ma il significato di molti altri vocaboli che non possono essere dedotti dal contesto, parole prese in prestito da altre lingue, e l'apparizione in testi paralleli, ecc. rimangono il più grande ostacolo alla decifrazione completa della lingua. Ciò che è maggiormente chiaro dal vasto numero di iscrizioni sopravvissute è che un'alfabetizzazione limitata era relativamente comune, anche tra le donne, ed era diffusa nell'intera Etruria.
Origini e Fonti
L'etrusco era una lingua relativamente isolata non collegata con le lingue indo-europee dell'Italia, e con solo due lingue conosciute e con solo due lingue correlate conosciute considerate di derivazione dalla stessa fonte madre in comune. Queste sono il retico, parlato nella regione alpina a nord di Verona, e la lingua parlata Lemno prima del greco, entrambe con esempi di testi sopravvisuti molto limitati, e con la seconda derivata probabilmente da commercianti etruschi. Pare che lo storico del I° secolo a.C. Dionisio di Alicarnasso era del tutto giustificato nel rivendicare che gli etruschi fossero "un popolo molto antico rassomigliante a nessun altro quanto a lingua ed stili di vita" (Heurgon, 1). L'etrusco era parlato in tutta l'Etruria, equivalente all'Italia centro-occidentale da Roma al sud fino alla valle del fiume Po nel nord dove gli etruschi fondarono delle colonie.
Vi sono oltre 13,000 singoli esempi di testi etruschi, che coprono il periodo principale della civilità dall'8° al 1° secolo a.C. I più sono della stessa Etruria, ma vi sono fonti aggiuntive dall'Italia meridionale e settentrionale, dalla Corsica, e dal nord Africa. I testi prendono la forma di, in maggioranza brevi e spesso frammentari, iscrizioni su ceramiche e tavolette di metallo o di pietra. Tra le più importanti ed utili sono le tre tavolette in lamina d'oro di Pyrgi, il porto di Cerveteri, che contenevano le medesime informazioni (anche se in contesti differenti) sia con alfabeto etrusco che con quello fenicio. Scoperte tra le fondamenta di un tempio e datate al 500 a.C. c., esse contengono una dedica di un'area sacra ad Astarte ed una volte erano state probabilmente affisse alla parete del tempio.
Opere artistiche ed oggetti di uso quotidiano quali specchi, armi ed armature, specialmente quelle lasciate come offerte votive in santuari sono un'altra fonte. Un esempio tipico di questi brevi frammenti di testo è il seguente, da una piccola fiaschetta in terracotta:
Aska mi eleivana, mini mulvanike mamarce velchana
(Io sono una bottiglia di olio e Mamarce Velchana mi ha donata)
Ceramiche, urne funerarie e pitture murali in tombe, frequentemente sono anche accompagnate da brevi iscrizioni. Sfortunatamente, vi sono molto pochi documenti lunghi sopravvissuti e nessun libro scritto dagli etruschi nella loro lingua, anche se è assodato che gli etruschi creavano libri fatti di pagine in lino (liber linteus), e gli estratti che sopravvivono conducono ad una ricca letteratura etrusca. Un esempio, di circa 1,500 parole, il testo più lungo esistente, sopravvive indirettamente ed incompleto, utilizzato per bendare una mummia egiziana sita nel Museo Nazionale di Zagabria. Esso descriveva le diverse procedure rituali e le cerimonie previste dal calendario in uso nella religione etrusca.
A volte gli archeologi sono fortunati ed un'unica scoperta si rivela preziosa - in questo caso, una piccola tavoletta d'avorio del 7° secolo a.C. da Marsiliana d'Albegna che era stata usata come una tavoletta in cera per scrivere ed aveva l'alfabeto al completo inciso di lato, senza dubbio, quale aiuto per la memoria del suo proprietario. Un'altra grande scoperta è stato una ceramica di galletto in bucchero a Viterbo che pure aveva un alfabeto completo inciso sulla sua superficie.
Una seconda fonte indiretta sono i glossari di scrittori greci e latini che hanno tradotto elenchi di vocaboli etruschi nelle loro rispettive lingue. Un'altro importante supporto ai linguisti è l'utilizzo di parole in prestito da una seconda lingua, e qui il latino ed il greco sono nuovamente d'aiuto. Infine, il contesto archeologico di scrizioni può fornire informazioni utili al loro signigicato generale.
Alfabeto e Struttura
L'alfabeto etrusco venne adottato da uno greco occidentale, con tutta probabilità intodotto da commercianti (dell'isola) di Euboea qualche tempo prima del 700 a.C., e qui la sua pronuncia è generalmente conosciuta. A contatto con i greci, nuovi vocaboli erano necessari per nuovi oggetti che arrivavano nel mondo etrusco, e questi mostrano una similitudine marcata agli originali greci. Per esempio, ceramica veniva importata in Etruria in gandi quantità, e vasellame particolare come la caraffa greca o la coppa con gambo a doppio manico, il prochous ed il lekythos, divennero, rispettivamente, pruchum e lechtum. Tale assimilazione si vede nuovamente nella mitologia dove figure a greche vengono dati nomi etruscanizzati, es. Aias od Ajax diventa Eivas ed Eracle od Ercole diventa Ercle.
L'alfabeto etrusco aveva 26 segni, ma alcuni non erano utilizzati; questi erano greci senza un suono corrispondente nell'etrusco parlato (es. beta, gamma, delta ed omicron). Similmente, alcune lettere vennero aggiunte per coprire suoni etruschi non presenti in greco (es. 8 per il suono "F"). Vi erano solo quattro vocali (a, e, i, u) e, con il predominio dell'accento delle parole che cadeva sulla prima sillaba, alcune brevi ed interne vennero abbandonate a partire dal 5° secolo a.C., dando luogo così a frequenti gruppi di consonanti. I testi venivano letti da desta verso sinistra, anche se testi più lunghi potevano prendere una direzione alternata ad ogni riga (scrittura bustrofedica).
C'è un'indicazione dell'uso del tempo verbale, ma non sono state ancora identificate caratteristiche come indicatori di differenze nei nomi numeri. La struttura delle frasi resta poco chiara, ma sembra prevalere una sequenza soggetto-oggetto-verbo. La lacuna maggiore nella conoscenza linguistica dell'etrusco è il vocabolario in quanto solo 200 parole che non sono nomi propri sopravvivono. Per questa ragione, non è inconcepibile che ulteriori scoperte archeologiche allargheranno questo lessico per dare ai linguisti una maggiore possibilità di comprendere pienamente l'etrusco.
Eredità
Gli Etruschi, nel colonizzare parti dell'Italia settentrionale, diffusero il loro alfabeto, tra gli altri, a Veneti, Reti, e Lepontini. Essi commerciarono anche con popolazioni dell'altro versante delle Alpi, e cosi trasmisero il proprio alfabeto e la propria lingua a tribù germaniche che avrebbero portato allo sviluppo della scrittura runica del nord Europa.
Gli etruschi vennero conquistati dai romani nel 2° e 1° secolo a.C., e molta della loro cultura assimilata in nuovi stili romani. L'etrusco scomparve gradualmente come lingua quotidiana, sostituita dal latino che si trova su iscrizioni di monumenti di quel periodo, ma pare che sia sopravvissuta in contesti più formali in quanto inni del Tirreno vengopno riferiti dall'autore latino del 1° secolo d.C. Lucrezio, e si sa che alcuni riti religiosi ed alcuni praticanti sopravvissero fino al periodo imperiale quando verosimilmente venivano ancora utilizzate formule e frasi etrusche. Inoltre, così come i romani continuarono alcune pratiche culturali degli etruschi anche i latini adottarono molti vocaboli dalla lingua della prima grande civiltà dell'Italia. Infine, vi sono coloro che vedono nella famosa pronuncia aspra toscana, o gorgia toscana, degli attuali italiani in tale regione come una eredità dei loro antenati etruschi.