Scilla e Cariddi erano mostri della mitologia greca, abitanti dello Stretto di Messina, lo stretto di mare tra la Sicilia e l'Italia continentale. Predatrice di marinai di passaggio, Scilla era una terribile creatura con sei teste e dodici gambe, mentre Cariddi - che viveva sul lato opposto dello stretto - era un mostro che, con il tempo, si trasformò nell'immaginario degli antichi in un più razionale, ma non meno letale, mulinello. Odisseo, come è noto, dovette negoziare un passaggio attraverso le loro grinfie mortali nell'Odissea di Omero.
Scilla
Secondo Esiodo, Scilla (o Schille) era figlia di Ecate, legata alla Luna e agli Inferi, ed in particolare a feroci segugi. Omero, tuttavia, individua come madre di Scilla Crateide. Suo padre è il dio del mare Forco, ma potrebbe anche essere Tifone, Tritone o Tirreno, tutte figure legate al mare. Secondo una tradizione successiva, Scilla sarebbe stata una bella mortale che ebbe trasche amorose con Poseidone, Minosse di Creta ed il dio del mare Glauco, finché fu trasformata in un mostro dalla strega Circe o dalla consorte di Poseidone - la ninfa marina Anfitrite - a causa della gelosia. La giovane fu colta di sorpresa mentre faceva il bagno, e quando le erbe magiche vennero gettate nell'acqua, si trasformò in una creatura orrenda.
Scilla, il cui nome significa 'colei che dilania' o 'cane', poteva solo emettere suoni simili al latrato di un cucciolo di cane, ma aveva ben altre qualità, dotata di sei gambe e sei teste che spuntavano da varie parti del corpo, ognuna con tre file di denti feroci, così che il suo morso era decisamente peggiore del suo abbaiare. Vivendo in una caverna in cima alle scogliere dello stretto, Scilla aspettava che le sue ignare prede - pesci, delfini e uomini - passassero per la sua strada per poi far scattare una delle sue teste e trascinare la vittima nella sua tana dove sarebbe stata schiacciata e divorata. Omero così descrive questa terrificante creatura:
E sino ad un Dio, che a lei si fesse,
Non mirerebbe in lei senza ribrezzo.
Dodici ha piedi, anterïori tutti,Sei lunghissimi colli, e su ciascuno
Spaventosa una testa, e nelle bocche
Di spessi denti un triplicato giro,
E la morte più amara in ogni dente.
Con la metà di sè nell’incavato
Speco profondo ella s’attuffa, e fuori
Sporge le teste, riguardando intorno,Se delfini pescar, lupi, o alcun puote
Di que’ mostri maggior, che a mille a mille
Chiude Anfitrite ne' suoi gorghi, e nutre.(Odissea, 12: 118-128)
Omero, ancora una volta attraverso la voce di avvertimento di Circe, descrive anche la scogliera su cui Scilla vive:
Vedrai da un lato discoscese rupi...
e fosca nube il cinge
Nè su l’acuto vertice, l’estate
Corra, o l’autunno, un puro ciel mai ride.Montarvi non potrebbe altri, o calarne,
Venti mani movesse, e venti piedi:
Sì liscio è il sasso, e la costa superba.Nel mezzo volta all’Occidente, e all’Orco
S’apre oscura caverna, a cui davanti
Dovrai ratto passar: giovane arciero,
Che dalla nave disfrenasse il dardo,
Non toccherebbe l’incavato speco...Nessun equipaggio può vantarsi
Di aver mai navigato indenne davanti a Scilla...
Scilla non è nata per la morte:
È una cosa terrificante, intrattabile,
Feroce e impossibile da combattere”.
(ibid, 12:75-120)
Nel III secolo a.C. il tragediografo greco Licòfrone racconta di una tradizione secondo cui ella fu uccisa dall'esperto nell'uccisione di mostri - Ercole - e non si conoscono altre versioni sul destino di Scilla. Scilla appare sulle monete del V secolo a.C. sia di Cuma che Akragas (oggi Agrigento, in Sicilia) e su numerosi vasi di coccio a figure rosse risalenti al V-IV secolo a.C., in particolare quelli della ceramica a figure rosse dell'Attica e dell'Italia meridionale. È solitamente raffigurata come una sorta di sirena con teste di cane che spuntano dalla vita.
Cariddi
Mostro dalla descrizione ignota, si credeva che Cariddi fosse figlia di Poseidone e Gea (Terra) e che vivesse sul versante dello stretto opposto a Scilla. Vi fu gettata dopo essere stata colpita dalla saetta di Zeus, probabilmante come pulizione per il suo carattere bramoso. Razionalizzata in un mulinello o un gorgo, si riteneva che le sue acque aspirassero ed espellessero tre volte al giorno. La forza di questa turbolenza era tale che nessuna nave poteva sopravvivere alle attenzioni di Cariddi.
Odisseo
Nell'Odissea di Omero, le vorticose acque di Cariddi distrussero la nave dell'eroe Odisseo durante il suo ritorno dalla Guerra di Troia. Avendo appena superato alle sirene, la nave, nel tentativo di aggirare Cariddi, si avvicinò un po' troppo alla tana di Scilla. Sei membri dell'equipaggio di Odisseo - i migliori sei - furono afferrati dalle sei teste di Scilla mentre affrontavano le acque turbolente dello stretto. La nave superò le vittime ancora urlanti e riuscì ad attraversare il passaggio, ma la fuga fu solo temporanea.
Approdando in Sicilia, gli uomini di Odisseo ignorarono le stringenti istruzioni e cucinarono parte del bestiame sacro di Iperione. Come punizione, Zeus inviò una tempesta ed una delle sue saette che distrusse l'albero maestro, uccidendo il timoniere nella caduta. La nave era distrutta, l'equipaggio annegato, e solo Odisseo sopravvisse legando tra loro detriti galleggianti. Gli dei non avevano ancora finito con lui, tuttavia, in quanto un'altra tempesta sopraggiunse e trasportò l'eroe dritto verso Cariddi. Odisseo fu scaraventato tra le onde finché riuscì a fuggire aggrappandosi al ramo sporgente di un fico selvatico. Attese quindi che le acque lo sputassero fuori e lo portassero in salvo insieme al relitto della sua nave. Dopo nove giorni alla deriva la sua fortuna cambiò ed approdò sull'isola di Ogigia, dove l'amorevole Calipso lo aiutò a riposare ed a riprendersi per i successivi sette anni.