Ricco di risorse naturali, il Brasile è stato di gran lunga la colonia più importante dell'Impero portoghese e, a seconda del periodo, il maggior produttore mondiale di zucchero, diamanti e tabacco. La colonizzazione iniziò a partire dagli anni Trenta del Cinquecento con la fondazione di insediamenti sulla costa e successivamente si passò allo sfruttamento anche delle aree interne, inasprendo ancora di più il conflitto con gli amerindi.
A causa dell'importazione di un numero enorme di schiavi africani, la società brasiliana diventò multiculturale, pur restando dominata dai bianchi di origine europea. Anche se dovette affrontare ripetutamente gli attacchi militari ed economici di francesi, olandesi e britannici, il Portogallo riuscì a tenersi la più preziosa delle sue colonie fino al momento in cui il Brasile non divenne indipendente nel 1822.
Gli europei scoprono il Brasile
Vasco da Gama (1469 circa-1524) effettuò la famosa spedizione oltre il Capo di Buona Speranza verso l'India nel 1497-1499, dando ai portoghesi l'accesso al commercio delle spezie asiatiche. Grazie a quest'impresa, il Portogallo creò un impero di basi commerciali che andava dall'Africa orientale fino al Giappone. Una delle conseguenze più significative dell'epico viaggio di da Gama fu la scoperta del Brasile dall'altra parte del mondo. Egli fu il pioniere di una nuova rotta che sfruttava i venti favorevoli per inoltrarsi nelle acque dell'Atlantico meridionale. Si trattava di una strategia molto rischiosa che prevedeva la navigazione in alto mare, allontanandosi dalle consuete rotte sotto costa. Nel marzo del 1500 Pedro Álvares Cabral tentò di ripetere l'impresa di da Gama ma si spinse troppo a ovest e "scoprì" accidentalmente il Brasile, anche se c'è la possibilità che i portoghesi avessero pianificato la spedizione, dato che mantenevano un riserbo assoluto sulle loro operazioni. Cabral rimase otto giorni presso Baia Cabrália e fece il primo incontro con gli amerindi. Forse il primo europeo che avvistò le coste del Brasile nel corso dell'anno precedente fu il marinaio spagnolo Vicente Yáñez Pinzón, anche se il tragitto che seguì non è chiaro. In ogni caso, furono i portoghesi a reclamare il Brasile perché ricadeva nella propria sfera di influenza in virtù di quanto stabilito con la Spagna nel trattato di Tordesillas del 1494. Nel 1501, una seconda spedizione portoghese, guidata da Gonçalo Coelho, esplorò più dettagliatamente le coste brasiliane. Un altro famoso esploratore, il fiorentino Amerigo Vespucci (1451-1512), visitò quelle zone nel 1502 e ci fornisce la seguente descrizione:
Questa terra incantevole è ricoperta da un numero senza fine di alberi verdi ed enormi, che non perdono mai le foglie e che per tutto l'anno mantengono i profumi e gli aromi più dolci, producendo un'infinita varietà di frutti dal gusto delizioso e salutari per il corpo... i campi sono ricoperti da erbe, fiori e radici dolci e commestibili... è tutto così meraviglioso che ho pensato di essere vicino al paradiso terrestre.
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Il nome "Brasile" appare per la prima volta sulle mappe a partire dal 1511, e potrebbe derivare da pau brasil, che era il termine con cui i portoghesi designavano un tipo di legno massiccio di colore rossastro esportato dall'India all'Europa durante il Medioevo. Un legno simile a quello era molto diffuso nelle foreste del Brasile. In alternativa, l'origine potrebbe essere quella di brasa, che era il nome che i portoghesi davano a questo legno rosso scuro e alla tinta che se ne estraeva, e che vuol dire "carbone incandescente". Questi tipi di legname furono tra i primi prodotti a essere esportati, e venivano impiegati in molte attività, dalla costruzione delle navi a quella dei violini. A partire dal 1502, il commercio del legno attirò molti mercanti che fondarono a nord di Rio de Janeiro il loro primo emporio, chiamato feitoria in portoghese.
Nel 1511 la corona portoghese, che guardava con diffidenza all'interessamento della Spagna, decise di effettuare un'operazione ufficiale ma segreta sul Brasile. João de Lisboa ed Estêvão Froes, al comando di due caravelle, esplorarono le coste brasiliane. La Spagna inviò una flotta nel 1515 con lo stesso scopo. Entrambe le nazioni cercavano una rotta che desse l'accesso ai mari asiatici passando intorno all'estremità del continente americano. L'esploratore portoghese Ferdinando Magellano ( 1480 circa-1521), al servizio della Spagna, fu il primo a riuscire in questa impresa, compiendo la circumnavigazione del globo durante la sua spedizione del 1519-22. Tuttavia, anche se la Spagna aveva ottenuto l'accesso all'Oceano Pacifico, fu il Portogallo a colonizzare il Brasile.
I portoghesi avanzano verso ovest
Il primo centro portoghese in Brasile fu São Vicente, fondato nel 1532. A popolare questo e altri insediamenti che sorsero lungo le coste arrivò via mare un gran numero di coloni. La corona assegnò i nuovi territori sotto forma di 15 concessioni feudali, le cosiddette capitanias, con le quali si obbligavano i nobili, o più precisamente i loro vassalli, a coltivare la terra. Il modello delle capitanias era stato utilizzato con successo nelle colonie portoghesi dell'Atlantico del nord, ma lo sviluppo degli insediamenti brasiliani fu molto lento. L'immigrazione aveva componenti di bassa caratura, tra cui avventurieri senza scrupoli e reietti della società, mescolati con i veri e propri coloni-agricoltori, uomini di chiesa e con persone che cercavano di fuggire dalle persecuzioni religiose, come gli ebrei appena convertiti al cristianesimo. Di conseguenza, nel 1549 la corona nominò un governatore per cercare di stabilire una sorta di ordine e accelerare il processo di colonizzazione. Il Brasile divenne una colonia ufficiale e la capitale Salvador da Bahia venne dotata di un ospedale, una prigione, una cattedrale, di mura fortificate e uffici doganali.
Entro la metà del XVI secolo, i portoghesi riuscirono a liberarsi della concorrenza francese con la presa nel 1567 del nascente insediamento della "Francia antartica" nella Baia di Guanabara, che divenne Rio de Janeiro. Intorno al 1570 gli insediamenti coloniali stavano prendendo forma, e gli indigeni venivano sottomessi e obbligati a vivere in villaggi tenuti sotto controllo.
Nel 1572 venne istituito il vicereame, così come era stato fatto a Goa nell'Estado da India, cioè nei domini portoghesi a est del Capo di Buona Speranza. Il vicereame fu diviso in due parti: a nord la capitale era Salvador da Bahia, mentre a sud era Rio de Janeiro, che nel 1763 sarebbe divenuta l'unica capitale. Verso la fine del XVI secolo si iniziò l'esplorazione dell'entroterra principalmente via fiume, a cui fece seguito la fondazione progressiva di nuovi insediamenti. Nel 1600, i coloni europei in Brasile erano circa 30.000. Le altre potenze europee continuarono a minacciare la colonia durante gli anni Venti del Seicento, soprattutto intorno alla foce del Rio delle Amazzoni, ma per il momento queste incursioni venivano facilmente contrastate dalle spedizioni che partivano dall'insediamento portoghese di Belém.
Gli amerindi
Gli europei rimasero perplessi davanti alle usanze degli indigeni brasiliani. Sembrava che non avessero il concetto di proprietà né tanto meno un sovrano, un sistema politico o una società gerarchica e nessuna fede nell'esistenza dell'anima. Essi vivevano secondo natura, procurandosi quel poco di cui avevano bisogno nella foresta che era anche la loro dimora; possedevano tuttavia una forma di agricoltura a rotazione basata sulla pratica del debbio, più nota con la definizione di "taglia-e-brucia", che consisteva nel dare fuoco alla vegetazione o ai residui delle colture per fertilizzare il terreno. I primi esploratori raccontarono di episodi di cannibalismo, di guerre crudeli tra le varie tribù e persino di sacrifici umani. Senza dubbio gli europei non furono in grado di apprezzare o comprendere la cultura dei nativi Tupi-Guarani, come vennero chiamati in seguito gli indigeni, e fecero pochissimi sforzi in tal senso. Proprio come in altre parti del loro impero, i portoghesi pensavano esclusivamente allo sfruttamento delle risorse locali e solo i missionari si interessarono ai popoli che avevano vissuto indisturbati in Sud America per millenni, studiandone le lingue.
Le relazioni con gli indigeni, all'inizio occasionali, pacifiche e basate sul commercio, si deteriorarono in fretta. I portoghesi soffocarono qualsiasi intento bellicoso e tentarono di sottomettere i nativi più pacifici costringendoli a lavorare per loro anche se, alla prima opportunità, gli indigeni scappavano e tornavano nella loro foresta, non essendo abituati alle mansioni che venivano costretti a svolgere. I colonizzatori venivano riforniti di prigionieri indigeni da altre tribù con cui avevano stretto buoni rapporti e talvolta organizzavano in proprio delle spedizioni per andare a caccia di schiavi, mentre i missionari costringevano gli amerindi a vivere negli aldeamentos, cioè in villaggi-missione controllati dai gesuiti. Già negli anni Sessanta del Cinquecento, la società degli amerindi era al collasso poiché decine di migliaia di nativi erano morti a causa di malattie come il vaiolo portate dagli europei, e la maggior parte di coloro che riuscirono a conservare la libertà dovette abbandonare le proprie case e spostarsi verso l'interno del Brasile, ma vennero comunque raggiunti nel giro di breve tempo dalla sanguinosa guerra di sterminio messa in atto dalla continua espansione coloniale. Bisognerà aspettare il 1755 per lo smantellamento delle missioni e il riconoscimento dei nativi come liberi sudditi a pieno titolo della corona portoghese.
Le piantagioni di zucchero e la schiavitù
Nelle loro colonie, come per esempio a São Tomé e Principe, i portoghesi avevano sviluppato con successo il modello dell'agricoltura di piantagione per la coltivazione della canna da zucchero. Data che si trattava di un prodotto ad alta intensità di manodopera, vennero importati numerosi schiavi per lavorare nelle piantagioni, chiamate fazendas. A partire dagli anni Trenta del Cinquecento, questo sistema fu applicato su scala ancora maggiore in Brasile, dove la disponibilità di terreno era molto più elevata. Le prime piantagioni furono quelle di Pernambuco, Sâo Vicente e Rio de Janeiro. Nel giro di pochi decenni, la colonia diventò il più grande produttore mondiale di zucchero. Nel 1570, in Brasile erano presenti 60 engembos, cioè stabilimenti per la produzione di zucchero; nel 1645, gli engembos erano 350.
Inizialmente gli schiavi per le piantagioni venivano acquisiti sul posto ma, a partire dal 1570, venne imposto il divieto di schiavizzare gli amerindi. La maggior parte degli schiavi, dunque, veniva trasportata via mare dall'Africa, in particolare dall'Angola portoghese. Per tutto il XVII secolo, il Brasile fu in assoluto il più grande importatore di schiavi delle Americhe. Tra il 1600 e il 1625 vennero trasportati attraverso l'Atlantico 150.000 africani, e la produzione brasiliana di zucchero raggiunse il suo apice. Nel corso dell'intera storia della tratta atlantica, circa un terzo di tutti gli schiavi arrivarono in Brasile su navi portoghesi per essere impiegati in loco o rivenduti nelle colonie spagnole. Uno su cinque non sopravviveva alle orrende condizioni di trasporto, che avveniva su navi affollate e sporche. Il viaggio verso Rio de Janeiro durava 60 giorni, ed era una delle tratte più lunghe. Una volta arrivati, gli africani dovevano imparare la lingua locale, cioè il creolo portoghese. La maggior parte della manodopera più qualificata era costituita dagli immigrati provenienti dalle colonie portoghesi dell'Atlantico settentrionale, i quali risentivano degli effetti negativi causati dalla produzione brasiliana di zucchero su larga scala. La maggior parte dello zucchero prodotto veniva trasportato in Europa.
Merci, oro e diamanti
Le caracche portoghesi facevano regolarmente la spola tra il Brasile e Lisbona, trasportando circa 125 tipi di merci differenti, dai gusci di tartaruga ai topazi. Il Brasile, come indicato in precedenza, era un grande esportatore di legno massiccio e tintura, tra cui la famosa caesalpina echinata, di colore rosso intenso con sfumature che arrivavano fino al porpora, che era molto richiesta in Europa dai produttori di stoffe. Il legno massiccio fu il prodotto più esportato dal Brasile fino a quando non fu superato dallo zucchero agli inizi del XVI secolo, pur restando in auge fino al XIX secolo, quando la penuria di tale materiale portò al drammatico declino dell'industria del legno.
L'esportazione di oro, in particolare quello proveniente dalle miniere di Minas Gerais, impiegò un po'di tempo a decollare, salvo poi diventare una delle principali attività della colonia. Come nota lo storico A. R. Disney,
Nel 1711, la quota annuale di oro trasportata legalmente verso il Portogallo era salita a quasi 15 tonnellate... Improvvisamente, il Portogallo estraeva dai suoi possedimenti d'oltremare molto più oro di quanto qualsiasi altra potenza imperiale avesse mai fatto nelle proprie colonie.
(Vol 1, 252-3).
La corsa all'oro nei filoni di Minas Gerais continuò, raggiungendo un picco di produzione di oltre 30 tonnellate annue e non scendendo mai sotto le 18 nei decenni successivi.
Un altro dei prodotti principali era la manioca, coltivata in gran parte per soddisfare il mercato interno in modo da sfamare gli schiavi e i lavoratori liberi delle piantagioni. Anche il grano veniva prodotto su larga scala, soprattutto nella zona di São Paolo. Erano presenti, inoltre, molti grandi allevamenti di bestiame, situati nella periferia del territorio coloniale, dai quali si ricavavano carne, latte, cuoio e fertilizzante da utilizzare all'interno della colonia stessa. A partire dalla fine del XVII secolo, si iniziò a produrre in grande quantità anche il tabacco, che era una pianta usata dagli indigeni e che richiedeva una spesa di capitale iniziale molto minore rispetto alla canna da zucchero. A Bahia si produceva il 90% del tabacco della colonia, e il Brasile diventò il più grande produttore mondiale, che soddisfaceva la crescente dipendenza dei fumatori europei, africani e asiatici.
All'inizio degli anni Trenta del Settecento, l'estrazione di diamanti brasiliana crebbe sensibilmente, arrivando a sfidare quella di Madras in India, l'altro grande produttore mondiale. Nel corso di tale decade, la quantità di diamanti che arrivava a Lisbona ammontava a 300.000 carati, ed era quattro volte più grande di quella che Madras esportava in tutta Europa. La produzione era talmente elevata che la corona portoghese fu costretta a regolarne severamente l'estrazione per non far crollare il prezzo. A causa di tutti questi lingotti d'oro e diamanti, il re del Portogallo João V, sul trono dal 1706 al 1750, probabilmente era il monarca più ricco d'Europa. Sfortunatamente per il popolo del Portogallo però, la maggior parte di questa ricchezza fu sciupata in sontuosi progetti immobiliari o per ridurre il debito cronico dello stato. Gli enormi costi di mantenimento di un impero globale e il disavanzo commerciale del paese erano buchi neri che nemmeno le ricchezze del Brasile potevano colmare.
La società coloniale
Come accaduto anche altrove, la società nelle aree urbane era dominata dai grandi proprietari terrieri e dai mercanti. Nella colonia erano poi presenti soldati, commercianti, membri del clero, artigiani e piccoli contadini, tutti desiderosi di crearsi una vita migliore rispetto a quella offerta da una madrepatria impoverita. Molti erano i degregados, cioè i reietti della società, tra cui si possono annoverare gli ex detenuti, i non cattolici e gli avventurieri. Numerosi immigrati arrivavano dalle altre colonie portoghesi, in particolare dalle isole dell’Atlantico, mentre c'erano anche mercanti europei provenienti da Gran Bretagna, Italia, Francia e altri paesi. Gli schiavi di origine africana e i loro figli costituivano circa un terzo della popolazione; alcuni di loro avevano anche ottenuto o comprato la libertà.
In Brasile, in misura maggiore rispetto a tutte le altre colonie portoghesi, si manifestò un fenomeno avvenuto anche in altri territori d'oltremare, e cioè l'unione tra europei, amerindi e africani dovuta al numero limitato di donne di origine europea. Questi nuovi gruppi sociali si differenziarono ulteriormente al loro interno in base alle differenti nazionalità, culture e lingue, in prevalenza di origine africana e indigena. I nati da questi rapporti intessuti tra le diverse componenti della società coloniale presero il nome di mestiços, cioè meticci. I meticci e gli schiavi liberati faticavano molto per contrastare i pregiudizi quotidiani e le molte forme di razzismo istituzionale presente. Africani, nativi e meticci ebbero molte difficoltà nel fondare le proprie attività commerciali perché le banche raramente gli concedevano dei prestiti. Per gli stessi motivi, quasi mai riuscivano a diventare commercianti perché veniva loro negata la licenza. Di conseguenza, i non bianchi occupavano le posizioni sociali più basse, lavorando come impiegati, garzoni, barbieri o di lavoratori o all'interno delle piantagioni. Molti di loro vivevano ai margini della società, coltivando il cibo necessario per sé stessi e le loro famiglie su piccoli appezzamenti di terreno; alcuni sopravvivevano con le elemosine e tanti altri scomparvero senza lasciare traccia, essendo costretti a vivere in miseria. Questa parte della popolazione non era neanche rappresentata alla câmera, cioè nel governo locale, e quindi non poteva cambiare le limitazioni che i dominatori bianchi le imponevano.
La classe dominante si assicurava il mantenimento della propria posizione di preminenza mediante leggi discriminatorie e assicurandosi di contrarre matrimoni solo all'interno del proprio gruppo. Era normale per i capifamiglia più ricchi mandare le loro figlie a vivere in qualche convento in Portogallo piuttosto che farle sposare in Brasile con persone di rango inferiore. I rampolli delle famiglie benestanti andavano a studiare in Portogallo dato che, anche nelle più grandi città del Brasile, era possibile ricevere solo un'istruzione rudimentale. Quest'ultima pratica costituiva un'ulteriore barriera all'interno della società brasiliana.
Gli attacchi olandesi in Brasile
A partire dai primi anni del XVI secolo, le altre potenze europee iniziarono a sfidare il dominio coloniale portoghese. La tattica era quella di attaccare i porti per impadronirsi del carico delle navi, che poi venivano affondate. Gli obiettivi di questi attacchi erano i domini d'oltremare del Portogallo. Fin dalla fondazione della colonia, in Brasile erano presenti mercanti stranieri, in particolare francesi. Successivamente, con l'aumentare del loro potere marittimo, anche Olanda e Gran Bretagna divennero una minaccia per i possedimenti portoghesi.
La Compagnia olandese delle Indie occidentali (WIC) nacque nel 1621 con il compito di fondare nuove colonie nelle Americhe per sfruttarne le risorse e creare reti commerciali. Nel 1624 gli olandesi riuscirono a prendere Salvador da Bahia ma riuscirono a tenerla solo per un anno, mentre nel 1630 conquistarono Olinda e Recife e, nel 1632, anche Pernambuco cadde nelle loro mani. Nel 1635 occuparono persino la zona settentrionale del Brasile e i portoghesi, ansiosi di proteggere il territorio più redditizio del loro impero, si videro costretti a inviare una flotta composta da 41 navi e 5.000 uomini nel 1638. Il Portogallo riottenne il pieno controllo del Brasile solo nel 1654, soprattutto grazie al fatto che l'Olanda era in guerra con l'Inghilterra dal 1652; l'interruzione dei commerci però, in particolare quello dello zucchero, ebbe un forte impatto sull'economia della colonia.
A imitazione della WIC, nel 1649 venne fondata la Companhia Geral do Brasil. Questa nuova società commerciale brasiliana migliorò e accentrò su di sé l'organizzazione dei commerci, ottenendo ottimi risultati; venne inoltre introdotto un sistema di convogli per la protezione delle navi che viaggiavano verso l'Europa che fece diminuire fortemente le perdite causate dagli attacchi dei corsari. Portoghesi e olandesi firmarono un trattato di pace nel 1663, che sarebbe stato rinnovato nel 1669. In cambio di quattro milioni di cruzados d'oro, i Paesi Bassi rinunciarono a qualsiasi pretesa sul Brasile. La somma non era spropositata, ma i portoghesi impiegarono cinquant'anni per saldare il debito. Da questo momento in poi, il Brasile non subì altri grandi attacchi sul proprio territorio. L'arma preferita delle potenze europee stava diventando la guerra commerciale.
Il coinvolgimento britannico in Brasile
Dalla metà del XVII secolo in poi, la minaccia portata da altre potenze europee costrinse il Portogallo a firmare altri trattati commerciali con i suoi rivali. Nel 1703 venne siglato il trattato di Methuen con la Gran Bretagna, che liberalizzò l'ingresso in entrata e in uscita dei capitali britannici in Brasile, causandone un aumento esponenziale. Nel 1711 la Francia riuscì per un breve periodo a prendere il controllo di Rio de Janeiro, mentre la Spagna rosicchiava piccole porzioni del Brasile meridionale. L'Impero portoghese era fragile, e allearsi con la Gran Bretagna sembrò l'opzione migliore. Grazie alla continua crescita della domanda in Europa, prodotti come cotone, riso, cacao e caffè si aggiunsero alle consuete esportazioni brasiliane di zucchero, tabacco e legname. Inoltre, il Brasile diventò un importante mercato per le merci provenienti dall'Europa come vino, olio d'oliva, cereali e tessuti di lana. Il problema era che, anche se il Brasile restava nelle mani dei portoghesi, i commercianti britannici ottennero diversi privilegi, tra cui il diritto di commercio nei porti lusitani con la sola eccezione di olio, vino e merluzzi, nonché il godimento di dazi favorevoli sulle importazioni britanniche in Brasile. In seguito, anche i mercanti olandesi e francesi ottennero benefici simili.
Il Portogallo si vide costretto a adottare questa politica perché era militarmente più debole dei suoi rivali, ma la sua posizione economica e commerciale si indebolì sempre di più. La situazione peggiorò con il declino della produzione di oro e lo sviluppo da parte dei suoi concorrenti di piantagioni di zucchero nei Caraibi e in America del Nord, che ridusse drasticamente il numero dei potenziali clienti dei prodotti brasiliani e fece aumentare il prezzo degli schiavi. Per tentare di raddrizzare la bilancia commerciale del paese che era costantemente in perdita, la monarchia emanò delle leggi suntuarie che proibivano ai cittadini brasiliani e portoghesi di acquistare beni di lusso stranieri come oggetti di vetro, porcellane e tessuti pregiati.
L'indipendenza
Il Brasile iniziò a comportarsi come un paese a sé stante già nel XVIII secolo. Dal Brasile venivano reclutati soldati, tra cui anche amerindi, per aiutare il Portogallo a mantenere il controllo delle sue colonie più refrattarie, come l'Angola. Insieme a questi uomini, giunsero in Africa generi alimentari originari del continente americano, che iniziarono a essere coltivati anche lì. Tra il Brasile e l'Africa c'era anche un commercio diretto senza il coinvolgimento della corona.
Molti brasiliani, ispirati dagli eventi della Guerra d'indipendenza americana (1776-83), entrarono in contatto con alcuni capi del movimento patriottico statunitense e iniziarono a propugnare l'idea dell'indipendenza del loro paese. Nonostante ciò, la colonia veniva ancora considerata sicura dalla corte portoghese, che decise di trasferirsi lì per la propria sicurezza quando la Francia invase il Portogallo nel 1807 durante le Guerre napoleoniche (1803-1815). In realtà questa decisione non fece altro che accelerare il processo d'indipendenza.
Il Brasile, desideroso di liberarsi dalle tasse e dai dazi imposti dal governo portoghese e alla ricerca di uguali diritti per i propri cittadini, raggiunse l'indipendenza nel 1822. Con una scelta piuttosto singolare, venne scelto Pedro I come re e primo Imperatore del Brasile, che regnò dal 1822 al 1831. Pedro era il figlio di João VI di Portogallo, sul trono dal 1816 al 1826. Il Brasile divenne dunque una monarchia a pieno titolo, pur avendo ovvi e stretti legami con la corona portoghese. Nonostante il governo avesse dichiarato illegale la tratta degli schiavi nel 1836, i portoghesi restarono coinvolti nel redditizio commercio di carne umana con il Brasile. Finalmente, nel 1853, la tratta terminò quando il governo brasiliano proibì l'arrivo di nuovi schiavi. Il Brasile diventò una repubblica nel 1891 e passò attraverso due dittature, una nel periodo 1930-45 e un'altra nel 1964-69, prima di diventare una repubblica democratica nel 1985.