La Marcia delle Donne su Versailles, nota anche come la Marcia di Ottobre o le Giornate di Ottobre, fu un momento decisivo nei primi mesi della Rivoluzione francese (1789-1799). Il 5 ottobre 1789 una folla di donne parigine marciò su Versailles per chiedere riforme. Assediò la reggia e costrinse il re Luigi XVI di Francia (re dal 1774 al 1792) a tornare a Parigi.
La marcia, iniziata nei mercati di Parigi come reazione alla scarsità di cibo e alle azioni antirivoluzionarie dei soldati del re, privò il re di gran parte dell'indipendenza e autorità che gli rimanevano. L'evento fu significativo perché sferrò il colpo decisivo al sistema della monarchia assoluta, in seguito denominato Ancien Régime, e perché inaugurò il breve periodo della monarchia costituzionale francese.
L'agonia della monarchia
Alla fine dell'estate del 1789 l'Ancien Régime francese viveva i suoi ultimi giorni. Con velocità sorprendente il Terzo Stato (gente comune) aveva sottratto autorità al re Luigi XVI, costituendo l'Assemblea Nazionale degli Stati generali del 1789, con lo scopo di dare alla Francia una nuova costituzione. In seguito la Presa della Bastiglia aveva dato ancora più potere ai rivoluzionari, che se ne erano serviti per abolire il feudalesimo e i privilegi delle classi superiori con i Decreti di agosto, prima di riconoscere i diritti naturali dell'uomo con la Dichiarazione del Diritti dell'uomo e del cittadino. Mentre lavorava alla costituzione, l'Assemblea nella reggia di Versailles continuava a smantellare i pezzi fondamentali della monarchia francese. Quello che un tempo era stato il parco giochi del sovrano assoluto Re Sole, Luigi XIV di Francia (re dal 1643 al 1715), era ora l'epicentro della Rivoluzione.
Nonostante fosse decisamente inadatto al ruolo di monarca assoluto, Luigi XVI era determinato a salvare l'istituzione. A tal fine, rifiutò di ratificare i Decreti di agosto e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo, che divennero motivo di contesa tra lui e l'Assemblea. Allo stesso tempo, Luigi desiderava mantenere il diritto di veto assoluto, che gli consentiva di avere l'ultima parola su qualsiasi decisione politica dell'Assemblea. Questa posizione era sostenuta dalla fazione monarchica all'interno dell'Assemblea, che riteneva che la Francia avesse bisogno di un re con un grande potere.
All'opposizione c'erano i deputati anti-realisti. Alcuni di questi, come l'ancora poco influente Maximilien Robespierre (1758-1794), credevano che il re dovesse essere sottomesso alla volontà del popolo e non dovesse avere il diritto di veto. Tuttavia, molti deputati iniziarono a sostenere una terza opzione, il veto sospensivo, che avrebbe consentito al re di ritardare le decisioni dell'Assemblea per un massimo di 2 assemblee legislative o per 4 anni. Il primo ministro di Luigi, Jacques Necker (1732-1804) comunicò che il re avrebbe accettato e che avrebbe anche potuto ratificare i Decreti di Agosto. Sperando in un compromesso, l'11 settembre l'Assemblea votò con 673 voti a favore e 325 voti contrari per il veto sospensivo.
Coloro che credevano nel compromesso, tuttavia, si sbagliavano. Nelle osservazioni ufficiali sull'argomento, il re, pur approvando lo spirito generale dei decreti, ne disapprovava i contenuti, come ad esempio lo smantellamento del feudalesimo. Lungi dal ratificare i documenti, sembrò a molti che il re intendesse usare contro di essi il potere di veto appena approvato. Ciò suscitò una grande indignazione. Robespierre in uno dei suoi primi discorsi dichiarò:
La risposta del re è distruttiva non solo per qualsiasi Costituzione, ma anche per qualsiasi diritto nazionale ad avere una Costituzione. Chi può imporre una condizione alla Costituzione... pone la sua volontà al di sopra dei diritti della nazione. (Davidson, 44)
A 13 miglia da Versailles, anche la città di Parigi fu sconvolta dalla notizia. Il prezzo elevato del pane ispirava teorie del complotto, secondo le quali la nobiltà stava intenzionalmente affamando il popolo, spingendo la tensione al massimo. Molti considerarono la reazione del re ai decreti e ai Diritti dell'uomo una minaccia per la Rivoluzione stessa. Nel suo influente quotidiano L'Amico del Popolo, il giornalista Jean-Paul Marat attaccò l'idea del diritto di veto del re, avvertendo i suoi lettori che "non puoi aspettarti nulla dagli [aristocratici] tranne servitù, povertà e desolazione" (Schama, 459 ).
L'Assemblea mandò il presidente Jean-Joseph Mounier dal re, per implorarlo di riconsiderare il consenso ai documenti e di aumentare l'approvvigionamento alimentare a Parigi. Ricevuta questa richiesta, Luigi XVI rimase in silenzio per alcuni giorni, come se stesse valutando il nuovo ruolo di re cittadino. Ma il 23 settembre convocò il reggimento reale delle Fiandre a Versailles. Aveva scelto l'assolutismo e così aveva firmato la condanna a morte della monarchia.
Il banchetto
A differenza dell'ultima volta che aveva convocato le truppe nel Bacino di Parigi, nel luglio precedente, Luigi XVI non voleva che il reggimento delle Fiandre fungesse da minaccia. Il re, preoccupato per la possibilità di un'altra rivolta simile a quella della Bastiglia, intendeva rafforzare la difesa di Versailles. Tuttavia, l'arrivo del reggimento il 1 ottobre finì per essere più dannoso che utile.
La notizia del banchetto organizzato dalle guardie del corpo reali per accogliere il Reggimento delle Fiandre si diffuse a macchia d'olio per tutta Parigi. Sebbene fosse abbastanza comune per una guarnigione accogliere le forze di supporto con una festa, l'evento di Versailles fu definito un'"orgia di golosi" da giornalisti attivisti come Marat, che condannarono come insulto ai parigini affamati il consumo di così abbondanti quantità di cibo. Fu in quest'occasione che la regina Maria Antonietta (1755-1793) disse: "che mangino brioches", in risposta alla fame della gente comune, anche se non c'è prova che lo abbia veramente detto.
Il banchetto, più che un peccato di gola, costituiva una mancanza di rispetto nei confronti della rivoluzione. Secondo i giornali parigini, i soldati fecero numerosi brindisi alla famiglia reale, diventando sempre più ubriachi con il passare della notte. Alla fine, i cortigiani iniziarono a distribuire coccarde bianche e nere (nere per la regina, bianche per il re). Fu a questo punto che qualcuno estrasse la coccarda tricolore, simbolo della rivoluzione, e la gettò a terra, esclamando: "Abbasso la coccarda colorata!" (Schama, 460). Gli ospiti della cena quindi iniziarono a calpestare il tricolore, compresa la regina che teneva sulle spalle il delfino di quattro anni.
Questa notizia fu un orribile presagio per il popolo di Parigi, che capiva che le conquiste rivoluzionarie non erano salde, nella migliore delle ipotesi. Aggiungendosi allo scontento per l'alto prezzo del pane, la notizia del dissoluto banchetto reale era troppo per essere accettata. La notte del 4 ottobre in un mercato si poteva sentire una donna arringare la folla, esortando le sue compagne poissardes ("pescivendole" o "donne del mercato") a marciare su Versailles. Il giorno successivo questa proposta fu realizzata.
L'ira delle donne del mercato
La mattina presto del 5 ottobre, una giovane donna marciò per le strade della parte orientale di Parigi, suonando un tamburo. A poco a poco, fu raggiunta da altre poissardes dei vari distretti, alcune delle quali portavano armi improvvisate come bastoni e coltelli. Dirigendosi verso l'Hôtel de Ville, il municipio di Parigi, il corteo prese il controllo della Chiesa di Santa Margherita: le donne suonarono le campane per chiamare le loro compagne parigine all'azione. Quando raggiunsero l'Hôtel, erano in 7.000 e cantavano: "Quando avremo il pane?"
La folla fu affrontata da unità della Guardia Nazionale al comando del maggiore Hermigny. Quando le sue truppe chiarirono che non avrebbero impedito alla folla di saccheggiare l'Hôtel, Hermigny chiese rinforzi e la presenza del comandante della Guardia Nazionale, Gilbert du Motier, marchese de Lafayette (1757-1834). Nel frattempo, la folla fece irruzione nell'Hotel, prendendo centinaia di armi e 2 cannoni.
La folla fu dissuasa dall'incendiare l'Hotel e dal linciare i funzionari da Stanislas Maillard, che promise di condurla alle porte di Versailles per chiedere il pane al re. La moltitudine di poissardes accettò di seguirlo e iniziò a marciare in direzione di Versailles sotto una forte pioggia, trascinandosi dietro i cannoni e gridando di arrivare per "il buon papà" Re Luigi.
Lafayette arrivò all'Hôtel de Ville molto tempo dopo che la folla se n'era andata. A quel punto ci furono serie proteste tra i suoi uomini, che volevano seguire i manifestanti a Versailles. Molte Guardie Nazionali in precedenza erano state Guardie Francesi e pensavano che fosse loro dovere proteggere il re e punire le guardie reali che avevano mancato di rispetto alla coccarda rivoluzionaria.
Lafayette non era tranquillo all'idea di guidare la Guardia Nazionale a Versailles; da un lato, non desiderava lasciare Parigi indifesa, e dall'altro si rendeva conto che portare la Guardia Nazionale a Versailles sarebbe stato come condurre un esercito alla porta del re. Tuttavia i suoi uomini dichiararono che avrebbero marciato su Versailles con o senza la sua guida. Inviando un corriere per avvisare il re e l'Assemblea del suo arrivo, Lafayette prese con esitazione il suo posto alla testa della colonna e guidò 15.000 uomini sotto la pioggia battente. Ma prima ancora che le Guardie Nazionali avessero lasciato la periferia di Parigi, la folla delle poissardes era giunta a Versailles.
Assedio di Versailles
La folla, esausta dopo sei ore di marcia sotto la pioggia, fu accolta con benevolenza dai magistrati locali, che offrirono alle donne del vino. Fu loro proibito di entrare nel parco della reggia, che era sorvegliato dal Reggimento delle Fiandre supportato dalle Guardie svizzere, ma furono ammesse nella sala dove si riuniva l'Assemblea. Centinaia di poissardes stanche e inzuppate di pioggia crollarono sulle panchine nell'atrio, appoggiando bastoni e coltelli fangosi sui documenti ufficiali.
In qualità di presunto leader della folla, Maillard fu invitato dai deputati a dichiarare il motivo della marcia. "Gli aristocratici vogliono che moriamo di fame", rispose, prima di affermare che un mugnaio era stato corrotto con 200 lire perché non facesse il pane (Schama, 463). Gli appelli dei deputati indignati a fare il nome del mugnaio furono messi a tacere dalle donne, che proclamarono di essere venute per esercitare il loro diritto a richiamare i deputati, come sosteneva il filosofo Rousseau. In preda all'agitazione, alcune donne cominciarono a gridare slogan anticlericali all'arcivescovo di Parigi, mentre una donna prese a schiaffi un sacerdote che le aveva offerto la mano in segno di saluto, sbottando: "Non sono fatta per baciare la zampa di un cane" (Schama, 465). Riuscirono a calmare la folla solo i discorsi di deputati come Robespierre, che espressero solidarietà per la difficile situazione. Una volta che l'ira della folla si fu calmata, il presidente dell'Assemblea, Mounier, promise di portare una delegazione al cospetto del re.
Luigi XVI, che era stato fuori a caccia, era appena tornato alla reggia. Incontrò una delegazione di sei donne, scelte dalla folla. La portavoce della delegazione era Pierrette Chabry, una ragazza di 17 anni scelta per il suo modo di parlare educato e per il suo "aspetto virtuoso" (Schama, 465). Ma Chabry in presenza del re fu sopraffatta dal nervosismo e svenne ai suoi piedi. Con rapidità, Luigi ordinò di portare sali odorosi e aiutò Chabry a rialzarsi. Questo atto di paterna benevolenza sembrò addolcire l'umore della folla. Dopo aver aiutato Chabry, Luigi promise alla delegazione che avrebbe ordinato di rifornire Parigi di cibo dalle scorte reali, e che ne avrebbe mandato altro in seguito. Sebbene ciò avesse placato alcune manifestanti, come Maillard, che tornarono a Parigi, la maggior parte delle altre era ancora insoddisfatta.
Fu intorno alle 18 che il corriere di Lafayette arrivò all'Assemblea, insieme alla notizia che un esercito stava marciando su Versailles. Chiedendosi come soddisfare sia le manifestanti che rimanevano sia la Guardia Nazionale, Luigi XVI incontrò i suoi ministri per discutere la linea d'azione. Decise di non fuggire, ma di arrendersi e infine di ratificare sia i Decreti di agosto che la Dichiarazione dei Diritti dell'uomo. Sperava che questa concessione, che per lui era molto consistente, sarebbe stata sufficiente a soddisfare il popolo e a permettergli di rimanere a Versailles. Gli uomini di Lafayette, a quanto pare, la pensavano diversamente.
Arriva Lafayette
Subito dopo la mezzanotte, la Guardia Nazionale marciò su Versailles a sei file; "il loro numero era così grande che anche marciando al doppio impiegavano un'ora per passare" (Schama, 465). Molti di loro, in particolare quelli che avevano giurato di proteggere il re, avevano già deciso di portare la famiglia reale a Parigi, liberandola dalle grinfie delle guardie del corpo non patriottiche. Le guardie reali, forse rendendosi conto di essere in pericolo, si ritirarono nelle loro postazioni all'interno del parco della reggia.
Lafayette per prima cosa si rivolse all'Assemblea Nazionale, giurando di non avere secondi fini e di essere giunto solo per garantire la sicurezza del re. Assicurò che la calma si sarebbe ristabilita se fosse stato mandato via il Reggimento delle Fiandre e se il re avesse fatto un altro gesto di simpatia nei confronti della coccarda rivoluzionaria. Si congedò quindi dall'Assemblea e si diresse da solo verso gli appartamenti reali. Mentre camminava, fu deriso dai cortigiani che gli gridarono: "Ecco un altro Cromwell!". (Davidson, 47). Lafayette rispose: "Cromwell non sarebbe venuto disarmato". Forse per dissipare l'idea di aspirare al potere come dittatore, Lafayette salutò il re prostrandosi e proclamando drammaticamente: "Sono venuto a morire ai piedi di Vostra Maestà" (Schama, 466).
Dopo questa scena drammatica, Lafayette conferì con il re, dicendogli che sarebbe stato più sicuro se avesse accompagnato la Guardia Nazionale a Parigi. Luigi XVI promise al generale che ne avrebbe discusso con la sua famiglia e gli avrebbe dato una risposta in mattinata. Stanco, Lafayette tornò a riferire questo incontro all'Assemblea prima di ritirarsi nella casa del nonno e crollare su un divano.
A Parigi
Alle 5.30 del mattino del 6 ottobre, un gruppo di persone armate si introdusse nel parco della reggia e fece irruzione negli appartamenti reali nella Cour de Marbre. Una guardia affermò in seguito che gli assalitori cercavano la regina, gridando che volevano "strapparle il cuore... tagliarle la testa, fare il suo fegato in fricassea" (Schama, 467). Una guardia, colta di sorpresa, sparò sulla folla in arrivo prima di essere travolta e uccisa. Una seconda guardia riuscì ad avvertire la regina in tempo prima di essere uccisa. Scappando a piedi nudi dalle sue stanze, Maria Antonietta gridò che qualcuno salvasse i suoi figli e corse a cercarli mentre la folla si scatenava nel palazzo, invocando la sua morte.
Prima che la folla potesse fare del male alla famiglia reale, fu fermata dalle Guardie Nazionali al comando di Lazare Hoche (1768-1797), in seguito eroe delle Guerre Rivoluzionarie francesi. Gli uomini di Hoche allontanarono la famiglia reale dal pericolo mentre la folla faceva sfilare sulle picche le teste mozzate delle due guardie assassinate.
Lafayette fu svegliato e corse in aiuto della famiglia reale. Il fatto che stesse dormendo durante il violento assalto macchiò la sua reputazione, in precedenza buona, poiché i giornali parigini in seguito lo chiamarono beffardamente "il generale Morfeo", riferendosi al dio greco del sonno. Arrivato al palazzo, Lafayette dapprima calmò le tensioni tra le Guardie Nazionali e le guardie reali, prima di occuparsi del re e della regina. Disse loro che dovevano salutare la folla dall'alto del balcone, una proposta che terrorizzò la regina, che aveva rischiato di essere uccisa non molto tempo prima. Grazie alle confortanti parole del generale, la regina salì sul balcone insieme al re e ai loro figli. La reazione della folla fu tiepida, fino a quando Lafayette, uomo di spettacolo come sempre, appuntò una coccarda tricolore sul cappello di una guardia del corpo reale, prima di inchinarsi e baciare la mano di Maria Antonietta.
Questa esibizione diede i suoi frutti, e la folla applaudì con forza cantando: "A Parigi!" Sembrava che Luigi XVI non avesse più scelta. Rassegnato al suo destino, annunciò: "Amici miei, andrò a Parigi con mia moglie e i miei figli... è all'amore dei miei sudditi buoni e fedeli che affido tutto ciò che è più prezioso per me!" (Davidson, 47).
Tre ore dopo, un imponente corteo partì da Versailles; Lafayette stimò il loro numero in 60.000. Le guardie nazionali guidavano il corteo composto dalla famiglia reale e dai cortigiani, da membri del ministero di Necker e da deputati dell'Assemblea nazionale. Dietro c'era una fila di carri pieni di farina e pane. Le donne marciavano a fianco della carovana, acclamando e cantando che stavano portando "il fornaio, la moglie del fornaio e il ragazzo del fornaio a Parigi!" Ovviamente si riferivano al re, che veniva spesso definito il primo fornaio del regno.
Una volta a Parigi, il re ricevette le chiavi della città e fu accompagnato al Palazzo delle Tuileries, dove da quel momento in poi avrebbe risieduto con la sua famiglia. L'Assemblea si riunì in un maneggio abbandonato in fondo alla strada delle Tuileries. Lì proclamarono che il titolo di Luigi XVI non sarebbe più stato quello di Re di Francia e Navarra, cioè quello di un monarca assoluto che governava per diritto divino; da allora in poi sarebbe stato semplicemente Luigi XVI, Re dei Francesi.
Sebbene la Francia non sarebbe diventata ufficialmente una monarchia costituzionale fino al completamento della Costituzione del 1791, a tutti gli effetti l'Ancien Régime morì quel giorno, il 6 ottobre 1789. Simbolicamente, la reggia di Versailles era già stata sbarrata, con massicce serrature di ferro poste sui cancelli e guardie appostate per scoraggiare i saccheggiatori. Come osserva lo storico Simon Schama, "Versailles era già diventata un museo" (470).