La conquista della Nuova Spagna

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Mark Cartwright
da , tradotto da Giovanni De Simone
pubblicato il 26 agosto 2022
Disponibile in altre lingue: Inglese, Francese, Portoghese, Spagnolo
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Spanish Conquest & Exploration in North America in the 16th century (by Simeon Netchev, CC BY-NC-ND)
La conquista e l'esplorazione spagnola del Nord America nel XVI secolo
Simeon Netchev (CC BY-NC-ND)

La Conquista della Nuova Spagna, di Bernal Díaz del Castillo (1492-c. 1580), è un racconto scritto nel 1568 che narra la prima fase della colonizzazione spagnola in Mesoamerica, precisamente la conquista della civiltà Azteca in Messico, dal 1519 al 1521. Díaz era un membro della spedizione guidata dal conquistador ("conquistatore") Hernán Cortés.

Bernal Díaz

Díaz nacque nel 1492 a Medina del Campo, provincia di Valladolid, in Spagna. Come molti giovani della sua generazione, andò in cerca di fortuna partecipando alle avventure militari nel Nuovo Mondo. Nel 1514, Díaz si trovava a bordo della Nombre de Dios, al servizio di Pedro Arias de Avila (noto anche come Pedrarias Dávila, 1442-1531). Díaz si spostò a Cuba nel 1517, sotto il comando di un altro famigerato governatore coloniale, Diego Velázquez de Cuéllar (1465-1524). Velázquez desiderava saperne di più sulla penisola dello Yucatán, allora considerata solo come un'altra isola caraibica. Cuéllar inviò due spedizioni ad esplorare il Messico: una nel 1517, guidata da Francisco Hernández de Córdoba (1474-1517); un'altra nel 1518, guidata da Juan de Grijalva (1489-1527). Díaz partecipò a entrambe le spedizioni con il ruolo di alfiere, dedicando a ciascuna delle due un capitolo della sua cronaca. Tuttavia, le incongruenze geografiche presenti hanno fatto sorgere qualche dubbio sulla sua effettiva partecipazione.

Velázquez rimase talmente affascinato dai rapporti della prima delle due spedizioni, che parlavano della presenza di una grande civiltà a ovest, da mandare una terza missione di ricognizione, questa volta guidata da Hernán Cortés. Díaz partecipò a questa spedizione del 1519, ma l'ambizione di Cortés andava ben oltre la raccolta di informazioni: il suo intento era quello di ottenere conquiste e ricchezze.

Dopo la campagna contro gli Aztechi, Díaz ottenne una posizione ufficiale in Guatemala, che includeva una licenza di encomienda che gli garantiva forza lavoro proveniente dalla comunità indigena. Díaz visitò di nuovo la Spagna, ma alla fine ritornò in Guatemala per scrivere il suo famoso libro negli ultimi anni della sua vita avventurosa. Il titolo originale in spagnolo è Historia verdadera de la conquista de la Nueva España ("La vera storia della conquista della Nuova Spagna"). Nuova Spagna era il nome dato al vicereame che gli spagnoli fondarono nel 1535, di cui il Messico era una parte.

IL LIBRO FU PUBBLICATO LA PRIMA VOLTA NEL 1568, QUASI 50 ANNI DOPO GLI EVENTI DESCRITTI

Il libro fu pubblicato la prima volta nel 1568, quasi 50 anni dopo gli eventi descritti. Díaz aveva 76 anni all'epoca. Questo può spiegare alcune delle incongruenze che preoccupano gli storici moderni. Il fatto che il suo racconto abbia fatto sorgere dei dubbi è un po'ironico, dato che una delle motivazioni principali di Díaz nello scrivere fu quella di chiarire gli aspetti della vicenda. Díaz non era d'accordo con una recente pubblicazione di Francisco López de Gómara (1511-c. 1566), cappellano privato di Hernán Cortés e suo ultimo confessore. Riteneva che la "Storia Generale delle Indie" (Historia General de las Indias) di López, scritta in collaborazione con Gonzalo de Illescas, non avesse colto per bene tutti i dettagli della conquista degli Aztechi e che la figura di Cortés non fosse stata rappresentata accuratamente. Díaz affermò che López non era mai stato nelle Americhe, mentre lui era stato testimone oculare di ogni grande battaglia. Nel suo libro, Díaz porta numerose critiche e correzioni a questi cronisti: è desideroso di mostrare come la conquista sia stata un lavoro di squadra di più conquistadores e non merito del solo Cortés che, secondo lui, aveva ottenuto troppo credito a scapito dei suoi colleghi. Un'ulteriore motivazione per Díaz fu quella di voler mostrare il suo ruolo nella conquista, quasi a voler giustificare il possesso della sua encomienda, che in quel momento rischiava di essere abolita da una nuova serie di leggi.

Bernal Díaz del Castillo
Bernal Díaz del Castillo
José-Manuel Benito (Public Domain)

Díaz morì intorno al 1580, dopo essere sopravvissuto a tutti i suoi vecchi compagni conquistadores, ma per lo meno dopo aver documentato la sua versione degli eventi per i posteri mostrando, volendo usare le parole del traduttore inglese J. M. Cohen, "una memoria grafica e un grande senso del drammatico".

Riassunto del libro

Il primo viaggio

Díaz apre il suo libro con un prologo in cui afferma: "Con l'aiuto di Dio, descriverò molto chiaramente ciò che ho visto e i combattimenti a cui ho preso parte, come un onesto testimone oculare, senza distorcere i fatti in alcun modo." Díaz sintetizza candidamente la motivazione e gli obiettivi dei conquistadores: "servire Dio e sua maestà, portare la luce a coloro che vivono nelle tenebre e diventare ricchi, come desiderano di fare tutti gli uomini" (cap. 174 nell'originale).

La prima parte della narrazione copre la prima spedizione in Messico guidata da Cordóba nel 1517. Díaz spiega che si arruolò perché, dopo tre anni nei Caraibi, non aveva ancora fatto nessun passo verso la fortuna che sperava di trovare nel Nuovo Mondo. Gli avventurieri speravano di trovare nelle terre inesplorate soprattutto oro, argento e perle. Scoppiarono dei combattimenti a seguito dell'incontro con gli abitanti locali. I visitatori effettivamente trovarono manufatti d'oro, edifici ben costruiti e altari coperti di sangue: tutto suggeriva che fossero le tracce di una grande civiltà. In un altro violento incontro, Díaz venne colpito da tre frecce e Cordóba morì dopo aver riportato numerose ferite. Vennero presi due prigionieri, ribattezzati Melchiorre e Giuliano; i due furono interpreti di inestimabile valore nella spedizione successiva.

Il secondo viaggio

Senza altro da mostrare dopo la sua avventura, se non un'amara esperienza, Díaz finì "ridotto in povertà" e così si unì volentieri alla seconda spedizione inviata da Velázquez nel 1518. Grijalva guidò circa 250 uomini su quattro navi. Arrivati sul continente, ebbe luogo un altro scontro violento con le popolazioni indigene. Gli spagnoli causarono il caos con i loro cannoni, ma molti membri della spedizione furono feriti di nuovo dalle frecce: "Grijalva fu ferito da tre frecce e si ruppe due denti; più di sessanta di noi vennero feriti" (30). Ancora una volta, i visitatori si imbatterono in prove delle pratiche religiose locali:

Sulla costa c'erano alcuni edifici di pietra usati come case di preghiera, che contenevano molti idoli di legno, pietra o terracotta. Alcuni rappresentavano figure femminili, altri serpenti, mentre altri ancora raffiguravano corna di cervi.

(30)

Juan de Grijalva Meeting a Maya Chief
Incontro tra Juan de Grijalva e un capo maya
Alfonsobouchot (Public Domain)

Successivamente, gli spagnoli trovarono altre tracce di riti religiosi su una piccola isola:

"Abbiamo trovato due grandi edifici in pietra di buona fattura, ciascuno dei quali aveva una scalinata che portava a una specie di altare; su questi altari c'erano degli idoli dall'aspetto malvagio che erano i loro dei. Qui abbiamo trovato cinque Indiani che erano stati sacrificati a loro quella stessa notte. Il loro petto era squarciato, le braccia e le cosce tagliate via, i muri erano coperti di sangue.

(37)

Lungi dal risvegliare qualsiasi interesse di tipo antropologico, questi spettacoli confermarono l'idea che i conquistadores fossero nel giusto nel perseguire il loro dovere di diffondere la fede cristiana, che era una delle giustificazioni principali della conquista. Vennero portati avanti alcuni scambi pacifici: gli spagnoli offrirono perline di vetro e altri ninnoli in cambio di torte di mais, ananas e pochi manufatti d'oro. Questi ultimi furono l'altra giustificazione per ulteriori conquiste: spogliare della ricchezza il continente per portarla in Spagna. Il fiume Tabasco, una volta scoperto, fu rinominato Rio de Grijalva. Venne scoperto un buon porto naturale, che fu mappato e di cui furono scandagliati i fondali - sarebbe diventato in futuro l'importante porto coloniale di Veracruz. In breve, i risultati della spedizione furono sufficientemente promettenti per Velázquez, che decise di mandare una terza missione, questa volta guidata da Hernán Cortés, che sembrava perfetto per l'incarico: "Indossava un pennacchio di piume, un medaglione con una catena d'oro e un mantello di velluto rivestito di anelli d'oro. In effetti, sembrava un capitano audace e galante" (47)

Cortés e l'incendio delle navi

Secondo Díaz, Cortés lasciò Cuba nel 1519 con 500 soldati sotto il suo comando. Furono caricate undici navi con provviste, armi e 16 cavalli. Una volta sbarcati e diretti verso l'interno, ci furono i consueti scontri con le tribù indigene, ma la cavalleria spagnola, l'acciaio e le armi da fuoco si rivelarono una combinazione invincibile rispetto alle frecce e alle fionde. Un uomo chiamato Aguilar, che sembrava un indio ma in realtà era uno spagnolo che era stato catturato e adottato da una tribù locale, risultò essere una grande scoperta come interprete. Successivamente catturarono una donna chiamata Malintzin (alias Doña Marina o La Malinche), una donna maya che parlava la lingua Nahuatl degli Aztechi e un linguaggio locale maya che Aguilar era in grado di tradurre. Per Cortés, a mano a mano che proseguiva sempre più all'interno del Mesoamerica, si era ora aperta la strada per mischiare guerra e diplomazia.

Hernán Cortés
Hernán Cortés
Unknown Artist (Public Domain)

Alla fine, entrò in contatto con rappresentanti del sovrano azteco Motecuhzoma (alias Montezuma, r. 1502-1520). Ci fu uno scambio di doni: gli spagnoli diedero indumenti di cotone, una tazza di vetro e perline, mente gli Aztechi scambiarono piume di quetzal, rotoli di tessuti pregiati e diversi manufatti di oro e argento. Muovendosi ancora di più all'interno, Cortés combatté e poi si fece alleati i Totonachi, che desideravano la caduta dell'impero azteco. Nel frattempo, i conquistadores costruirono un forte e una chiesa a Veracruz, rendendola così una base permanente. Fu a Veracruz che Cortés prese una decisione straordinaria, in accordo con i suoi uomini, come spiegato da Díaz:

Le navi furono distrutte con la nostra piena consapevolezza e non in segreto, come afferma lo storico Gómara. Una mattina, dopo la messa, durante una discussione generale su questioni militari, dopo aver chiesto cortesemente la nostra attenzione, Cortés fece un discorso sulle conseguenze del compito che ora sapevamo di avere... non potevamo cercare l'aiuto o l'assistenza di nessuno, tranne che quello di Dio, perché adesso non avevamo più le navi per tornare a Cuba. Potevamo dunque contare solamente sulle nostre buone spade e i suoi nostri audaci cuori.

(131)

La sconfitta dei Tlaxcalteca

Cortés guidò i suoi uomini e alleati verso l'interno, ma il cammino non fu semplice:

Finimmo di scalare le montagne ed entrammo in una regione disabitata; faceva molto freddo, grandinava e pioveva. Quella notte eravamo a corto di cibo; il vento soffiava giù dalle cime innevate e investiva una parte di noi, facendoci tremare di freddo... non avevamo nient'altro che le nostre armature per coprirci.

(135)

Procedettero nel territorio dei Tlaxcalteca, un popolo assoggettato militarmente agli Aztechi. Nel settembre del 1519, ci fu una serie di imboscate e battaglie a campo aperto, ma alla fine la cattura di alcuni capi dei Tlaxcalteca permise a Cortés di negoziare una pace. I Tlaxcalteca, che non erano affatto in buoni rapporti con gli Aztechi, si rivelarono desiderosi di aiutare gli spagnoli a rovesciarli. Ci fu uno scambio di doni, agli spagnoli vennero offerte delle giovani donne e, soprattutto, i Tlaxcalteca descrissero in dettaglio le strategie militari azteche e i segreti della loro capitale, Tenochtitlan: una grande città costruita su un lago, in cui si entrava attraverso un sistema di ponti e strade rialzate. Nei magazzini della città si potevano trovare vaste quantità di sale, argento e oro, materiali su cui gli Aztechi esercitavano uno stretto controllo. Finalmente, i conquistadores avevano trovato quello per cui tutti erano salpati da Cuba.

L'incontro con Montezuma

Quando i conquistadores arrivarono a Cholula, ci fu una battaglia con le forze azteche, che vinsero grazie all'aiuto dei Tlaxcalteca. Díaz descrive questa zona del Messico in una delle rare digressioni dagli eventi politici e militari:

Cholula è situata in una pianura, con molte altre città intorno... è una terra ricca di mais e altre verdure, di pepe e agave, da cui ricavano il loro vino. Realizzano dei buoni oggetti di terracotta in questo distretto, partendo da argille rosse, nere e bianche, decorate con vari motivi, di cui riforniscono il Messico e tutte le province vicine.

(201-2)

Montezuma Meets Cortés
Montezuma incontra Cortés
Unknown Artist (Public Domain)

Montezuma cambio strategia e inviò degli ambasciatori agli spagnoli, che furono invitati a entrare pacificamente a Tenochtitlan l'8 novembre. Sembrava che nessuna delle parti avesse idea su come procedere ma, per il momento, questo approccio pacifico prevalse su coloro che gridavano alla guerra. Entrare nella capitale poteva rivelarsi una trappola, ma era certamente una occasione accattivante. Gli spagnoli non poterono credere ai loro occhi davanti alla grandezza di questa grande metropoli, in cui torreggiavano templi piramidali, gigantesche strade rialzate, giardini galleggianti di rose e alberi che emanavano un dolce profumo. La vista più splendida di tutte però, era Montezuma stesso:

Il grande Montezuma scese dalla sua portantina... sotto un mantello meravigliosamente ricco di piume verdi, con decorazioni di oro, argento e perle... Montezuma era splendidamente vestito secondo la lora moda... indossava dei sandali con le suole d'oro e la parte superiore decorata con pietre preziose... i nobili gli camminavano davanti spazzando il terreno dove passava, stendendo a terra dei mantelli per non fargli toccare la terra con i piedi. Nessuno di questi capitribù osava guardarlo in faccia.

(217)

Cortés diede al sovrano azteco una collana di perline profumate, che in cambio offrì una collana di granchi d'oro e li invitò a sentirsi come a casa nel palazzo di suo padre Axayácatl (r. 1469-1481), che era anche il posto in cui era custodito il tesoro dell'impero. Montezuma sembrava determinato a dare ai suoi ospiti più doni di valore possibile, forse nella speranza che, una volta soddisfatti, tornassero da dove erano venuti. Dall'alta parte, adesso gli spagnoli desideravano diventare di arricchirsi come non mai. Opportunamente, gli spiegarono che rappresentavano Carlo V -imperatore del Sacro Romano Impero (r. 1519-1556) - e le basi della religione cristiana.

Díaz ci dà la seguente descrizione fisica del sovrano azteco:

Il grande Montezuma aveva circa 40 anni, abbastanza alto, ben proporzionato, di aspetto esile e modesto, non molto scuro, sebbene dell'usuale carnagione degli indiani. Aveva i capelli corti, appena sopra le orecchie, la barba corta e nera, sottile e di bella forma. Aveva la faccia piuttosto lunga e allegra, dei begl'occhi e il suo aspetto e le sue maniere potevano esprimere cordialità o una postura severa, quando necessario. Era curato e pulito: faceva un bagno tutti i pomeriggi. (224-5)

Headdress of Motecuhzoma II
Copricapo di Montezuma II
Jonathan (Copyright)

Díaz descrive la vita nel palazzo reale, il cibo mangiato e le cerimonie quotidiane. In piacevoli passaggi, illustra l'arsenale, il serraglio, le botteghe degli artigiani, l'enorme mercato all'aperto, i templi con le loro grandi statue e le raffinate fattezze dell'architettura cittadina.

Montezuma viene fatto prigioniero

Montezuma si arrabbiò poiché gli spagnoli persistevano con il loro evangelismo, denigravano gli dèi aztechi e Cortés insisteva nel sostenere che sulla cima del tempio piramidale ci sarebbe stata bene una statua della Vergine Maria. Nonostante gli spagnoli fossero stranieri in una città aliena, circondati da decine di migliaia di potenziali nemici, Cortés decise audacemente di fare prigioniero Montezuma, portandolo via dal palazzo reale e tenendolo dove si erano acquartierati. Così, in una sorta di strano stallo, Montezuma si ritrovò confinato in un'abitazione pur avendo ancora con sé la sua famiglia e i suoi servitori; gli fu persino concesso il suo bagno quotidiano. Nel frattempo, gli spagnoli si spartivano il tesoro reale tra di loro. I nobili aztechi sembrava non sapessero cosa fare in questa nuova situazione, ma erano prudenti a causa delle armi che gli spagnoli avevano utilizzato così efficacemente a Cholula. L'incantesimo si ruppe quando i parenti di Montezuma decisero che lui non andava più bene a nessuno e che loro avrebbero governato meglio l'impero Azteco. Nel frattempo, degli eventi che si svolgevano altrove cambiarono lo stato della partita.

La battaglia per Tenochtitlan

Velázquez aveva inviato una forza a Veracruz sotto il comando di Pánfilo de Narváez, per arrestare Cortés per aver oltrepassato la sua autorità e cercato di conquistarsi un impero personale. Cortés fu obbligato ad affrontare questi concorrenti per il tesoro e così, nel maggio del 1520, lasciò Tenochtitlan nelle mani di un piccolo gruppo di spagnoli al comando di Pedro de Alvarado (c. 1485-1541). Cortés affrontò facilmente la minaccia posta da Narváez perché molti dei suoi uomini si unirono a lui. Nel frattempo, a Tenochtitlan, Alvarado aveva scatenato una guerra, temendo di poter essere attaccato: massacrò un gran numero di dignitari aztechi durante una cerimonia religiosa. Il 24 giugno, Cortés tornò a Tenochtitlan. A Montezuma venne dato il compito di calmare la popolazione, ma fu ucciso dal lancio di un sasso. Gli spagnoli furono intrappolati nel palazzo di Axayácatl, ma Cortés riuscì a fuggire dalla città nel corso di una battaglia notturna, il 30 giugno 1520. Questa sanguinosa ritirata divenne conosciuta come la Noche Triste ("la notte triste"). Gli spagnoli successivamente ottennero una grande vittoria in luglio, vicino Otumba. Dopo molte altre campagne e dopo aver ricevuto rinforzi via mare, vennero catturate diverse città, in particolare Texcoco il 31 dicembre 1520. Cortés iniziò un lungo assedio e riprese Tenochtitlan, aiutato dagli alleati Tlaxcalteca e da diverse navi di legno che gli spagnoli riassemblarono sulle vie d'acqua della capitale azteca.

Tenochtitlan
Tenochtitlan
HJPD (CC BY-SA)

La parte finale del libro copre le ulteriori conquiste in Messico e Honduras, la successiva carriera di Cortés e il tentativo dello stesso Díaz di ottenere riconoscimento in Spagna. Molte edizioni inglesi omettono queste ultime parti e finiscono con la vittoriosa presa di Tenochtitlan nell'Agosto del 1521, che divenne la capitale della Nuova Spagna. Per Díaz e altri l'avventura terminò in una delusione. La perdita del tesoro nel lago Texcoco durante la Noche Triste significava che "noi capitani e soldati eravamo tutti tristi in qualche modo, quando vedemmo quanto poco oro c'era e quanto povera e misera fosse la nostra quota" (419). Era un'esigua ricompensa per anni di difficoltà, battaglie e per essere scampati per un pelo alla morte e alle malattie.

Eredità

Il racconto di Díaz divenne un elemento essenziale per la storia di questo periodo. Ci sono alcune discrepanze con altre cronache, come ad esempio la rivalità tra Cortés e Velázquez e uno o due avvenimenti sono stati mescolati cronologicamente (forse per colpa di archivisti morti da tempo più che dello stesso Díaz). Molti dettagli minori non corrispondono, per esempio il racconto dello stesso Cortés, ma questi di solito vengono segnalati nelle traduzioni moderne e fondamentalmente la storia è considerata accurata, almeno dal punto di vista degli spagnoli che era, ovviamente, quello dei vincitori.

L'opera è anche una testimonianza d'inestimabile valore dello spagnolo di quel tempo, poiché è scritto in uno stile molto meno formale di quello con cui si scrivevano opere simili dello stesso periodo, che è uno dei motivi per cui viene letto ancora oggi mentre altri trattati più colti sono lasciati a prendere la polvere sulle mensole delle biblioteche.

Domande e risposte

Quando fu scritta "La Conquista della Nuova Spagna"?

"La Conquista della Nuova Spagna" fu scritta nel 1568.

Perché Bernal Díaz scrisse "La Conquista della Nuova Spagna"?

Bernal Díaz scrisse "La Conquista della Nuova Spagna" per correggere gli errori che, secondo lui, avevano commesso altri cronisti e per mostrare il suo ruolo e quello di altri conquistadores durante la conquista.

Perché Bernal Díaz del Castillo è importante?

Bernal Díaz del Castillo è importante perché scrisse un racconto di prima mano e accessibile sulla conquista del Messico negli anni venti del XVI secolo.

Bibliografia

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Info traduttore

Giovanni De Simone
Ho conseguito la laurea in Lingue e Mediazione Culturale con il massimo dei voti presso l'Università di L'Aquila. Ho una grande passione per la storia e sono convinto che l'attività di traduzione possa arricchire la conoscenza di ciascuno di noi.

Info autore

Mark Cartwright
Mark è ricercatore, storico e scrittore. Formatosi in filosofia politica, si interessa di arte, architettura e di storia globale delle idee. È direttore editoriale della World History Encyclopedia.

Cita questo lavoro

Stile APA

Cartwright, M. (2022, agosto 26). La conquista della Nuova Spagna [The Conquest of New Spain]. (G. D. Simone, Traduttore). World History Encyclopedia. Estratto da https://www.worldhistory.org/trans/it/1-21007/la-conquista-della-nuova-spagna/

Stile CHICAGO

Cartwright, Mark. "La conquista della Nuova Spagna." Tradotto da Giovanni De Simone. World History Encyclopedia. Modificato il agosto 26, 2022. https://www.worldhistory.org/trans/it/1-21007/la-conquista-della-nuova-spagna/.

Stile MLA

Cartwright, Mark. "La conquista della Nuova Spagna." Tradotto da Giovanni De Simone. World History Encyclopedia. World History Encyclopedia, 26 ago 2022. Web. 21 dic 2024.