La rivolta dei sepoy, chiamata anche "ammutinamento indiano", "l'insurrezione" o "Prima guerra d'indipendenza indiana, fu un tentativo di ribellione fallito contro il dominio della compagnia britannica delle Indie orientali in India (East India Company, EIC). Quella che divenne un'ampia ribellione, che coinvolse ampi strati della popolazione indiana in alcune regioni, scaturì da un ammutinamento dei soldati indiani dell'esercito della compagnia delle Indie (i sepoy, appunto).
Alla fine, i britannici repressero l'insurrezione, ma l'EIC venne dissolta: in nome della corona britannica, lo stato prese il controllo dei possedimenti della compagnia in India. I motivi di malcontento all'origine della ribellione e gli atti di violenza perpetrati da entrambe le parti influenzarono le relazioni anglo-indiane per oltre un secolo.
Approccio generale alla definizione degli eventi
Il nome dato ai traumatici eventi del biennio 1857-8 è cambiato nel corso del tempo, a seconda di una visione più oggettiva o più nazionalistica da parte degli storici coloniali o degli scrittori di entrambi i campi. È un dato di fatto che le cause sono molto complesse, e vanno oltre la ribellione dei sepoy della compagnia. In alcune zone chiave dell'India fu coinvolta una parte significativa della popolazione e si trattò di una ribellione in piena regola. Tuttavia, una parte altrettanto importante della popolazione indiana rimase fedele allo status quo o, comunque, assunse una posizione neutrale.
Molti storici concordano nell'affermare che gli eventi del 1857-8 non possono essere descritti pienamente come "un vero movimento per l'indipendenza", per il semplice fatto che non l'India non costituiva una singola Nazione all'epoca. Non ci fu neanche una vera coordinazione tra i vari gruppi di insorti, che avevano scopi differenti, anche se tendenzialmente erano tutti caratterizzati da uno spirito anticoloniale. È anche vero che le persone coinvolte provenivano da tutti i ceti sociali e così, in un certo senso, la rivolta ebbe una sorta di carattere "nazionale". Le complesse tensioni che ruotano attorno agli eventi del 1857-8 sono state fonte di un continuo dibattito. Sintetizzando, lo storico I. Barrow afferma che: "è uno dei più grandi dibattiti della storia dell'Asia meridionale e dell'impero britannico" (116).
I sepoy nell'esercito della compagnia delle Indie
Anche se la compagnia delle Indie orientali era una società commerciale, dalla metà del XVIII secolo impiegò un esercito privato per proteggere i suoi interessi e per espandere i suoi possedimenti territoriali. A partire dal 1765, solo i britannici potevano essere nominati ufficiali: la maggioranza della truppa era composta da soldati indiani. Questi soldati vennero chiamati prima peons e successivamente sepoy - una corruzione del termine persiano sipahi (letteralmente: soldato). I sepoy, dunque, erano più numerosi dei soldati europei. Nel XIX secolo, il rapporto tra soldati indiani e britannici era di 7:1. Molti indiani si arruolarono in cerca di uno stipendio più alto e per avere l'opportunità di migliorare la loro condizione all'interno della società indiana tradizionale. L'EIC si prese il rischio di dipendere da un numero così alto di soldati indiani a causa dell'estrema difficoltà nel reclutare soldati esperti dalle file dell'esercito regolare britannico. I sepoy vennero ben addestrati e ben equipaggiati, e contribuirono all'espansione dell'EIC in India, specialmente dopo le quattro guerre anglo-mysore (1767-1799) e le due guerre anglo-sikh (1845-1849). Al momento della rivolta dei sepoy, l'esercito dell'EIC era composto da circa 45.000 soldati britannici e da 230.000 indiani.
Le cause della ribellione
Le principali cause della ribellione furono:
- il malcontento dei sepoy dovuto al fatto che la loro paga era la metà di quella dei soldati britannici
- i sepoy temevano che nelle cartucce dei fucili venissero usati grassi animali con cui, in base alle loro credenze religiose, non dovevano entrare in contatto
- la riluttanza dei sepoy nel servire all'estero
- molti principi indiani avevano perso i loro domini o dovevano pagare un'elevata "tassa di protezione" all'EIC
- un'elevata tassazione gravante su tutta la popolazione
- la preoccupazione che le tradizionali pratiche culturali indiani fossero minacciate
- il timore per l'effetto che la concorrenza sleale dell'EIC sulle importazioni aveva sul tradizionale settore manifatturiero indiano
- l'altezzosità britannica e il razzismo istituzionale.
I sepoy avevano diverse rivendicazioni che, nonostante le proteste pacifiche, ritenevano non fossero state ascoltate. Ci furono alcune rivolte su piccola scala sin dal 1806, che però vennero represse severamente. I sepoy non sopportavano il fatto di ricevere una paga più bassa rispetto ai soldati britannici. Inoltre, i loro stipendi non furono aumentati per oltre 50 anni, il che vuol dire che in termini reali la paga aveva perso metà del suo valore rispetto a quella del 1800. I soldati indiani erano anche restii nel servire all'estero, poiché nella cultura indù erano richiesti costosi riti di purificazione. Non sopportavano neanche il razzismo istituzionale con il quale gli veniva preclusa la possibilità di diventare ufficiali. La goccia che fece traboccare il vaso fu l’introduzione di cartucce per i fucili Enfield lubrificate con grassi animali. Dato che le cartucce dovevano essere tenute in bocca per essere preparate, la presenza di grasso di maiale o di mucca offendeva il credo di musulmani e indù, essendo tabù per l'uno o per l'altro (in realtà il grasso non era di nessuno dei due animali). Alla voce che girava sulle cartucce si aggiunse quella sulle farine (che si credeva fossero mischiate con ossa di maiale e mucca) e sul sale (a cui si temeva che venisse aggiunto sangue suino o bovino; in realtà aveva una sfumatura rossa a causa dei sacchi usati per il trasporto). In breve, lo stato di segregazione degli ufficiali nei confronti della truppa e la conseguente mancanza di comunicazione tra i due gruppi aveva instaurato un clima di mutuo sospetto che si rivelò una polveriera.
Oltre al malcontento dei sepoy, erano in corso altri fenomeni. Con il collasso definitivo dell'Impero moghul dopo un lungo periodo di decadenza, le sue istituzioni statali scomparvero. Molti stati principeschi indiani si trovavano abbastanza bene con l'EIC, che in molte parti era subentrata ai Moghul. Alcuni sovrani avevano assoldato i soldati dell'EIC per schiacciare i loro rivali o per sedare ribellioni interne; altri invece furono obbligati a pagare alla compagnia una "tassa di protezione", da molti storici descritta come una forma di estorsione.
Un altro serio motivo d'attrito era dovuto alla politica dell'EIC di impadronirsi degli stati principeschi ogniqualvolta ne aveva il pretesto. Uno dei metodi di acquisizione utilizzati, in particolare dopo il 1848, quando il marchese di Dalhousie (1812-1860) divenne governatore-generale della compagnia, era la cosiddetta "dottrina dell'estinzione": nel caso in cui non avevano eredi diretti, ai principi indiani non veniva concesso di passare i propri territori a dei figli adottivi. Anche un'accusa di malgoverno portò alcuni sovrani a perdere il trono. Le aggressive politiche espansioniste della compagnia fecero sì che molti stati principeschi si unissero alla rivolta dei sepoy, mentre altri rimasero neutrali.
L'attività della compagnia causava sofferenze anche alla gente comune. Fin dall'accordo denominato Bengal Permanent Settlement ("insediamento permanente del Bengala") del 1793, l'EIC esercitava avidamente il prelievo fiscale sui popoli sotto la sua giurisdizione, persino in tempi di crisi. Gli indiani non erano contenti né di questa politica di tassazione né del sistema giuridico britannico. La rimozione di alcuni principi portò alla scomparsa dell'intero apparato statale, specialmente per quanto riguarda l'esercito e la fabbricazione di armi. Gli artigiani soffrivano la competizione dei beni importati dall'EIC, soprattutto quella dei tessuti realizzati negli stabilimenti manifatturieri del nord dell'Inghilterra. La compagnia mise anche le mani sul traffico di indaco e oppio con la creazione di monopoli commerciali.
Lord William Bentinck (1774-1839), governatore-generale dell'EIC dal 1828, attuò varie riforme sociali, tra cui la più nota fu l'abolizione del sati (o suttee) nel 1829. Questo rituale prevedeva che una vedova indù si sacrificasse sulla pira funeraria del suo ultimo marito. Mentre alcuni vedevano di buon occhio la fine di questa usanza, altri erano altrettanto preoccupati che potessero venire minacciate altre pratiche culturali, data la continua "occidentalizzazione" dell'India messa in atto dalla compagnia. Gli indiani venivano educati alla cultura inglese e preparati a servire nei ranghi più bassi dell'amministrazione britannica. Figure come Thomas Babington Macaulay (1800-1859), un membro del consiglio dell'EIC, denigrarono pubblicamente il valore dell'educazione indiana classica. Dal 1833 l'EIC garantì l'accesso in India ai missionari, la cui presenza fu percepita come un altro assalto alla cultura indiana. Anche il razzismo istituzionale dell'EIC e l'arroganza dei britannici contribuirono in maniera significativa a fomentare il malcontento.
La diffusione della rivolta
La scintilla iniziale della rivolta dei sepoy fu la punizione di uno di loro, Mangal Pandey (o Pande), nel marzo del 1857. Pandey aveva ferito un ufficiale europeo vicino Calcutta e, per questo crimine, fu giustiziato. L'ingiustizia si tramutò in oltraggio dopo la decisione di frustare l'intera compagnia a cui apparteneva Pandey. Il 10 marzo del 1857 i sepoy di stanza a Meerut si sollevarono, protestando per le condanne a dieci anni di prigione inflitte a 85 di loro per essersi rifiutati di usare le cartucce Enfield lubrificate. I sepoy uccisero i loro ufficiali britannici e dopo diventarono incontrollabili. Uno degli ammutinati disse: “ero un buon sepoy, e avrei servito ovunque, ma non potevo rinunciare alla mia religione" (James, 239). Gli ammutinati catturarono la vicina Delhi l'undici di maggio, uccidendo donne, bambini e uomini europei ma anche indiani convertiti al cristianesimo.
L'EIC non era preparata alla rivolta, durante la quale i sepoy proclamarono l'imperatore moghul Bahadur Shah II (1775-1862) come loro capo. Successivamente, la ribellione si diffuse spontaneamente per tutta l'India, interessando non solo i sepoy ma anche proprietari terrieri, mercanti e contadini, sia di fede islamica che indù. Il Bengala fu il centro dei problemi maggiori per l'EIC: 45 reggimenti sui 74 di stanza lì si rivoltarono. In via precauzionale, dei 29 reggimenti di sepoy rimanenti, 24 vennero sciolti o disarmati. Anche i reggimenti di cavalleria del Bengala si ribellarono. Fortunatamente per i britannici, negli altri due centri principali in mano alla compagnia, Madras e Bombay (Mumbai) - non ci furono insurrezioni di tale portata: l'esercito di Madras rimase leale, mentre a Bombay si ribellarono solo due reggimenti.
La causa dei sepoy venne sposata da una schiera di principi indiani insoddisfatti dal pessimo trattamento ricevuto dall'EIC. La regina Rani Lakshmi Bai di Jhansi (1835-1858) e Nana Saheb, pretendenti al titolo di peshwa (paragonabile alla carica di primo ministro nell'Impero maratha) furono tra coloro che impugnarono le armi contro la compagnia delle Indie. Alcuni principi rimasero fedeli all'EIC, come i maharaja di Gwalior e Jodhpur (anche se una parte delle loro truppe si ribellò). Inoltre, la violenza, i saccheggi e le estorsioni da parte degli insorti convinsero molti degli indiani più benestanti a supportare l'EIC, piuttosto che vedere i loro affari rovinati e le città sprofondare nel caos. Altri ancora, quando le circostanze glielo permisero, restarono neutrali.
La ribellione continuò a diffondersi con una velocità straordinaria, grazie ad agenti inviati proprio per queto scopo; molti altri si unirono dopo aver osservato i successi degli insorti e la debolezza della risposta britannica. In molti casi chi si univa alla rivolta non aveva niente da perdere. Gran parte dell'India settentrionale e centrale era letteralmente in armi, in particolare nelle valli del Gange e del Narmada. Quando l'EIC riuscì a mobilizzare le truppe rimaste fedeli, scoppiarono feroci combattimenti a Varanasi, Gwalior, Jhansi, Kampur e Lucknow. Anche nelle regioni del Punjab, dell'Assam e del Rajasthan si registrarono ribellioni di minore entità. Per combattere i ribelli, la compagnia iniziò a ingaggiare reggimenti dell'esercito regolare britannico e a utilizzare truppe leali, come i Sikh, e nuovi alleati, tra cui i Gurkha del Nepal. Delhi fu ripresa il 18 settembre 1857, dopo una battaglia brutale durata sei giorni; nel marzo 1858 fu il turno di Kampur e Lucknow.
Le ribellioni vennero schiacciate definitivamente nella primavera del 1858 per due ragioni: l'enorme superiorità di risorse dell'EIC e la mancanza di coordinazione tra i ribelli nella struttura di comandando e sul piano delle rivendicazioni. C'erano molti gruppi particolari, anche se non divisi per linee religiose, ognuno dei quali aveva le proprie istanze, che andavano dai grandi piani di restaurazione dell'Impero moghul a squallide vendette contro gli odiati esattori delle tasse. In linea di massima erano tutti concordi nel voler cacciare i britannici dall'India, ma non erano d'accordo su chi dovesse rimpiazzarli. Alla fine, 40.000 soldati britannici arrivati via nave dall'Europa decisero le sorti del conflitto in favore della compagnia delle Indie. Nel giugno del 1858, Lord Canning, governatore-generale dell'EIC, annunciò il ristabilimento della pace; la regina Vittoria aveva promesso un'amnistia per i ribelli, il riconoscimento dei diritti dei principi indiani e la tolleranza religiosa per tutti.
Conseguenze
Come riassume Barrow, le perdite furono pesanti da entrambe le parti, ma gli indiani ne ebbero di gran lunga di più:
Vennero uccisi 2.600 soldati e 157 ufficiali britannici. Altri 8.000 morirono per malattie e insolazioni, mentre i feriti gravi furono 3.000. Le perdite indiane, tra la guerra e la conseguente carestia, ammontano quasi a 800.000 persone.
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Entrambi gli schieramenti commisero atrocità e massacri sul personale militare e sui civili, sia nelle città che in campagna. Ci sono un'infinità di casi documentati di imprigionamenti illegali, torture, stupri, esecuzioni senza processo e uccisioni di europei e indiani (uomini, donne, bambini e genti di tutte le religioni). Comprensibilmente, questo bagno di sangue alimentò rancori e un clima di mutuo sospetto nel corso del secolo successivo.
Nel periodo immediatamente successivo, l'EIC si occupò brutalmente dei capi della ribellione. Bahadur Shah II fu esiliato in Birmania, mentre i suoi figli furono giustiziati. La regina Rani Lakshmi Bai fu uccisa in battaglia, e un'altra figura preminente della ribellione, il maratha Tantia Tope, fu giustiziato. I britannici, per ragioni incomprensibili anche a loro stessi, incolparono i musulmani per lo scoppio della ribellione molto di più di quanto fecero con gli indù: i soldati britannici furono spesso colpevoli di trattare duramente i prigionieri di fede islamica. Si verificarono talmente tanti episodi di saccheggio, processi sommari e impiccagioni che gli amministratori dell'EIC dovettero addirittura emanare una risoluzione che costringeva i suoi impiegati a mostrare più compostezza. Lo storico W. Dalrymple sostiene che le migliaia di impiccagioni e omicidi costituiscono "probabilmente l'episodio più sanguinario nella storia del colonialismo britannico" (391).
La Gran Bretagna, già insoddisfatta dal governo dell'EIC in India, prese pieno possesso dei territori indiani il 2 agosto 1858, al culmine di un graduale processo di regolamentazione e controllo sulla compagnia. Secondo il parlamento, l'EIC non aveva né il diritto né la competenza di fare guerra in nome del popolo britannico. Una compagnia commerciale, senza nessuno a cui rispondere se non ai propri azionisti, non poteva che governare senza il dovuto consenso, capacità di compromesso o attenzione per la giustizia.
La marina dell'EIC venne sciolta e, nel giugno del 1862, finirono sotto il controllo dello stato i nove reggimenti composti da europei, anche se solo nel 1895 i vari eserciti superstiti delle province amministrative della compagnia (i cosiddetti presidency armies) vennero finalmente incorporate in un unico esercito anglo-indiano (British Indian Army). Questo nuovo esercito aveva una quota di soldati britannici molto più alta rispetto a prima.
La rivolta non portò i britannici a rivedere quello che essi consideravano il loro diritto di colonizzare l'India, bensì li fece riflettere su quali potessero essere stati gli errori che avevano commesso nel loro dominio coloniale. Ebbe inizio in tal modo quello che viene chiamato il British Raj (insieme dei domini britannici nel subcontinente indiano). La compagnia delle Indie orientali venne formalmente sciolta dal parlamento il primo giugno del 1874. I sepoy e tutti quelli che si erano uniti a loro videro solo che il vecchio oppressore era stato rimpiazzato da uno nuovo o, piuttosto, sembra dallo stesso con una maschera differente. Nel 1877, la regina Vittoria venne proclamata Imperatrice d'India, e i britannici continuarono a spremere tutte la risorse che poterono dal subcontinente, fino a che, nel 1947, un movimento che si ispirava alla rivolta di quasi un secolo prima, non ottenne l'indipendenza.