Gli acquedotti consentono di trasportare acqua da un luogo all'altro, garantendo una fornitura regolare e controllata ad aree che altrimenti non ne riceverebbero a sufficienza. Già dall'antichità gli acquedotti servivano a soddisfare esigenze fondamentali quali l'irrigazione delle colture alimentare e la fornitura di acqua potabile. Gli acquedotti antichi si presentavano sotto forma di gallerie, canali di superficie, tubi di argilla coperti e ponti monumentali.
Da quando l'uomo ha iniziato a vivere in comunità e a coltivare la terra, la gestione dell'acqua è stato un fattore chiave per il benessere e la prosperità della collettività. Negli insediamenti lontani da fonti d'acqua dolce venivano scavati condotti nelle falde acquifere sotterranee per creare pozzi e cisterne che permettevano di raccogliere l'acqua piovana da utilizzare in un secondo momento. Gli acquedotti sotterranei o realizzati in superficie simili a ponti, invece, permettevano alle comunità non solo di accedere all'acqua dolce e potabile, ma anche di vivere più distanti da fonti d'acqua e di utilizzare terreni che altrimenti sarebbero rimasti incolti.
Dove si trovavano i primi acquedotti?
I primi e più semplici acquedotti consistevano in tegole d'argilla rovesciate e talvolta tubi che incanalavano l'acqua per una breve distanza e seguivano i margini del terreno. I primi esempi risalgono alla civiltà minoica di Creta, all'inizio del II millennio a.C., e alla Mesopotamia contemporanea. Gli acquedotti rappresentavano anche una caratteristica importante degli insediamenti micenei nel XIV secolo a.C. e garantirono all'acropoli di Micene e alle fortificazioni di Tirinto autonomia contro gli assedi .
Acquedotti in Mesopotamia
I primi sofisticati sistemi di canali a lunga distanza per l'approvvigionamento idrico vennero costruiti nell'Impero assiro nel IX secolo a.C. e comprendevano gallerie lunghe diversi chilometri. Prodezze ingegneristiche tali permisero di costruire acquedotti che seguissero una linea più diretta tra la sorgente e il punto di sbocco. Anche i Babilonesi, nell'VIII secolo a.C., costruirono sistemi di canali estesi e sofisticati. Nel VII secolo a.C., un ampio canale attraversava un ponte lungo 280 metri per portare l'acqua a Ninive, mentre per rifornire Gerusalemme l'acqua veniva trasportata attraverso un tunnel di 537 metri.
Un'ulteriore innovazione di fondamentale importanza nella gestione dell'acqua fu quella dei qanat, grandi gallerie sotterranee, probabilmente originari della Persia (o forse dell'Arabia), che raccoglievano le acque del sottosuolo. Le gallerie, situate a un livello inferiore rispetto a quello del bacino idrico e spesso lunghe diversi chilometri, convogliavano l'acqua grazie alla forza di gravità. Acquedotti sotterranei come i Qanat si potevano trovare in tutto il mondo antico, dall'Egitto alla Cina.
Gestione dell'acqua in Grecia
I primi progetti greci di gestione dell'acqua su vasta scala risalgono al VII secolo a.C. e di solito servivano a rifornire le fontane comunali. Sia Samo che Atene vennero rifornite da acquedotti a lunga distanza a partire dal VI secolo a.C.; il primo, della lunghezza di 2,5 km, comprendeva il famoso tunnel di 1 km progettato da Eupalino di Megara. Pisistrato costruì un acquedotto composto da tubi di ceramica larghi da 15 a 25 cm nella valle dell'Ilisso, lungo 8 km.
Nel IV secolo a.C., Priene, in Asia Minore, disponeva di un sistema simile formato da tubature sotterranee che percorrevano un fossato artificiale coperto da lastre di pietra. Siracusa, nel III secolo a.C., beneficiava di ben tre acquedotti e la Pergamo ellenistica, intorno al 200 a.C., possedeva alcune delle più sofisticate strutture di gestione dell'acqua conosciute all'epoca.
Acquedotti romani
Furono i Romani, tuttavia, ad essersi giustamente guadagnati la fama di costruttori di acquedotti per eccellenza. Gli ambiziosi progetti ingegneristici romani riuscirono a sfruttare ogni tipo di terreno difficile e pericoloso, facendo sì che i magnifici acquedotti ad arco diventassero uno spettacolo comune in tutto l'Impero Romano. Gli acquedotti rifornivano le città d'acqua per soddisfare non solo i bisogni primari, ma anche le grandi terme pubbliche romane, le fontane decorative (ninfei) e le ville private. Mentre la maggior parte degli acquedotti continuava a correre lungo la superficie e a seguire i contorni del terreno quando possibile, l'invenzione dell'arco permise la costruzione di strutture di grande portata, utilizzando nuovi materiali come calcestruzzo e cemento impermeabile, che permettevano di ignorare le caratteristiche sfavorevoli del terreno e convogliare l'acqua lungo un percorso più rettilineo possibile, con una pendenza regolare. Allo stesso modo, l'aumento delle competenze nel campo dell'ingegneria consentì di realizzare canali più profondi su larga scala.
Un'altra innovazione che permise agli acquedotti di attraversare le valli fu il sifone rovesciato. Tali sifoni erano costituiti da tubi di argilla o di piombo rinforzati con blocchi in pietra e, sotto l'effetto della gravità e della pressione, l'acqua scorreva a valle e risaliva il pendio opposto sotto l'effetto della spinta. I ponti ad arco che attraversavano il fondovalle potevano ridurre l'altezza a cui l'acqua doveva scendere e, soprattutto, risalire. Altre caratteristiche degli acquedotti romani erano i rubinetti per gestire la pressione e regolare il flusso dell'acqua, i serbatoi di stoccaggio, le vasche di decantazione per estrarre i sedimenti e i filtri a rete posti agli sbocchi. A volte l'acqua veniva anche "rinfrescata" aerandola attraverso un sistema di piccole cascate. È interessante notare che gli acquedotti romani erano anche protetti dalla legge e non era consentita alcuna attività agricola nelle loro vicinanze per evitare i danni causati dall'aratura e dalla crescita delle radici. D'altra parte, l'agricoltura traeva vantaggio dagli acquedotti, poiché in molti casi venivano creati canali di deflusso per fornire acqua per l'irrigazione dei terreni.
I primi acquedotti a servire Roma furono l'Aqua Appia, lunga 16 km (312 a.C.), l'Anio Vetus (272-269 a.C.) e l'Aqua Marcia, lunga 91 km (144-140 a.C.). La rete aumentò progressivamente, creando anche collegamenti tra gli acquedotti: l'Aqua Tepula (126-125 a.C.), la Julia (33 a.C.), la Virgo (22-19 a.C.), l'Alsietina (2 a.C.), l'Aqua Claudia e l'Anio Novus (completati nel 52 a.C.), l'Aqua Traiana (109 a.C.) e l'Aqua Alexandrina (226 a.C.). Gradualmente, altri acquedotti furono costruiti in tutta Italia, ad esempio ad Alatri (130-120 a.C.) e a Pompei (circa 80 a.C.). Giulio Cesare costruì un acquedotto ad Antiochia, il primo fuori dall'Italia. Augusto (27 a.C. - 14 d.C.) fece costruire acquedotti a Cartagine, Efeso e l'acquedotto di 96 km che serviva Napoli. Nel I secolo si assiste infatti a un'esplosione di costruzioni di acquedotti, forse legata alla diffusione della cultura romana e al suo amore per le terme e le fontane, ma anche per soddisfare le esigenze idriche di concentrazioni di popolazione sempre più ampie.
Tra il I e il II secolo vennero superati i limiti della fattibilità architettonica e furono costruiti alcuni dei più grandi acquedotti romani, i quali avevano due o tre arcate e raggiungevano altezze prodigiose. L'acquedotto di Segovia era alto 28 metri e il Pont du Gard, nel sud della Francia, aveva un'altezza di 49 metri; entrambi si possono ammirare ancora oggi come spettacolari monumenti all'abilità e all'audacia degli ingegneri romani.