Il Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina (l'antica Praeneste), in Italia, fu costruito nel II secolo a.C. in onore della dea Iside e della dea Fortuna. L'imponente sito, che occupa un intero versante montuoso, fu realizzato con il cemento romano, o pozzolana, ed è un raro esempio di complesso templare pagano intatto. La struttura mostra nelle forme influenze ellenistiche ed egizie, ed era la sede del Mosaico del Nilo di Palestrina, una rappresentazione della vita lungo il fiume Nilo risalente al I secolo AEC. Durante la Repubblica Romana, venivano utilizzati bastoncini di legno per predire il futuro, e Cicerone (106-43 a.C.) racconta che i Romani non avevano un luogo che ritenessero più sacro del Santuario della Fortuna. Livio (59 a.C. - 17 d.C.) descrisse l'importanza di Praeneste, e il fatto che i comandanti romani consultavano Fortuna prima di iniziare le loro campagne militari nella Prima Guerra Punica (264-241 a.C.). All'inizio dell'era cristiana, Sant'Agapito fu martirizzato a Praeneste. Gran parte del tempio originale fu portata alla luce da scavi realizzati dopo la seconda guerra mondiale (1939-1945). Dal 1954 il sito è stato aperto al pubblico, così come il Museo Archeologico Nazionale di Palestrina, che espone reperti provenienti da tombe dell'età del ferro e del bronzo.
L'imponente struttura templare dell'antica Praeneste, il Santuario della Fortuna Primigenia, domina la regione circostante. Praeneste è oggi chiamata Palestrina, e si trova a circa 23 miglia a sud-est di Roma. Il maestoso tempio presenta sette livelli di rampe e terrazzamenti sul fianco del monte Ginestro, e sulla sommità si trovava un santuario dedicato alla dea, assieme ad un sito per praticare la divinazione e determinare il verdetto dell'oracolo. Il tempio si affaccia a sud-ovest verso il Mediterraneo, e sovrasta un'ampia vallata: ciò permetteva ai fuochi cerimoniali e sacrificali di essere visibili anche da grandi distanze.
Santuario e oracolo
Il Santuario nacque come tempio dedicato alla dea Fortuna Primigenia (la primogenita) ed era collegato anche al culto egizio di Iside. Col tempo il culto si incentrò sulla dea Fortuna, che era raffigurata in una scultura mentre sorreggeva Giove bambino: la dea era infatti associata alla maternità, e il suo oracolo era consultato sia dagli abitanti del luogo che dai romani.
L'imponente struttura si estende per quasi un quarto di miglio (c. 400 metri), l'altezza raggiunge circa la stessa misura lungo le ripide pendici della montagna, e si innalza di livello in livello. Grandi rampe permettevano ai fedeli di salire da un terrazzamento all'altro, fino ad arrivare al luogo in cui si praticavano i sacrifici e i riti divinatori. Cicerone racconta che un giovane veniva scelto per estrarre da un pozzo i bastoncini che avrebbero rivelato il responso della divinazione. Si affidavano fiduciosi all'oracolo non solo gli abitanti della zona, ma anche gli imperatori romani e i capi militari, che ricercavano i consigli dell'oracolo della dea Fortuna.
Cicerone descrisse le origini dell'oracolo, quando un nobile prenestino, Numerius Suffustius, durante un sogno ricevette il compito di spaccare una grande roccia, che rivelò i bastoncini incisi con una lingua antica. La storia include un albero d'olivo stillante gocce di miele, che fu tagliato per creare una scatola o un'arca in cui custodire i bastoncini. Un giovane avrebbe poi scelto uno dei bastoncini, e il fato sarebbe stato determinato. Roma coniò una moneta nel 69 a.C. che mostrava la scatola marchiata con le lettere “SORS”, per custodire i bastoncini, e un'immagine della dea Fortuna sull'altro lato.
Anche se nella sua opera Sulla divinazione Cicerone metteva in discussione il valore dell'oracolo, i Romani credevano che estrarre a sorte potesse davvero predire il futuro, e si affidavano alla divinazione, così come testimonia anche Livio. Durante la Prima Guerra Punica nel 241 a.C., il comandante romano Lutatius Cerco volle un responso da Fortuna, a Praeneste, per decidere su come dovesse comportarsi. Cicerone riporta che Carneade era sicuro che “in nessun altro luogo aveva visto più fortuna che a Praeneste” (libro II, 41.87). I generali romani confidavano in un messaggio di buon auspicio da parte dell'oracolo prima delle loro campagne militari.
Durante il periodo imperiale, gli imperatori romani trovarono il luogo di grande beneficio anche per la salute, grazie all'aria di montagna e alla bellezza del luogo. L'imperatore Tiberio (r. 14-37 d.C.) costruì una residenza nella città, ma arrivò a temere il potere dell'oracolo. Svetonio (c. 69 - c. 130/140 d.C.) racconta che Tiberio temeva “gli oracoli di Praeneste” al punto che ordinò che la scatola che li conteneva fosse portata a Roma, prima di calmarsi e farli riportare al santuario.
La presenza di ricchi romani causò l'espansione della struttura del tempio, e la costante decorazione con sculture, mosaici ed epigrafi in stili che riportavano forti influenze ellenistiche ed egizie nelle forme artistiche ed architettoniche del Santuario e dei suoi cimeli. Questo non garantì la pace, però, poiché la città era periodicamente flagellata da guerre civili: il controllo della montuosa Praeneste significava il dominio sulla rotta che da Roma conduceva a sud. Nell'82 d.C., la città fu saccheggiata dalle forze di Silla (133-78 a.C.), e tutti i suoi residenti maschi furono messi a morte. Più avanti, Roma garantì a Praeneste lo status di municipium, concedendo così agli abitanti la cittadinanza romana. Il tempio rimase un sito pagano fino all'ascesa del cristianesimo a Praeneste e al martirio di Sant'Agapito nel 274 d.C..
Mosaico del Nilo
Il reperto più bello del santuario, il Mosaico del Nilo, era originariamente posto sul pavimento al piano terreno della grotta del tempio, e raffigura la vita lungo il fiume Nilo durante una piena, con le rive popolate da persone tra cui cacciatori egizi e soldati macedoni. Il mosaico policromo raggiunge quasi i 6 x 4 metri e comprende una varietà di figure di animali selvatici, tra cui rinoceronti, coccodrilli, un gerenuk, pesci e uccelli, tutti identificati dal nome in lettere greche. Nella sua collocazione originaria fu allagato dalle acque, e di un mosaico parallelo, il Mosaico dei Pesci, restano solo dei frammenti. Nel tempo, il Santuario della Fortuna è stato paragonato sia al Tempio egizio di Hatshepsut sia al sito dell'Altare di Pergamo.
Sviluppi successivi
I Romani svilupparono un miscuglio di calcare e cenere vulcanica chiamato pozzolana, leggero ma resistente. Uno dei primi edifici a fare uso di questo cemento romano fu proprio il Santuario della Fortuna Primigenia, e la resistenza della miscela è testimoniata dalla conservazione del sito per due millenni. Un'altra caratteristica del sito sono le sue fondamenta massicce e le mura costruite con pietre poligonali enormi e perfettamente sagomate. Inoltre, il santuario e la città erano racchiuse da circa tre miglia (4,5 km) di mura in pietra note come “mura ciclopiche”, poiché date le loro dimensioni si credeva che solo i Ciclopi (giganti con un solo occhio) avessero potuto piazzarle al loro posto.
Gradualmente il nome originario di Praeneste si trasformò in quello odierno di Palestrina, e verso il tardo XVI secolo, gli abitanti della città iniziarono ad invadere il Santuario costruendo sulle rampe e sui terrazzamenti un quartiere noto come Il Borgo. Le case riempirono le piazze centrali e le rampe, e molti residenti raccolsero frammenti di sculture ed epigrafi per decorare le loro proprietà. L'area originale fu coperta al punto che la struttura originaria non era più visibile.
Gli storici dell'architettura provarono a comprendere la struttura: tra questi, Andrea Palladio (1508-1580) visitò il sito nel tentativo di ricostruire la struttura del Santuario così come appariva in origine. Una ricostruzione immaginaria ad opera di Giovanni Stern fu realizzata nel tardo XVIII secolo, e Jean Huyot ne fece un'altra nel 1811, ma nessuno aveva mai visto concretamente il Santuario della Fortuna e le sue rampe sin dai tempi medievali.
La città e le terre circostanti erano controllate dalla famiglia Colonna, a cui succedettero i Barberini, nel 1675. I principi Barberini promossero scavi archeologici nel XIX secolo, recuperando manufatti risalenti all'età del ferro e del bronzo dalle tombe della zona. Conservarono questi reperti nel loro museo privato, incluso il Mosaico del Nilo, che fu rimosso dal piano inferiore del tempio per essere restaurato.
Nel 1944, la seconda guerra mondiale minacciò Palestrina e il Santuario. In giugno, dopo lo sbarco di Anzio, i bombardamenti degli Alleati si spostarono a nord verso Roma. La famiglia Barberini, preoccupata di difendere il Mosaico del Nilo, ordinò che fosse segato in pezzi e custodito in un luogo più sicuro. Qualche giorno dopo, la maggior parte della città fu distrutta, assieme al museo Barberini. Ironicamente, il bombardamento distrusse la maggior parte delle case che formavano Il Borgo, cosa che fece sorgere il dibattito: se ricostruire dopo la guerra, o sfruttare l'accadimento per procedere con gli scavi e portare alla luce il Santuario della Fortuna.
Nel 1947 una squadra di architetti e archeologi, guidata da Furio Fasolo e Giorgio Gullini, iniziò uno scavo che durò dieci anni e rimosse tonnellate di detriti, stabilizzò il fianco della montagna, e rivelò le fondamenta e la struttura originali. Il Santuario della Fortuna e i reperti sopravvissuti furono acquistati dal governo italiano, e nel 1954 un nuovo museo nazionale fu aperto, che comprendeva l'intero sito.
Il Santuario della Fortuna, così come le sculture recuperate e i reperti come il Mosaico del Nilo, furono aperti al pubblico nel nuovo Museo Archeologico di Palestrina e Santuario della Fortuna Primigenia. La conservazione e l'interpretazione del sito continuano, ed oggi i visitatori possono camminare lungo le terrazze della struttura originale, visitare un museo e godere della vista panoramica che si spinge fino al Mediterraneo.