La schiavizzazione dei Nativi nell’America coloniale

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Joshua J. Mark
da , tradotto da Alfonso Vincenzo Mauro
pubblicato il 03 maggio 2021
Disponibile in altre lingue: Inglese, Francese, Spagnolo
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Lo schiavismo era stato praticato dai nativi americani fin da assai prima dell’arrivo degli europei nella regione. Gli individui di una tribù potevano sì essere catturati da un’altra per una varietà di motivi, ma, quale che l’esito o la ragione del suo stato fossero, era dato culturalmente per scontato lo schiavizzato avesse fallato in qualcosa onde meritarselo — come l’essersi sconsideratamente esposto a un rischio pagandone dunque l’azzardo o in qualche modo l’essersi lasciato catturare.

Questo paradigma mutò con l’arrivo degli spagnoli nelle Indie Occidentali (isole del Mar dei Caraibi) nel 1492, e con la loro colonizzazione della regione e dell’America centro-meridionale lungo tutto il XVI secolo — gli indigeni americani presero a essere schiavizzati per il semplice fatto di essere tali. Nell’America settentrionale, dopo l’arrivo degli inglesi, dei nativi furono inizialmente catturati come prigionieri di guerra, ma successivamente si iniziò a catturarne onde venderli alle piantagioni caraibiche e liberare le terre all’espansione delle colonie inglesi.

Landing of Columbus
Lo sbarco di Colombo
Unknown (Public Domain)

Questa pratica (coadiuvata ed incoraggiata dalle stesse tribù indigene, divise tra loro) ebbe seguito per tutta l’età coloniale e fino al 1750, ma, dopo la Guerra d’indipendenza americana (1775 – 1783), i nativi vennero progressivamente spinti nell’entroterra poiché la tratta atlantica degli schiavi africani era intanto diventata più lucrativa. Nonostante ciò, la schiavizzazione dei nativi americani seguitò de facto persino dopo l’abolizione della schiavitù con il XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America; gli statunitensi elusero l’illegalità della schiavitù semplicemente chiamandola con altri termini e giustificandosi con l’interesse alla “civilizzazione dei selvaggi”. La pratica seguitò fino al 1900, conseguendo un drammatico impatto sulle culture e le lingue Nordamericane.

Cristoforo Colombo e lo schiavismo dei nativi americani

Le tribù degli indigeni esprimevano una rimarchevole diversità culturale assai lungi dal formare quella coesa e unificata civiltà onde le rappresentiamo col termine generico di “Nativi americani” o “Indiani d’America”. Ogni tribù considerava sé stessa intrinsecamente superiore alle altre, e, quantunque solessero tra di loro formare alleanze di breve durata per una causa comune, o per periodi più lunghi rapportarsi in seno a confederazioni, esse pur tuttavia si combattevano, per, tra le altre ragioni, beni, prigionieri, e onore tribale.

In alcune tribù, la prole nata da schiavi era essa stessa considerata schiava, così creando una vera e propria classe servile assai prima dell’arrivo degli europei.

Uomini, donne e bambini della tribù sconfitta erano tratti schiavi dalla vincitrice, e tali sarebbero rimasti talvolta a vita e talaltra per alcuni anni — in altri casi ancora fino all’adozione da parte della tribù, di cui diventavano membri a tutti gli effetti. Era anche consuetudinario catturare schiavi a mo’ di ostaggi, tenuti onde garantire il rispetto d’un trattato; e presso alcune tribù non solo era d'uso ridurre in schiavitù a vita, ma anche la prole nata da schiavi era considerata di tale condizione, così creando una vera e propria classe servile assai prima dell’arrivo degli europei.

Questo paradigma prese a mutare dopo l’arrivo nelle Indie Occidentali di Cristoforo Colombo (1451 – 1506) e dei portoghesi, rispettivamente nel 1492 e nel 1500. Durante il suo primo viaggio, Colombo catturò alcuni nativi onde trarli schiavi in Spagna; dal suo secondo viaggio ne portò 500. Tra il 1493 e il 1496, egli istituì un sistema simil-feudale noto in Spagna come encomienda e consistente nell’affidamento di determinati territori con indigeni “in dotazione”; ciò istituzionalizzò la schiavitù dei nativi in tutte le colonie spagnole del Nuovo Mondo e, con l’inizio della colonizzazione francese, olandese e inglese del Nord America, portò all’instaurazione della Tratta atlantica.

Jamestown e le Guerre anglo-powhatan

I francesi e gli olandesi tentarono inizialmente di trarre beneficio dai nativi impiegandoli come guide, cacciatori (massime di pelli), e pescatori, quantunque loro navi prendessero al contempo parte alla tratta degli schiavi più a meridione; successivamente si sarebbero però dedicati anche loro al rapimento e alla vendita di indigeni alle piantagioni spagnole e verso altre regioni. Quando gli inglesi fondarono l’insediamento di Jamestown nella Colonia della Virginia (1607), l’approccio preso fu completamente diverso poiché essi si aspettavano le tribù della Confederazione Powhatan sarebbero state di supporto a coloni incapaci di sostentarsi da sé. Dopo soli tre anni dal loro arrivo, scoppiò la prima delle Guerre anglo-powhatan (1610 – 1646), e già dalle prime fasi del conflitto si prese a ridurre in condizione servile i prigionieri di guerra.

Jamestown Settlement - Powhatan Village
Villaggio Powhatan, presso il museo Jamestown Settlement
Beth (CC BY-NC)

La prima Guerra anglo-powhatan (1610 – 1614) terminò quando il colono inglese John Rolfe (1585 – 1622) sposando Pocahontas (1596 – 1617 ca.), figlia del capo powhatan Wahunsunacock (1547 – 1618 ca.), stabilì una cosiddetta Pace di Pocahontas; ma una seconda guerra anglo-powhatan (1622 – 1626) deflagrò dopo il cosiddetto Massacro indiano del 1622, perpetrato dalla Confederazione Powhatan ai danni dei coloni inglesi di Jamestown. Dopo questi due primi conflitti, i belligeranti siglarono nuova pace e seguitarono a commerciare; dopo una terza guerra (1644 – 1646), la Confederazione fu dissolta e molti membri venduti schiavi oltremare.

La Guerra pequot e la prima schiavizzazione di massa

Mentre Jamestown e le sue colonie-satellite seguitavano a svilupparsi, gli inglesi stabilirono le più settentrionali colonie della Nuova Inghilterra (gli attuali stati del Maine, New Hampshire, Massachusetts, Vermont, Connecticut, e Rhode Island sono tuttora collettivamente noti come New England — NdT). Negli anni ’30 del ‘600, dispute circa le terre e i diritti commerciali accrebbero le tensioni tra i coloni e gli indigeni Pequot, e innescarono un conflitto (1636 – 1638) fonti circa il quale ci riportano un primo caso di schiavizzazione di massa di indigeni. Lo studioso James D. Drake così commenta in merito:

Agli occhi dei coloni, niente poté rendere più evidente una inferiorità degli indiani quanto la loro vendita di massa in schiavitù […] Se un’altra forma di rappresaglia punitiva comunemente amministrata (come la deportazione) fosse stata logisticamente praticabile, forse gli inglesi non avrebbero fatto ricorso alla schiavizzazione. Era tutt’altro che insolito i puritani del New England bandissero quei tali individui percepiti di minaccia alle loro comunità, come avvenne ad esempio con i teologi Roger Williams e Anne Hutchinson; e pure in questi casi, ci si domandava quanto davvero punitivo fosse questo esilio […] Di fatto, però, la schiavizzazione si delineava quale esilio più rigidamente imposto, e pertanto non ritenuto moralmente assai diverso dalle azioni punitive comminate a coloro i quali fossero ritenuti poco ligi alle norme sociali e religiose. Ridurre gli indiani in schiavitù o altra condizione servile era altresì ritenuto di soluzione al dilemma su cosa ‘fare’ di loro, tantopiù che schiavitù e servitù avevano l’ulteriore vantaggio di contribuire al mitigamento della carenza di manodopera nelle colonie del New England. (136 – 138)

Dopo il Massacro di Mystic Fort (1637; coloni, con nativi loro alleati, appiccarono il fuoco a un insediamento pequot trucidandone i fuggitivi), il quale pose fine al conflitto, numerosi Pequot sconfitti furono consegnati schiavi alle tribù Mohegan a Narragansett, alleate degli inglesi, altri venduti oltremare. La colonia inglese delle Barbados, con la sua vasta piantagione di canna da zucchero, necessitava d’una considerevole importazione di schiavi poiché i più morivano nel primo anno di lavoro forzato, o addirittura nei primi mesi; e molti Pequot furono là deportati.

Lieut. Gardiner Attacked by the Pequot
Il luogotenente Gardiner attaccato dai Pequot
Charles Stanley Reinhart (Public Domain)

Il ruolo dei Nativi americani nella schiavitù

Gli indigeni possessori di schiavi solevano trattarli generalmente peggio degli europei, poiché era nozione gli schiavizzati perdessero onore e dignità umana soccombendo alla cattura e al conseguente deplorevole stato; tuttavia non è noto se questo fosse paradigma antecedente l’arrivo degli europei o se venisse appunto modellato sul trattamento da quelli riservato agli schiavi. Ad ogni modo, non solo le tribù indigene possedevano schiavi, ma coadiuvarono i colonizzatori nel procacciarne altri. Lo studioso Andres Resendez nota:

I nativi americani furono sin dal principio coinvolti dagli europei nell’impresa schiavista. Anzitutto offersero prigionieri ai nuovi arrivati, e li aiutarono nello sviluppo di nuove reti di schiavismo prestando servizio come guide, guardie, intermediari, fornitori locali; successivamente, essendo procuratisi armi europee e cavalli, essi poterono accrescere il proprio potere e assoggettarsi il controllo di una ancor maggiore quota nel traffico degli schiavi.” (172)

Alcune tribù si resero particolarmente versate in questa pratica al fin di rimuovere confinanti rivali e annetterne le terre — volontà di potenza cui aspetto precipuo fu l’acquisizione di cavalli e, come riferito da Resendez, armi. Le armi da fuoco europee assicuravano significativo vantaggio ad una tribù in conflitto con altre che ne erano prive. Essendosi di ciò ravveduti, i coloni armarono i nativi e ne ottennero aiuto onde ulteriormente schiavizzarne altri. A tal riguardo, lo studioso Alan Taylor commenta “Attratti gradatamente nella tratta degli schiavi, i nativi non poterono che troppo tardi comprendere questa collusione li avrebbe di fatto distrutti in toto” (228). La tribù Narragansett, la quale non solo aveva aiutato gli inglesi a sconfiggere i Pequot ma ne aveva tratto molti in schiavitù, avrebbe presto pienamente appreso questa lezione — durante la cosiddetta Guerra di re Filippo.

La Guerra di re Filippo e la schiavizzazione di massa

Anche nota come Guerra di Metacom (1675 – 1678), si trattò di un conflitto su larga scala tra le tribù indigene alleate del capo della confederazione Wampanoag, Metacom (anche appunto noto come re Filippo, 1638 – 1676), e i coloni della Nuova Inghilterra. Metacom era figlio di Massasoit (1581 – 1661), il quale aveva aiutato i pellegrini della Colonia di Plymouth a sopravvivere e stanziarsi; egli era stato, insieme al primo governatore della colonia (John Carver, 1584 – 1621) il firmatario del trattato di pace tra i pellegrini e i Wampanoag — trattato che fu onorato dalle parti sino alla morte del primo, quando Josiah Winslow (1628 – 1680), assistente del governatore e poi governatore di Plymouth egli stesso, diede inizio a politiche di progressiva erosione dei territori Wampanoag sino a forzare Metacom nella risoluzione d'agire onde proteggere il suo popolo e modo di vivere.

King Philip (Metacom)
Re Filippo (Metacom)
Paul Revere (Public Domain)

La Guerra di re Filippo devastò le colonie della Nuova Inghilterra per oltre un anno, finché il capo indiano non venne tradito e ucciso da uno dei suoi ad agosto 1676. Prima di questo epilogo, i Narragansett, mantenutisi neutrali durante il conflitto, furono attaccati, uccisi in gran numero e altri venduti schiavi dopo la battaglia cosiddetta della Grande Palude (dicembre 1676). Quantunque si fossero tenuti neutrali, essi acconsentirono ad accogliere i feriti, le donne e i bambini, e gli altri non combattenti; così facendo persero per Winslow lo status di neutralità, e questi guidò l’attacco alla loro roccaforte, uccidendone oltre 600 — prevalentemente donne e bambini, e rifugiati di altre tribù.

I membri superstiti dei Narragansett si allearono successivamente coi Wampanoag contro gli inglesi, ma fu troppo tardi: quantunque alcune tribù della confederazione seguitarono a pugnare fino al 1678, con la morte di Metacom la guerra era di fatto finita, e tutti, combattenti e non, venduti schiavi. Una delle ragioni per cui queste tribù persistettero a combattere era proprio la certezza sarebbero stati tratti in schiavitù oltremare. Lo studioso Linford D. Fisher così approfondisce, in merito:

Il timore di finire in schiavitù e, più segnatamente, la paura d’esser rivenduti schiavi altrove giuocarono un ruolo prevalente nel casus belli della Guerra di re Filippo […] La prospettiva terrificante d’esser spediti schiavi oltremare era costantemente presente per i nativi, anche in tempi di pace. La paura di essere coercitivamente e ingiustamente mandati nelle Barbados come servi o schiavi (in Lingua inglese, e nel testo originale, si attesta il relativo verbo “to Barbados” — N.d.T.) accomunava gli indiani e i prigionieri di guerra e i criminali delle Isole britanniche — come tali, paure non infondate, poiché i registri coloniali della Nuova Inghilterra fanno infatti regolarmente rapporto di trasporti, sia esigui che cospicui, di indiani mandati nelle Barbados, Bermuda, in Giamaica, o, più generalmente, ‘fuori dal Paese’.” (Why shall we have peace, 1)

Anche prima dell’uccisione di Filippo/Metacom, molti indigeni si arresero tuttavia, nella speranza di risparmiarsi la riduzione in schiavitù — vano auspicio, avendo Winslow dichiarato tutti i nativi essere complici della rivolta di Filippo, e fatto trarre schiavi oltremare anche molti di coloro rimasti completamente neutrali durante la guerra, oltre a quanti avevano combattuto.

Tuttavia costoro non furono mandati nelle Barbados, poiché una legge dell’Assemblea dell’isola del 14 giugno 1676 aveva decretato la proibizione d’importare nativi dalla Nuova Inghilterra. Nel maggio 1675, alle Barbados, constanti d’una già cospicua popolazione di schiavi, si era sventato un tentativo di rivolta su larga scala da parte degli schiavi africani, e non s'intendeva importare altri schiavi che avessero già altrove partecipato a rivolte armate. Gli schiavizzati indigeni della Nuova Inghilterra furono mandati in Giamaica, nelle Bermuda, e nelle altre colonie inglesi, o trasportati più a sud sul continente onde impiegarli nei campi di tabacco della Virginia.

I Westo e altri schiavi

Come si espansero le colonie inglesi, così s'accrebbe la tratta degli schiavi nativi americani, in larga parte facilitata da stesse tribù di altri nativi. La provincia di Carolina (successivamente divisa in Carolina del Nord e del Sud) su fondata con atto costitutivo del 1663, ma coloni stanziati nella regione erano già coinvolti nella tratta di indigeni, grazie al supporto della tribù Westo nel ridurne in schiavitù migliaia e imbarcarli oltremare. Resendez commenta:

Nel periodo tra il 1670 e il 1720, i caroliniani esportarono più schiavi da Charleston (South Carolina) di quanti ne importassero dall’Africa. Con l’accrescersi della tratta, onde procurarsi prigionieri, i coloni fecero vieppiù ricorso agli indiani Westo — un gruppo considerevolmente vasto che perpetrava incursioni in tutta la regione. L’antropologo Robbie Ethridge ha coniato il termine 'società bellico-schiavistiche' onde riferirsi a gruppi come i Westo, i quali diventarono i principali fornitori di prigionieri nativi per gli europei e altri indiani.” (172)

I Westo, nemici di tutte le circostanti tribù, operarono esclusivamente in un’ottica di proprio interesse finanziario. Si ritiene essi originariamente abitassero più a nord, intorno al lago Erie; migrarono poi verso sud, e ne si fa prima menzione scritta nel luglio 1661, quando distrussero un avamposto religioso spagnolo (missione) nel territorio dell’odierno stato della Georgia. Si stabilirono successivamente nelle zone selvagge della Virginia e monopolizzarono rapidamente la tratta degli schiavi, assaltando e depredando indiscriminatamente le terre delle altre tribù, e vendendone i prigionieri ai colonizzatori. Il monopolio Westo perdurò fino a che gli Shawnee negoziarono un accordo commerciale con i colonizzatori; i nuovi alleati eliminarono completamente i Westo nel 1680. I superstiti della tribù furono tratti schiavi o fuggirono in parte, e il loro destino ci è ignoto. È improbabile che altre tribù li inglobassero, se non, appunto, in quanto schiavi.

Gli spagnoli avevano ridotto in schiavitù le tribù indigene collettivamente note come i Pueblo, in ciò assistiti di volta in volta da una delle tribù.

La rimozione dei Westo dalla tratta degli schiavi non causò un rallentamento o un arrestarsi di quest’ultima, poiché gli Shawnee a loro volta schiavizzarono numerosi altri nativi catturati durante altrettante incursioni. Più ad ovest, gli spagnoli avevano ridotto in schiavitù le tribù indigene collettivamente note come i Pueblo, in ciò assistiti dall’una o l’altra tribù di volta in volta vincitrice, catturatrice e venditrice di membri di altre; nella zona dell’odierno Nuovo Messico ciò seguitò fino al 1680, quando il capo indigeno Popé organizzò una ribellione di massa — la Rivolta Pueblo, appunto — che rimosse gli spagnoli dalla regione per il decennio successivo.

Questa rivolta fu principalmente motivata dalla religione, poiché i missionari cattolici spagnoli intesero sopprimere le tradizioni spirituali dei nativi americani onde rimpiazzarle con il Cristianesimo cattolico. Tant’è vero che uno dei primi atti d’insurrezione di Popé fu dichiarare la morte di Cristo e della Vergine e appiccare il fuoco a chiese della regione. Ma la Rivolta Pueblo esemplifica anche un altro aspetto della schiavizzazione dei nativi americani da parte dei coloni europei: era opinione, e autogiustificazione, di questi ultimi che gli indigeni andassero “inciviliti” — concetto posto in relazione di sinonimia con quello di “cristianizzazione”; riducendo i nativi in schiavitù, i colonizzatori li estorsero dal loro panorama spirituale tradizionale costringendoli verso la “via della salvezza” della Bibbia e dei pensatori cristiani.

Nel XVIII secolo, le cosiddette Guerre indiane seguitarono a risultare nella schiavizzazione sia di combattenti che di non belligeranti — a partire dalla Guerra dei Tuscarora nella Carolina del Nord (1711 – 1715) e la Guerra yamasee nella Carolina del sud (1715 – 1717). Questi conflitti si trascinarono sino alla vigilia della Rivoluzione americana, e, tra gli altri esiti, comportarono ulteriori deportazioni oltremare di nativi venduti come schiavi.

Tribù di nativi americani continuarono a prender parte alla schiavizzazione di altri popoli indigeni lungo tutto questo periodo, molte, sembrerebbe, nella persuasione che tale partecipazione li avrebbe protetti a loro volta dalla schiavitù; ritennero che, riuscendo d’aiuto ai coloni, sarebbero state successivamente trattate meglio delle altre, che avrebbero potuto tenere per sé le proprie terre, e seguitato a vivere come prima dell’arrivo degli europei. Come notato da Taylor nel passo succitato, essi non compresero che tardi di non potersi fidare della parola dei bianchi, e che qualunque tribù avrebbe potuto essere ridotta in schiavitù o deportata per qualsiasi ragione, indipendentemente da quanto diligentemente si fosse cercato d’ingraziarsi i nuovi arrivati.

Conclusioni

La “civilizzazione” e la cristianizzazione dei nativi ebbe seguito lungo gli interi secoli XVIII e XIX, ma la loro manifesta riduzione in schiavitù sic et simpliciter terminò intorno al 1750, quando gli africani presero a costituire “merce” più popolare nella tratta degli schiavi. I primi africani furono fatti giungere a Jamestown nel 1619, e dagli anni ’60 del ‘600 lo schiavismo si costituì pienamente istituzionalizzato nelle colonie. Anche dopo l’ufficiale abolizione della schiavitù nel 1865, i nativi americani continuarono ad essere di fatto asserviti nel Nord America, sotto il pretesto d’uno sforzo “civilizzatore”.

Il Dawes Act del 1887 privò i nativi delle loro terre, e costrinse ciascuna tribù a dimostrare d’appartenere all’etnia indiana d’America ond’essere ritenuta idonea all’iter per la restituzione. Ai nativi non venne concesso il diritto di voto, e dopo la legge Dawes persero altresì ogni diritto sulle terre nelle quali avevano vissuto per migliaia di anni. Oltre a dover dimostrar d’essere di veri “indiani d’America”, alle tribù fu imposto di riconoscere l’accezione europea del concetto e del diritto di proprietà — completamente estraneo alle popolazioni indigene. Depauperati di terra, identità, e diritti civili, i nativi che non erano già confinati nelle riserve lavorarono essenzialmente come schiavi per salari scarsi o solo addirittura per vitto e alloggio.

Questa situazione si protrasse sino al XX secolo, quando i bianchi presero a riconoscere e criticare le ingiustizie del Colonialismo. Fu finalmente data voce e rappresentatività agli autori nativi americani, proclamando pari dignità civile, sociale e culturale delle nazioni native a quelle europee. La cittadinanza statunitense fu loro concessa solo nel 1924, ma sin da allora hanno fermamente combattuto onde rivendicare e riacquistare le proprie identità tribali, le natie terre, e la dignità di originari nativi americani. I loro sforzi sono stati ostracizzati, contestati e messi alla prova ad ogni passo dal Governo degli Stati Uniti, il quale si promuove come campione di libertà pur negando le legittime pretese dei popoli indigeni che un tempo schiavizzava.

Info traduttore

Alfonso Vincenzo Mauro
Interprete e traduttore a Vietri sul Mare (SA). Condirettore del festival di cultura 'La Congrega Letteraria', a Vietri sul Mare. Corso di laurea in Storia, Universita' degli Studi di Napoli 'Federico II'.

Info autore

Joshua J. Mark
Scrittore freelance ed ex Professore part-time di Filosofia presso il Marist College (New York), Joshua J. Mark ha vissuto in Grecia ed in Germania, ed ha viaggiato in Egitto. Ha insegnato storia, scrittura, letteratura e filosofia all'Università.

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Mark, J. J. (2021, maggio 03). La schiavizzazione dei Nativi nell’America coloniale [Native American Enslavement in Colonial America]. (A. V. Mauro, Traduttore). World History Encyclopedia. Estratto da https://www.worldhistory.org/trans/it/2-1742/la-schiavizzazione-dei-nativi-nellamerica-colonial/

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Mark, Joshua J.. "La schiavizzazione dei Nativi nell’America coloniale." Tradotto da Alfonso Vincenzo Mauro. World History Encyclopedia. Modificato il maggio 03, 2021. https://www.worldhistory.org/trans/it/2-1742/la-schiavizzazione-dei-nativi-nellamerica-colonial/.

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Mark, Joshua J.. "La schiavizzazione dei Nativi nell’America coloniale." Tradotto da Alfonso Vincenzo Mauro. World History Encyclopedia. World History Encyclopedia, 03 mag 2021. Web. 02 dic 2024.