Anicio Manlio Torquato Severino Boezio (477 circa - 524/525) fu uno studioso della tarda Antichità, fatto imprigionare e giustiziare da Teodorico (r. 493-526). Divenne, nei secoli successivi, un modello esemplare per gli intellettuali medievali. La sua opera più nota è il De consolatione Philosophiae (La consolazione della Filosofia). Egli può essere indicato come il pensatore che collega due epoche: l'ultimo dei Romani, il primo degli Scolastici.
L'ultimo dei Romani
La vita di Boezio ebbe come sfondo la fase conclusiva dell'Impero Romano in Italia. Il Re goto Alarico (r. 394-410) aveva saccheggiato Roma nel 410, e nel 476, all'incirca l'anno di nascita di Boezio, il Re Odoacre (r. 476-493) aveva deposto l'ultimo Imperatore d'Occidente. Ciò rappresentò, almeno simbolicamente, la caduta dell'Impero medesimo, sebbene la parte orientale sopravisse grazie all'Imperatore Bizantino, con sede a Costantinopoli, che cercò di sfruttare le divisioni tra le popolazioni barbariche, per tenerle sotto controllo. Ciò accadde, ad esempio, quando l'Imperatore Zenone (r. 474-491) chiese a Teodorico di spodestare Odoacre, ed all'epoca Boezio aveva dieci anni. Dopo poco tempo e molto spargimento di sangue, Teodorico divenne il nuovo Re d'Italia.
Teodorico non sarebbe mai potuto essere ufficialmente investito della carica di Imperatore Romano o divenire nient'altro che nominalmente il primo tra i vassalli di Costantinopoli, ma ricevette comunque i privilegi imperiali ed il ruolo e gli onori all'interno dell'aristocrazia romana. A Roma, infatti, si perpetuavano le antiche strutture sociali ed amministrative. Questo fu il mondo in cui visse Boezio. Egli fu uno di quegli aristocratici che si formarono avendo come modello i propri illustri antenati, camminando lungo le stesse strade e svolgendo i medesimi uffici da Senatore, tutto ciò sotto la spada di Damocle di un Re barbaro.
Non c'è da meravigliarsi quindi se Boezio si vedeva come uno degli ultimi fari della conoscenza, in un mondo che andava verso le tenebre. Egli fu allievo del noto studioso Quinto Aurelio Memmio Simmaco (m. 526), che poi, alla morte del padre, lo adottò formalmente. Una volta cresciuto, Boezio decise di dedicarsi a tradurre in Latino i testi dei più importanti filosofi greci. Si immerse nella traduzione delle opere di Aristotele (384-322 a. C.) e di Platone (428/427- 348/347 a. C.) con la speranza che le loro idee potessero sopravvivere, anche se il colto ambiente romano che era in grado di leggerne la versione greca era destinato a scomparire. Quel mondo non era ancora finito, ma è interessante notare come la famosa Scuola di Atene chiuse definitivamente appena quattro anni dopo la morte di Boezio. Con ciò possiamo davvero dire che egli fu l'ultimo degli Antichi.
Gli esponenti della classe senatoria, a quei tempi, ci sarebbero potuti apparire come anacronistici rappresentanti di un passato ormai tramontato. Le élite erano costituite, prevalentemente, dai ranghi militari. I Re dei Goti, come Teodorico, ad esempio, vestirono come gli ultimi generali romani, senza indossare la toga, che era stata un vero e proprio simbolo del potere, sin dall'epoca di Augusto (r. 27 a.C. - 14 d.C.). In alternativa i nobili romani si convertirono, entrando a far parte della Chiesa, tanto che l'istruzione divenne progressivamente un campo riservato esclusivamente a monaci e vescovi. Il tipo di antico aristocratico romano, che viveva nelle ville extra urbane ed era in grado di citare i classici della letteratura come Virgilio (70-19 a.C.), divenne, col tempo, una figura marginale. Forse la maggiore motivazione che Boezio aveva per sentirsi l'ultimo dei Romani, era la sua tenace vicinanza a tale ideale. Era uno studioso aristocratico, un uomo che mostrò i privilegi ed il prestigio del suo rango, nella conoscenza di Aristotele, così come delle regole della retorica e nell'impegno civico. Non si addiceva a lui il nuovo modello dell'intellettuale religioso, né tantomeno quello dell'uomo forte appartenente alle schiere militari. Ciò non significa affatto che non fosse un Cristiano, anzi egli scrisse diffusamente di Teologia, ma soltanto che il suo Cristianesimo era immerso nel vecchio mondo romano, dove l'aristocrazia riceveva un'ampia istruzione classica.
La sua raffinatezza dovette favorevolmente impressionare il Re, visto che dopo essere stato dal 510 Consul sine collega, nel 522, Teodorico gli affidò la carica di capo dell'amministrazione (Magister officiorum) della capitale, Ravenna, ed altri incarichi a Verona e Pavia, mentre entrambi i figli di Boezio, a Roma ebbero lustro dalla carica consolare. Il compito affidato ufficialmente a Boezio era quello di riformare l'emissione monetaria, ma Teodorico amava mettere in mostra le capacità dei suoi sottoposti, e gli fu chiesto, inoltre, di approntare nuovi mirabili congegni tecnologici, come meridiane ed orologi ad acqua, in modo che tutti conoscessero la grandeur e l'elevato livello intellettuale della corte di Teodorico.
Comunque la visibilità ed il ruolo di prim'ordine, lo esposero oltremodo ad attacchi ed accuse, ed in conseguenza di ciò le sue opere furono destinate a rimanere incompiute. La sua carriera ebbe, infatti, una fine repentina nel 524, allorquando si impegnò nella difesa di un altro nobile romano, Albino, che era stato accusato di aver intrattenuto una corrispondenza sovversiva con l'Imperatore Giustino I (r. 518-527), uno dei successori di Zenone. Teodorico attribuì a tale coincidenza l'esistenza di una cospirazione, ordita nei suoi confronti, dall'élite dell'aristocrazia romana, ed in realtà non avrebbe avuto torto nel ritenere che loro fossero più devoti all'idea di una restaurazione dell'antica potenza romana, piuttosto che a lui stesso. Persino gli scritti di filosofia teoretica (più astratti) erano sospettati di essere un'affermazione di forza ed indipendenza dell'aristocrazia romana, che Teodorico stava provando a dominare. Alla fine Boezio fu imprigionato e durante la sua prigionia, nell'ager Calventianus, presso Pavia, prima di essere torturato ed ucciso dalle percosse, compose una delle opere fondamentali del pensiero filosofico occidentale, La Consolazione della Filosofia. Tra l'altro Teodorico era di fede ariana, una delle prime eresie, e ciò contribuì ad accrescere, nei secoli seguenti, il valore del martirio di Boezio.
Il primo degli Scolastici
Probabilmente Boezio stesso sarebbe stato sorpreso di sapere che, 600 anni circa dopo la sua morte, le sue opere avrebbero avuto una parte cruciale nella rinascita culturale dell'Occidente. Infatti, l'Europa nel XII secolo conobbe una nuova fase di crescita e sviluppo, che però aveva radici profonde in ciò che noi indichiamo come Alto Medioevo. In realtà il tempo delle Crociate, della Cavalleria e dei racconti romanzi sulla cavalleria stessa, nonché dell'architettura gotica, è quello che, prevalentemente, si associa tout court all'idea di Medioevo. Tuttavia, benché ne sia un aspetto meno rutilante, anche la Filosofia Scolastica e gli innovativi intellettuali che la proposero, furono un prodotto della medesima epoca. Questi uomini, ed anche alcune donne, provarono ad usare la ragione per comprendere la loro Fede cristiana e lo svolgersi dei fenomeni naturali, ispirandosi spesso ai classici della filosofia.
Verificare la fortuna che Boezio riscontrò in tale ambiente intellettuale, equivale, in altri termini, ad avere un elenco dei principali esponenti della Scolastica. Nel fare ciò non possiamo che iniziare dal grande Tommaso d'Aquino (1225-1274), le cui opere maggiormente teoriche sono collegate, in vari punti, con il pensiero di Boezio, come, ad esempio, per la definizione di eternità, concetto chiave della Metafisica medievale. L'Aquinate attribuì a Boezio il merito di aver coniugato la Filosofia di Platone, e la sua idea di eternità, con la storia cristiana della creazione. Egli, a sua volta, si riferì probabilmente all'interpretazione di Boezio elaborata, più di un secolo prima, da Bernardo Silvestre (1085 circa - 1178). Per i più Bernardo Silvestre, noto anche come Bernardo di Tours, Abbazia in cui fu maestro, è nient'altro che un nome da inserire nel periodo di riferimento, ma in realtà, fu uno dei più influenti pensatori del suo tempo.
Trovare un terreno d'incontro tra l'eternità del mondo di Platone ed il Libro della Genesi, era oltremodo importante per una visione del mondo così legata agli insegnamenti dei classici ed allo stesso tempo devota alla Bibbia ed alla dottrina della Chiesa medievale. Non a caso, le traduzioni di Boezio erano alcuni dei pochi scritti di Platone disponibili per gli Scolastici. Platone fu, senza dubbio, per la prima generazione di questi pensatori, il più influente dei filosofi greci, fino a quando Tommaso d'Aquino, da solo o quasi, lo sostituì con Aristotele. Tuttavia, anche in seguito a tale evoluzione, gli studiosi medievali si affidarono a Boezio per conoscere la Logica di Aristotele. Egli, infatti, aveva redatto un'opera sul Commento di Porfirio (234 circa - 305) ad Aristotele, e proprio Porfirio aveva posto in discussione la questione degli "Universali", che da allora in poi divise, acerrimamente, i Filosofi scolastici.
Ildegarda di Bingen (1098-1179), forse la più nota delle donne della Scolastica, e perfino lo scrittore Geoffrey Chaucer (1343 circa - 1400), ebbero un punto di riferimento importante nel pensiero di Boezio. Da ultimo è necessario almeno menzionare il fatto che la più nota opera di Boezio, - La Consolazione della Filosofia -, fu tradotta in Inglese da Alfredo il Grande (r. 871-899) in persona. Il lavoro di Alfredo appartiene all'Ottavo secolo e ad un altro periodo di crescita del Cristianesimo occidentale, ben anteriore al quello della Scolastica. Il Re vi aggiunse appositamente alcuni riferimenti alla cultura anglo-sassone, in modo da renderla maggiormente comprensibile ai suoi lettori, facendo quello che oggigiorno i traduttori chiamano una "localizzazione". In tal modo Boezio salì su di un piedistallo, insieme ad uno dei padri del Cristianesimo inglese.
Boezio diventò tanto noto che La Consolazione della Filosofia, fu, a tutti gli effetti, un manuale classico per gli studenti che affollavano le nuove e fiorenti università di Oxford, Bologna, ed in particolar modo, Parigi. Non a caso, dunque, nel 1220, improvvisamente, un nuovo testo attribuito a Boezio apparve a Parigi: De Disciplina Scholarium. Il titolo in Latino può apparirci altisonante, ma era nient'altro che un vademecum di consigli ed indicazioni per i nuovi universitari, nel quale lo pseudo-Boezio trova anche il tempo di dare suggerimenti su come gestire i propri soldi per mangiare e su come ingannare i propri genitori per avere i soldi da spendere. Naturalmente gli studiosi nostri contemporanei ritengono con assoluta certezza che il testo non fosse stato scritto da Boezio, ma a quel tempo esso ebbe una seria considerazione. Molto più probabilmente, il nome di Boezio era stato utilizzato per collegare le ancora giovani università, agli antichi centri dello studio associati a Boezio stesso, e quindi, in qualche modo, per legittimarli, così come tutta l'Europa medievale si sentiva legittimata a ritenersi la diretta discendente del mondo e della cultura classica.
La Consolazione della Filosofia
La Filosofia, così come il modo di vivere di Boezio, corrispondevano senz'altro maggiormente al contesto tardoantico che a quello medievale, tanto che ben difficilmente i suoi scritti sarebbero potuti essere associati a quelli degli Scolastici. Così è, in particolare, per La Consolazione della Filosofia, sia nella leggibilità che nella chiarezza del testo, nettamente in contrasto con il linguaggio accuratissimo e lo stile tecnico degli Scolastici. L'opera si sviluppa in cinque libri, nella forma di un dialogo tra Boezio stesso e la Filosofia, che è impersonata da una donna, cui l'autore espone il compianto sul proprio oscuro destino e l'angoscia per la greve attesa dell'esecuzione. In un'alternanza di versi e prosa, la donna lo consola. All'inizio, per fare ciò, Lei gli porge quello che definisce come "rimedio leggero" (I 5,12), indicandogli tutte le favorevoli coincidenze per le quali egli è stato, e continua ad essere, un uomo fortunato, nonostante la difficile situazione in cui si trovi attualmente. Di seguito (II 1,7 e ss.) Lei argomenta, progressivamente, il nucleo centrale della sua riflessione, sostenendo che non ha senso lamentarsi della fortuna, perché per sua natura essa è incostante e mutevole, ma, al contrario, gli uomini colti devono porre la loro attenzione a quanto è al di sopra dell'umana condizione, e la può perciò elevare.
L'opera scaturisce, senz'altro, da un contesto classico. Gli obbiettivi di Boezio sono, infatti, gli Epicurei e gli Stoici, che, afferma la Filosofia, Le hanno strappato parti del vestito, "indossandole per guadagnare credito presso gli stolti, fingendo di essere suoi familiari" (I 3,8). Le sue argomentazioni riguardano queste scuole di pensiero, con un sostrato nella Filosofia dell'antica Grecia, piuttosto che le eresie cristiane, e ciò in netto contrasto con le opere di qualcun'altro, come ad esempio Agostino d'Ippona (354-430), impegnato nelle note polemiche contro i Manichei, i Pelagiani ed i Donatisti. Inoltre Boezio riafferma il dovere dei filosofi a prender parte agli affari pubblici, una tradizione antica di cui si è detto in precedenza, che, lo stesso Boezio dice essere auspicata da Platone, col fine di evitare che "uomini empi e spregiudicati" (I 4,6) monopolizzino il potere. Boezio dedica, altresì, le sue premure alla perdita di prestigio, cui nel suo tempo va incontro, il ruolo del praetor. In aggiunta a tutto ciò, il testo è redatto secondo i canoni dell'eloquenza classica. Per i lettori della Roma tardoantica, già nel suo apparire, la donna dagli occhi grigi che impersona la Filosofia, poteva essere associata a Minerva, dato che cita le Storie di Livio e di Erodoto, rievocando, dall'Odissea di Omero, Circe e i Ciclopi, così come fa per Cicerone, il principe dei retori in lingua latina, e, naturalmente, per l'Ercole della Mitologia greca.
Un altro protagonista della cultura classica da presentare è Pitagora (571 circa - 497 a. C.). È suo il comando "segui Dio!", non di Cristo, cui la Filosofia dice a Boezio di obbedire (I 4,38). Pitagora era, infatti, considerato un profeta dai Neoplatonici, scuola filosofica la cui influenza è apprezzabile ovunque nell'opera. Sebbene sia poco noto ai nostri giorni, il Neoplatonismo fu una filosofia con largo seguito nel III secolo, entrando in competizione con altre religioni che ebbero un crescente riscontro a quei tempi, come il Culto di Mitra, il Manicheismo, ed il Cristianesimo stesso. Il primo esponente e fondatore, Plotino, rilesse ed interpretò Platone come una sorta di profeta, dispensatore di una conoscenza superiore e di verità divine sull'universo. In ossequio a tale visione, la vera felicità consiste nell'unione finale con Dio, che si raggiunge soltanto purificandosi gradualmente dalla condizione terrena, divenendo, secondo il gergo della scuola, perfetti.
La consolazione finale è raggiunta realizzando che non c'è nulla di cui essere consolati, una volta che si sia riconosciuta la transitorietà dei piaceri terreni, cui si era in precedenza legati. L'ascesa verso una migliore e pura conoscenza della vera natura delle realtà terrene, è ciò che la Filosofia indica quando dice: "Darò alla tua mente le ali per farla alzare in volo" (IV 1,9). Anche se tutto ciò non sarebbe stato completamente coerente con la concezione platonica del mondo, ed al contrario, perfettamente assimilabile nel Cristianesimo medievale. Dopo aver visto come piuttosto chiaramente non si possa considerarlo uno scolastico, è lecito persino domandarsi se, ed in che modo, fosse un Cristiano. Una prima e sintetica risposta è sì. Sia per la sua influenza sul pensiero cristiano, già ricordata, sia in base ai suoi scritti teologici; oltreché per il più esplicito valore di consolazione cristiana dato, da Boezio stesso, al tempo dedicato alla preghiera. Tutta la sua argomentazione sull'eternità, è basata sulla paura che la prescienza divina sul divenire del mondo, implicasse l'assoluta mancanza di possibilità di una relazione con Dio medesimo, tale da suscitare l'intervento divino e, quindi, che le nostre azioni non siano nient'altro che azioni predeterminate. Il dialogo con la Filosofia verte su tale argomento, la Provvidenza ed il libero arbitrio, nel V Libro, non a caso quello di più ardua lettura ed allo stesso tempo il più noto tra i filosofi.
L'argomentazione di Boezio, nei suoi termini minimi, secondo quanto afferma la Filosofia stessa, si basa sul fatto che l'osservazione di qualcosa che accade, non implica la sua necessarietà. In conseguenza di ciò, benché Dio conosca già il divenire del mondo prima che accada, nessuna delle azioni individuali ha le caratteristiche della certezza. Per dimostrare la sua argomentazione, egli porta l'esempio dello spettatore di una corsa di quadrighe, intento ad osservare l'andamento della gara. Sono le azioni dell'auriga a determinare l'andamento della corsa, mentre lo spettatore può soltanto stare a guardarne lo svolgimento (V 4,15 - 4,16). Le persone, comunque, hanno il loro libero arbitrio, benché Dio sappia quello che faranno. Pertanto, tramite la preghiera, si può avere una relazione privilegiata con Dio, che può aiutare a prendere le giuste decisioni e sostenerci nelle necessità. La discussione termina con il seguente passo:
"La speranza in Dio non è riposta in vano e le nostre preghiere non sono vane, poiché se sono giuste le intenzioni, non possono che essere efficaci. Evitate il vizio, dunque, e coltivate le virtù; elevate la vostra mente verso la retta speranza e presentate umili preghiere all'alto dei cieli. Una grande necessità è riposta in voi, una grande richiesta di fare il bene, poiché vivete sotto lo sguardo di un giudice che vede ogni cosa." (V 4,47 - 4,48)
Si può senz'altro affermare che una tale conclusione si attaglia bene tanto al Neoplatonismo che al Cristianesimo. Ciò è vero, ma nell'orizzonte di senso in cui scriveva Boezio, era possibile che le differenze tra le due dottrine non fossero ben chiare. Persino i Cristiani più zelanti, come Agostino, dovevano lavorare per purificare il loro linguaggio dalle reminiscenze virgiliane o omeriche, dato che la cultura classica non scomparve del tutto con il sorgere del Cristianesimo. La liberazione della mente è cosa ben differente nell'ottica cristiana della salvezza eterna dell'anima, ma l'atteggiamento è simile, e non è difficile vedere il mutuo scambio tra le due dottrine, o persino la loro associazione. Potremmo dire lo stesso della Scolastica e dei suoi esponenti. Al loro apice, essi aspirarono alla pienezza della loro vita intellettuale, all'interno del pensiero cristiano, cercando la verità attraverso la ragione ed attraverso la fede. La Filosofia, non a caso, dice perentoriamente: "La terra vinta, vi dona le stelle" (Libro IV, Carme VII). Tommaso d'Aquino avrebbe senza dubbio approvato tale affermazione.
Non si può dire che Boezio sia stato il primo degli Scolastici nel metodo o nella visione del mondo, cosa che dovremmo associare forse ad Anselmo d'Aosta (1033/4-1109) o comunque ad un appartenente alla sua generazione, tuttavia Boezio fu studiato e citato come se fosse tale. Egli stesso, di certo, non si vedeva come uno Scolastico, ma i pensatori di quel periodo lo considerarono come un ponte tra il loro mondo ed il mondo antico, quello che tanto ammiravano. Non è vero che egli sia stato il loro diretto antenato, ciò nonostante è difficile immaginare la Scolastica senza l'apporto fondamentale del pensiero di Boezio.