L’Islanda del primo Medioevo, colonia vichinga, era una società democratica ed egualitaria, ma la carenza di risorse e l’ambiente ostile generavano competizione: i capi locali ricorrevano a diverse tattiche per ottenere ricchezze e denaro, dallo sfruttamento del loro ruolo di uomini di legge e di rappresentanti del popolo, alle relazioni sociali, spesso complesse, che li legavano ai loro sottoposti.
Sfide economiche
Per comprendere le sfide economiche dobbiamo tenere a mente che la stagione agricola molto breve delle terre nordiche era variabile, e consisteva soprattutto di muschi e licheni. La betulla, unico albero a crescere in Islanda, soffriva per i cambiamenti nelle temperature e in seguito per la deforestazione ad opera della popolazione. I coloni furono probabilmente contenti, all’inizio, che la terra fosse facile da disboscare per far posto alle fattorie, ma molto presto l’isola iniziò a mostrare i suoi limiti. Lo sfruttamento eccessivo causò l'erosione del terreno, il raffreddamento climatico influì sulla produttività e non si svilupparono nuove tecniche agricole. Nel sud era possibile coltivare piccole quantità di cereali, ma il fattore (bændr) solitamente si dedicava invece all’allevamento di ovini e bovini. Il fieno era fondamentale, di conseguenza anche pascoli fertili, e la terra divenne così il bene più ambìto e la fonte di molte contese narrate nelle saghe.
Su questa piccola isola, una soluzione possibile per accrescere la propria ricchezza era quella di rubare semplicemente la proprietà di un altro. Il guadagno che un capo locale (goði) poteva trarre dal semplice esercizio dei suoi doveri per legge, era troppo basso e instabile per supportare i suoi sottoposti, offrire doni e organizzare banchetti. Secondo la Sturlunga Saga, una raccolta di storie sul potente clan degli Sturlungar durante la metà del XII secolo, sembra esistesse una tassa a supporto dei signori locali, la cosiddetta “tassa sulle pecore” (sauðatollr); sembra che fosse riscossa con la forza dai capi locali che necessitavano di fondi, alla fine dell'epoca dello stato libero, ovvero prima che l’Islanda cadesse sotto il controllo della corona norvegese. La linea maggiormente aggressiva adottata verso contadini e mercanti in questo periodo non era limitata all’Islanda, essendo l’Europa in generale soggetta ad inflazione.
Inoltre, l’argento in Islanda non bastava mai, e dunque si dovettero trovare dei sostituti: tessuti, prodotti caseari, bestiame. Il Vaðmál (tessuto filato a mano) divenne molto comune, rimpiazzando l’argento come merce di scambio. I prezzi erano fissati in once standard e discussi nelle assemblee locali. Anche il valore delle vacche era stabilito in queste assemblee, il che significava che i prezzi potevano variare di regione in regione.
Fonti di guadagno
La maggior parte delle informazioni sull’economia le dobbiamo alla raccolta di leggi nota come le "Leggi dell’Oca Grigia" (Grágás), introdotte in Islanda negli anni ’20 del X secolo e modellate su quelle in vigore sulla costa occidentale della Norvegia. Vi erano, a quanto sembra, due tasse legalmente stabilite, la tassa per la thing, cioè l'imposta che i contadini pagavano al signore locale per permettergli di partecipare all’assemblea, la thing (chiamata dunque thingfararkaup), e la tassa del tempio, raccolta presso i contadini che volevano frequentare le funzioni religiose (hoftollr). Secondo lo Islendigabók (Libro degli Islandesi), Gizurr, il secondo vescovo d’Islanda, voleva introdurre una nuova tassa “che tutti dovevano calcolare, e valutare i propri possedimenti, e giurare che la valutazione fosse corretta, che fosse in terreni o in beni mobili, e pagarvi quindi una decima” (cap. 10). Egli stimò che allora vi fossero circa 4560 contadini proprietari di terre che pagavano la thingfararkaup, individui che curavano i propri interessi.
La ricchezza dei capi locali dipendeva dai loro rapporti con queste persone. Quando si riunivano in primavera presso i parlamenti locali, i capi potevano esigere che ogni nono contadino tra i loro seguaci si unisse a loro, e raccogliere le tasse presso quelli che restavano a casa. Probabilmente ciò non era molto, dati i costi elevati del viaggio e il pagamento ai contadini che vi prendevano parte. Una tassa troppo alta sui propri seguaci (thingmenn) poteva significare un deterioramento nei rapporti con essi, una cattiva reputazione per il capo e addirittura la perdita dei sostenitori. La reciprocità e la cooperazione erano le basi istituzionali per un’isola a cui mancava un’organizzazione statale. I contadini dovevano per legge allinearsi con un capo locale al fine di avere voce in capitolo nelle questioni legali, e i capi locali necessitavano dei thingmenn per accrescere il proprio status. Il governo islandese medievale era costruito su una gerarchia di relazioni sociali, e le radici del suo declino possono essere ricercate in una nuova tendenza verso il dominio, quando i capi divennero più forti non solo grazie alla raccolta delle tasse.
L’altra opzione, la tassa per il tempio prima citata, è confermata in narrazioni come la Eyrbyggja Saga (Saga del popolo di Eyri) o la Vápnfirðinga saga (Saga del popolo del Fiordo di Vopna). Quest’ultima narra che “tutti i contadini erano tenuti a versare una tassa al tempio” (cap. 5). Dopo la conversione, le decime divennero una fonte di guadagno per quei capi locali che possedevano chiese, e ne ricevevano la metà, cosa che spiegherebbe come mai questa tassa fu così ben accetta in Islanda. Di solito le decime consistevano in un 10% sui guadagni lordi, ma in Islanda ammontavano all'1% di tassa sulle proprietà. Dall’altro lato, il capo aveva l’obbligo di prendersi cura della chiesa e di pagare il prete, e agli inizi aveva persino il diritto di diventare egli stesso prete. La tassa sulla terra imposta dalla Chiesa fu fruttuosa sia per i capi spirituali che per quelli locali.
Negli scorsi due secoli molti studi hanno sottolineato che lo status di capo implicava più spese che guadagni, essendo quindi non molto conveniente nel periodo tra il 900 e il 1300. La differenza fondamentale tra la tassa per la thing e la tassa sugli ovini era che quest’ultima sembra fosse un tributo più generico e redditizio, anche se non si sa quanto fosse regolare. I contadini assolvevano all’obbligo senza molto entusiasmo, e potevano protestare rifiutandosi di fornire al capo nuove provviste.
Accanto alle tasse, i capi (goðar) avevano altri mezzi privilegiati per raccogliere grandi fortune, ad esempio avevano il diritto di stabilire i prezzi delle merci vendute dagli stranieri (soprattutto norvegesi). Le "Leggi dell’Oca Grigia" stabiliscono che:
È sancito dalle nostre leggi che gli uomini non debbano comprare merci straniere da mercanti marittimi a prezzi più alti di quelli decisi dai tre uomini prescelti a stabilire tali prezzi, nei limiti di ogni distretto. (cap. 167)
Coloro che facevano acquisti prima che i prezzi fossero stabiliti o pagavano di più erano perseguiti da una corte distrettuale. È incerto quanto questo fosse redditizio, poiché i mercanti potevano semplicemente scegliere un altro capo con cui trattare. Era tuttavia un importante privilegio perché le merci importante potevano costituire regali di pregio in una società in cui lo scambio di doni e l’ospitalità garantivano il potere politico. A volte i contatti con i mercanti potevano sfociare nella violenza, come nel caso narrato nella Saga del popolo del Fiordo di Vopna, in cui due capi, Brodd-Helgi e Geitir, uccidono un norvegese dopo il rifiuto di alloggiare insieme, e poi si spartiscono le sue merci. Le dispute sui prezzi divennero più comuni dopo il 1200, peggiorate dalla posizione inferiore degli islandesi nei negoziati. Qualsiasi rimostranza potessero avere sul prezzo, molto raramente avevano la libertà di scegliere.
Potere genera potere
Altre opzioni erano le corti di confisca, féránsdómr, che il góðar poteva gestire in cambio di una quota ragionevole. Il pagamento era più alto per questioni legali contro fuorilegge, e se il capo stesso ne era parte, egli poteva persino ricevere la proprietà del fuorilegge. Ci sono ulteriori esempi di guadagni irregolari, tra cui l’acquisizione dei beni di un defunto che non avesse parenti in Islanda. Secondo la Grágás:
E se vivono in capanne e un uomo muore senza avere una compagna, allora il capo dell’assemblea di cui il padrone di casa fa parte, e che possiede la terra su cui egli vive, ha il diritto di prendersi la proprietà. Se un uomo è capofamiglia qui e muore senza un erede nel paese, allora il capo dell’assemblea di cui faceva parte può prendersi le sue proprietà. (cap. 120)
Nel suo ruolo di giudice o arbitro, un capo poteva risolvere questioni su eredità o diritti di proprietà. Anche se ogni famiglia aveva la libertà di scegliere come amministrare i propri affari, la gente si affidava alle conoscenze legali del capo e al suo approccio diplomatico, e i capi sfruttavano il loro potere in ambito legale e le proprie conoscenze per ottenere benefici finanziari. I contadini benestanti avevano poi la possibilità di aumentare i propri guadagni affittando i terreni a dei locatari, o, dopo il 1097, gestendo i terreni delle chiese. In questo senso, la distribuzione della ricchezza era in realtà molto più egualitaria in Islanda che nel resto dell’Europa medievale.
La base della regolare tassazione era, come abbiamo visto, la decima. Il ruolo di capo territoriale, che permetteva di nominare giudici presso l’Assemblea Generale, di sedere nel Consiglio di Legge o, in alcuni casi, perseguire legalmente, era considerato una proprietà e poteva essere venduto o comprato. Considerandolo un potere e non una ricchezza, la Chiesa lo esonerava dalla tassazione. Anche possedere una fattoria sul cui suolo sorgeva una chiesa (staðir) esonerava dalle tasse. Alcune famiglie importanti donavano porzioni delle loro terre alla Chiesa ottenendo diritti amministrativi su di esse. La persona che possedeva una proprietà agricola con una chiesa poteva riscuotere due quarti delle tasse della chiesa se qualcuno della famiglia veniva ordinato prete. I contadini che avevano la possibilità di costruire una chiesa potevano anche loro trarne beneficio, e dunque amministrare i terreni clericali non era l’unica cosa che permetteva ai capi di avere una posizione dominante.
Il potere economico dei capi fu incrementato dalla conversione, ma prima di essa derivava dall’influenza politica, non importa quanto informale. Alla fine del XII secolo i capi cercarono di unire le chiese locali, il loro ruolo di capi e i propri seguaci per affermarsi come stórgóðar, grandi signori. Il potere tendeva a concentrarsi, e vescovi e capi tentarono persino di mettere su dei piccoli eserciti. Le lotte politiche si intensificarono, ed alcune assemblee locali furono sospese perché una singola persona deteneva più incarichi. I capi, invece di rimanere i rappresentanti dei contadini, divennero gradualmente dei signori della guerra, e le loro lotte intestine portarono infine al collasso dell’indipendenza dell’isola.