Gli esploratori europei iniziarono a sondare l’emisfero occidentale agli inizi del sedicesimo secolo, e scoprirono, con loro immenso stupore, non soltanto un’enorme massa continentale, ma anche un mondo ricco di culture indigene differenti e popolose. Tra le loro più grandi conquiste ci furono quelle di Cristoforo Colombo nei Caraibi (1492-1502), di Hernàn Cortés nel Messico azteco (1519-1521), di Francisco Pizarro e Diego de Almagro nel Peru inca (1528-1532) e di Juan de Grijalva (1518) ed Hernàn Cortés (1519; 1524-1525) nello Yucatán e nel Guatemala maya.
I popoli indigeni delle Americhe
La civiltà azteca occupava le pianure costiere del golfo dell’America centrale e le alte vette delle Sierras. Il loro impero era una confederazione, istituita nel 1427, di tre grandi città-stato: Tenochtitlan, la capitale situata su un’isola nei pressi della costa occidentale del Lago Texcoco nel Messico centrale, Texcoco, nella piana centrale del Messico, e Tlacopan nella Valle del Messico sulla costa occidentale del Lago Texcoco.
Gli Inca si trovavano sulle Ande e nelle regioni costiere del Sudamerica. Il loro impero fiorì agli inizi del tredicesimo secolo ed era il regno più vasto dell’America precolombiana, con capitale a Cuzco, nell’odierno Peru. La civiltà inca controllava gran parte del Sudamerica occidentale attraverso conquiste e riscossioni di tributi dagli stati vassalli.
La civiltà maya aveva un tempo occupato il Messico sudorientale, tutta l'area del Guatemala e del Belize e la regione occidentale di Honduras ed El Salvador. All'arrivo degli Spagnoli la civiltà maya aveva da tempo superato la sua età d’oro (250-900 d.C) ma era ancora una presenza significativa nella penisola dello Yucatán e negli altipiani del Guatemala.
I Taino e i Caribe erano ampiamente distribuiti sulle Grandi e Piccole Antille nel Mar dei Caraibi. Queste società non avevano un governo centralizzato ma erano amministrate da una miriade di capi locali ereditari e dalle classi nobili. Al tempo dell’arrivo di Colombo nel 1492 c’erano cinque domini della civiltà Taino a Hispaniola, ognuno governato da un cacique (capo) principale a cui si versava il tributo.
I Tupi-Guarani abitavano la foresta amazzonica e la gran parte delle coste brasiliane. Come i Taino, i Tupi-Guarani non avevano un governo centrale ma erano divisi in migliaia di tribù, ognuna delle quali contava da 300 a 2000 individui. Nel 1500 i Tupi erano circa un milione, quasi quanti la popolazione portoghese.
L'agricoltura delle Americhe precolombiane
Gli europei scoprirono che queste società avevano colture a loro del tutto ignote. Vecchio e Nuovo Mondo avevano addomesticato colture completamente diverse. Gli agricoltori amerindi coltivavano manioca, mais, patate, fagioli, zucche, pomodori e peperoncini, mentre gli iberici grano, orzo, cavoli, cipolle, aglio e carote.
Gli europei scoprirono anche che l’agricoltura delle Americhe non era meno organizzata della loro. I Tupi-Guarani praticavano il debbio (agricoltura taglia-e-brucia), alimentato dalla pioggia. Gli Inca utilizzavano terrazzamenti sulle montagne e sistemi di irrigazione nelle valli e nelle piane. I Taino coltivavano le loro piante su grandi tumuli chiamati conuco. Gli Inca trasformarono il loro paesaggio con terrazzamenti, canali e sistemi di irrigazione. Gli Aztechi costruirono terrazzamenti irrigati sui pendii delle montagne e chinampas o giardini galleggianti sui laghi intorno alla loro capitale. I Maya usavano il sistema di coltura milpa, in cui i campi erano coltivati per due anni e poi lasciati a rivegetare per otto anni con utili volontari nativi.
La conquista spagnola delle Americhe
Colombo fu il primo a raggiungere le Americhe nel 1492, e fino alla sua morte fu certo di aver trovato l’Asia. A differenza dei conquistadores dell’America spagnola che lo seguirono, non condusse una conquista su larga scala dei Taino. Piuttosto, stabilì un insediamento a La Isabela, nell’odierna Repubblica Dominicana, da cui esplorò l’entroterra dell’isola in cerca di oro e argento e impose un crudele sistema di tributi sui Taino del luogo. I Taino erano mandati a cercare oro sulle isole, e dovevano procurare cibo ai coloni. Introdusse anche colture europee e bestiame “per acclimatare la popolazione europea alle nuove terre e ricavare uno spazio dedicato a colture da reddito per il consumo europeo” (Paravisini-Gebert, 11).
Hernán Cortés invase lo strutturato impero azteco del Mesoamerica con l’aiuto di molti alleati indigeni. A quel tempo l’impero azteco era una fragile confederazione di città-stato, e gli spagnoli riuscirono a convincere i capi malcontenti degli stati vassalli e di uno non ancora conquistato (Tlaxcala) a unirsi a loro. A seguito di una prima spedizione attraverso lo Yucatán guidata da Juan de Grijalva, Hernán Cortés avviò la sua campagna contro l’impero azteco nel 1519 e con la coalizione catturò l’imperatore Cuauhtémoc e la capitale, Tenochtitlan, nel 1521. Gli spagnoli quindi condussero una campagna contro i Maya della penisola dello Yucatán e del Guatemala, i Tarasca (Purépecha) del Michoacan nordoccidentale e i Chichimec del Messico settentrionale.
La guerra degli spagnoli contro il più potente impero delle Americhe – gli Inca degli altopiani peruviani – fu un conflitto che si protrasse a lungo. Cominciò quando Francisco Pizarro, con i suoi alleati andini, catturò e strangolò l’imperatore Atahualpa nel 1532, ma proseguì per altri 40 anni finché l’ultimo avamposto inca, Vilcabamba (1500 metri a nordovest di Cuzco), fu conquistato nel 1572. Gli spagnoli furono notevolmente aiutati da una guerra civile tra i sostenitori dell’imperatore Atahualpa e suo fratello Huáscar, e dal supporto di diverse nazioni indigene storicamente represse dagli Inca.
Organizzazione della Spagna americana
A seguito della conquista dell’impero azteco da parte di Cortés, la corona di Castiglia fondò il regno della Nuova Spagna, che si estendeva su un’area vastissima e includeva l’odierno Messico, gran parte del Nordamerica sudorientale, il Centroamerica, regioni settentrionali del Sudamerica e le Filippine. La Nuova Spagna fu un regno e non una colonia perché il re voleva mantenere il diritto di sovranità e il possesso completo su di essa. Il 12 ottobre 1535 un decreto reale istituì il vicereame della Nuova Spagna per servire come sostituto del re. Il primo vicerè fu Antonio de Mendoza y Pacheco. La capitale del nuovo regno divenne Città del Messico, costruita sulle rovine di Tenochtitlan. Gli spagnoli vi eressero palazzi e chiese nel loro stile. Tutti i vecchi edifici e templi degli Aztechi furono distrutti, e i materiali di costruzione riutilizzati per edificare la nuova città coloniale.
In Peru la corona spagnola premiò anzitutto i conquistadores con gli adelantados, dando loro il diritto di governare la regione conquistata. Il Sudamerica fu sostanzialmente diviso in fasce, tra cui i governatorati di Nuova Castiglia (1529), Nuova Toledo (1534), Nuova Andalusia (1534) e la provincia di Tierra Firme (1539). Nel 1542 questi territori furono riorganizzati nel vicereame di Peru, che includeva l’odierno Peru e gran parte dell’impero spagnolo in Sudamerica. Era governato dalla capitale, Lima. Re Carlo nominò Blasco Núñez Vela primo vicerè del Peru nel 1544, ma fu solo con il quinto vicerè, Francisco Álvarez de Toledo (1569-1581), che il Peru raggiunse un buon livello di organizzazione.
L'economia coloniale spagnola
Per amministrare le loro terre nel Nuovo Mondo gli spagnoli divisero coloni e nativi in due distinti ordini sociali o repubbliche – spagnoli e amerindi. Gli spagnoli avrebbero supervisionato le terre, gestito le miniere e affiancato le amministrazioni coloniali, gli amerindi (la republica de los indios) avrebbero fornito la manodopera necessaria a nutrire, ospitare e vestire gli spagnoli. In cambio gli amerindi avrebbero ricevuto protezione militare e l’insegnamento della “grazia salvifica” della fede cristiana.
Gli Spagnoli rafforzarono questo sistema di stratificazione attraverso tre istituzioni:
- il requerimiento
- l'encomienda
- il repartimiento
Quando i soldati incontravano per la prima volta i nativi, dovevano leggere ad alta voce in spagnolo il requerimiento, che informava i nativi che dovevano sottomettersi all’autorità della corona spagnola o affrontare la spada. Quando si otteneva una qualche parvenza di controllo, le autorità reali davano possesso ereditario della terra nativa a nobili e ufficiali che, tramite l’encomienda, ricevevano tributi e manodopera dai villaggi indiani.
Le encomiendas includevano tutte le città, le comunità e le famiglie native che vi risiedevano. Agli occupanti indigeni era richiesto un tributo di tutto ciò che la terra mostrava di offrire – oro, colture, alimenti e animali, e dovevano dedicare parte del loro tempo a lavorare in piantagioni o miniere. In cambio sarebbero stati protetti e convertiti al cristianesimo.
Il sistema dell’encomienda era malcelata schiavitù, e la maggior parte dei proprietari fecero tutto quanto in loro potere per privare i nativi della loro cultura e li sfruttarono fino allo sfinimento. Gli amerindi erano spesso costretti a scegliere tra raggiungere le quote e morire di fame o non raggiungerle e subire l’ira, spesso letale, del sovrintendente. La corona spagnola approvò delle leggi per chiarire che gli indigeni non erano schiavi ed erano effettivamente sudditi spagnoli con precisi diritti, ma queste leggi furono accolte con grande ostilità e opposizione.
In una grande riforma del 1542, nota come le Nuove Leggi, alle famiglie encomendero fu imposto il limite di mantenere il diritto per due generazioni invece che per sempre, scatenando un’enorme sollevazione. La protesta diffusa costrinse la corona a cedere per un po’, ma agli inizi del ‘600 il re sostituì l’encomienda con il repartimiento, con cui gli ufficiali governativi (corregidor de indios) assumevano il ruolo di regolatori dello sfruttamento degli indigeni. Gli amerindi erano chiamati a lavorare con cicli di lunghezza variabile in fattorie, miniere, botteghe e progetti pubblici.
Nel diciassettesimo secolo comparve un nuovo sistema agricolo, chiamato hacienda. Qualcuno obiettò che le haciendas erano l’evoluzione delle encomiendas, ma nel sistema delle haciendas la terra era concessa a privati, tuttavia invece che lasciare che il proprietario sfruttasse la manodopera su questi terreni si reclutava manodopera gratuita in modo permanente o casuale. Con il tempo, queste haciendas divennero proprietà private protette e sopravvissero al periodo coloniale fino al ventesimo secolo.
La colonizzazione portoghese del Brasile
L’emergere di un impero portoghese nelle Americhe fu molto differente da quello spagnolo. I portoghesi consideravano il Brasile più come una stazione commerciale che un luogo da colonizzare, dal momento che erano già molto impegnati con i commerci nell’Oceano Indiano. Invece che condurre grandi campagne militari per conquistare gli indigeni, occuparono loro stessi commerciando con i nativi brasiliani e combattendo contro gruppi rivali, perlopiù i Francesi. I nativi Tupi erano visti più come manodopera indigena che come una civiltà da conquistare. I Tupi erano molto meno gerarchizzati e organizzati di aztechi, inca e maya e non offrivano una grande civiltà da conquistare e sottomettere.
Per colonizzare il Brasile, la corona portoghese tentò inizialmente un sistema di capitanerie ereditarie (capitanias hereditárias) già impiegato per la colonizzazione portoghese di Madeira. Queste capitanerie erano attribuite per decreto reale a privati, come mercanti, soldati, marinai e nobili minori, per evitare al governo reale le spese della colonizzazione. Alle capitanerie era affidato il controllo su vastissime fasce di terra e su tutti gli indigeni che vi risiedevano, proprio come nelle encomiendas spagnole. Tra il 1534 e il 1536 re Giovanni III divise il Brasile in 15 capitanati coloniali, che concedeva a chiunque ne volesse uno e avesse i mezzi per amministrarlo ed esplorarlo.
Delle 15 capitanerie originali solo due prosperarono, Pernambuco e São Vicente. Le altre fallirono a causa della resistenza indigena, di naufragi e di contrasti tra i colonizzatori. Pernambuco, la capitaneria di maggior successo, apparteneva a Duarte Coelho, che fondò la città di Olinda nel 1536 e avviò fabbriche e piantagioni di zucchero per soddisfare la crescente golosità degli europei. La produzione di zucchero nelle piantagioni divenne il principale prodotto del Brasile per i successivi 150 anni. Anche la capitaneria di São Vicente, proprietà di Martim Afonso de Sousa, iniziò a produrre zucchero, ma la sua principale attività economica divenne la tratta degli schiavi.
A causa del fallimento della maggior parte delle capitanerie e della continua minaccia di navi francesi lungo la costa, re Giovanni III di Portogallo (r. 1521-1557) decise nel 1549 che avrebbe dovuto colonizzare il Brasile come impresa reale. Inviò una grande flotta capitanata da Tomé de Sousa in Brasile a stabilire un governo centrale nella colonia. Sousa fondò anzitutto una capitale, Salvador da Bahia, nel Brasile nordorientale, nell’odierno stato di Bahia. Tomé de Sousa si impegnò anche a ristrutturare i villaggi e riorganizzare le economie delle vecchie capitanerie e diffuse la fede cattolica tra gli indigeni tramite i gesuiti, con il supporto ufficiale del re.
Come i coloni spagnoli, i portoghesi emigrati in Brasile cercavano terre e una vita più facile. Non avevano intenzione di svolgere lavori manuali e volevano che gli indigeni lavorassero per loro. Quando i portoghesi iniziarono a colonizzare il Brasile agli inizi del ‘500, stabilirono anzitutto di soggiogare i Tupi locali per farli lavorare nelle loro miniere e coltivare i loro campi. Lo fecero in due modi. I missionari gesuiti tentarono di convertirli al cattolicesimo e recrutarli per vivere nei villaggi coloniali a lavorare nelle fattorie. Inoltre, spedizioni di avventurieri chiamate bandeiras schiavizzarono migliaia di Tupi man mano che avanzavano nell’entroterra in cerca di metalli e pietre preziose. La Chiesa aveva stabilito che qualsiasi “selvaggio” rifiutasse di convertirsi al cristianesimo poteva essere venduto come schiavo.
I Tupi mostrarono di non essere adatti alla vita monotona e sedentaria dell’agricoltura e furono molto poco cooperativi. Erano anche particolarmente vulnerabili alle malattie occidentali e per loro era relativamente facile fuggire e nascondersi nella fitta foresta. La soluzione del Portogallo a questo problema di manodopera fu di rivolgersi alla schiavitù africana, sistema che aveva già impiegato nelle piantagioni di zucchero atlantiche al largo delle coste africane. A metà del sedicesimo secolo la schiavitù africana era prevalente nelle piantagioni di zucchero del Brasile portoghese, sebbene si continuarono a schiavizzare indigeni fino al diciassettesimo secolo.
L’impatto della conquista iberica delle Americhe
Durante la colonizzazione europea delle Americhe gli europei fecero tutto il possibile per ignorare le conquiste agricole degli amerindi e cercarono di sostituire gli agro-ecosistemi indigeni con le loro colture e i loro metodi. In questo sforzo trovarono scarso successo e scoprirono che le loro colture spesso non erano adatte. Ad ogni modo, la loro popolazione fiorì man mano che determinavano, basandosi sui loro errori, quali piante europee tradizionali potevano essere coltivate nel Nuovo Mondo e quali colture indigene dovevano essere integrate nel loro repertorio agricolo.
I sistemi dell’encomienda e dell’hacienda ebbero effetti devastanti sugli indigeni e sul loro modo di vivere. Gli amerindi dovettero scontrarsi con una gamma di colture di cui non avevano esperienza e non gli era lasciato il tempo sufficiente per coltivare le loro piante mentre si occupavano dei campi dei loro padroni o lavoravano in miniere umide e buie. Molti morirono di fame o stremati dal lavoro, lasciando all'incuria larghe fasce di piantagioni locali.
Gli amerindi furono anche decimati dalle malattie. Gli europei portarono morbillo, vaiolo, influenza e peste bubbonica attraverso l’Atlantico con conseguenze terribili per la popolazione indigena mai esposta a queste malattie prima d’allora. Precedentemente al primo contatto europeo del 1492 c’erano almeno 60 milioni di persone tra Nord, Centro e Sudamerica, e nel ‘600 probabilmente 56 milioni erano morti, il 90% dell’intera popolazione indigena precolombiana.