La Bibbia è spesso citata nel dibattito contemporaneo riguardante la sessualità umana, l'identificazione di genere, i matrimoni omosessuali, la contraccezione e specialmente l'aborto. Tuttavia, la maggior parte degli insegnamenti cristiani derivano dalle opere dei Padri della Chiesa, un gruppo di vescovi del II secolo d.C. che creò il dogma cristiano (un insieme di credenze che i fedeli dovrebbero seguire), assorbendo idee tratte tanto dall'ebraismo quanto dalla cultura romana.
Fertilità e ruoli di genere
Nell'antichità mancava un distinto concetto di 'religione', tant'è che questo termine venne a formarsi solo durante l'Illuminismo. La sfera del divino integrava ogni aspetto della vita quotidiana e un'idea particolare di corpo si legava strettamente a quella di comunità. In un mondo caratterizzato dalle difficoltà, segnato da inondazioni e carestie, con alti tassi di mortalità infantile, un'aspettativa di vita bassa e guerre ricorrenti, il concetto stesso di fertilità assumeva un'importanza cruciale. Poiché la comunità doveva sopravvivere, si doveva procreare.
Questa convinzione era sostenuta da una società la cui struttura e il cui ordine assegnava ruoli e doveri di genere ben precisi. Il sesso di qualcuno era l'attributo fisico con il quale era nato; mentre il genere era una costruzione sociale, che differenziava uomini e donne e ne organizzava il loro posto in società. Questi ruoli erano creduti tramandati dagli dèi (erano intesi come imposizioni religiose) ed erano codificati secondo le leggi di ciascuna cultura.
Ogni uomo aveva il dovere religioso di sposarsi e di procreare; mentre le donne, crescendo, subivano una pressione sempre maggiore per il loro valore riproduttivo, che si credeva fosse l'unica dote che portassero in seno alla società. Mentre gli uomini governavano le città e andavano in guerra, le donne avevano una sola qualità che potesse compensare – la capacità di avere figli. Il matrimonio era organizzato intorno a un contratto nel quale la donna veniva considerata proprietà dell'uomo (prima lo era di suo padre, con il matrimonio lo diventava di suo marito). L'adulterio era perciò considerato come una violazione della proprietà di un altro uomo. Antiche culture, come quelle derivate dalle Scritture ebraiche, punivano l'adulterio con la morte dei due amanti. La punizione era così severa perché non c'era altra possibilità di stabilire la paternità di un figlio se non attraverso il controllo totale della sessualità della moglie. In una società, per giunta, nella quale trasmettere la linea di discendenza paterna aveva un'importanza cruciale.
Poiché invece le prostitute non erano legate da alcun contratto, la prostituzione nel Mediterraneo antico non era considerata peccato (sia secondo le Scritture ebraiche che nella società romana), anche se le prostitute rappresentavano il gradino più basso della società. Poiché si credeva che il seme maschile non si potesse rigenerare, si pensava che lo si sarebbe dovuto usare solo per procreare, non sprecandolo con una prostituta.
Le culture antiche consideravano la perdita di un figlio, avvenuta per aborto o parto prematuro, come un grave lutto. C'erano delle leggi che punivano chiunque praticasse l'aborto e nelle Scritture ebraiche la famiglia doveva essere ricompensata, anche qualora fosse avvenuto accidentalmente. Il libro dei Profeti ricorre all'aborto come metafora; l'incapacità di obbedire ai comandamenti divini avrebbe infatti portato a "grembi che abortiscono e seni aridi" (Hosea 9:14).
Contraccezione, aborto e abbandono
Allora (come oggi) le gravidanze indesiderate rappresentavano un problema sociale che riguardava soprattutto i figli nati nello scandalo dell'adulterio. Il marito incapace di controllare il comportamento di sua moglie veniva disonorato e svilito. Alcuni metodi usati per evitare gravidanze indesiderate prevedevano l'uso di profilattici, della chirurgia, l'uso di farmaci, di pozioni (elisir) e di formule magiche. Ci sono pervenuti alcuni testi medici dell'Antico Egitto dove si descrive la formula dell'impasto applicato sulla vagina per impedire la gravidanza. Mischiare queste formule (tra le quali si contava pure lo sterco di coccodrillo) poteva fungere da deterrente al sesso. Tuttavia, l'atteggiamento generale verso il controllo delle nascite e l'aborto era sostanzialmente negativo. Queste pratiche avevano infatti sovvertito l'importanza della fertilità e interferivano con il diritto del padre a cui veniva negata la discendenza. Era infatti per merito dei riti funebri dei discendenti che la memoria di una persona continuava ad essere onorata. L'antico giudaismo insegnava la conservazione di tutte le forme di vita proprio per questo motivo.
Il concetto di personalità nell'antica Roma non era inteso come un aspetto fisiologico che iniziava al concepimento, né dipendeva da quanto tempo il feto avesse passato o meno nel grembo materno. Appena nato, il figlio veniva deposto ai piedi del padre che aveva la scelta di prenderlo in braccio e quindi di riconoscerlo. Datogli poi un nome, il figlio diventava allora il discendente legale, il che significava che poteva ereditare i beni paterni. C'era poi la sottintesa convinzione che i bordelli e le prostitute di strada ricorressero ampiamente all'aborto in vari metodi. Ciò contribuì a comprometterne il loro già basso status sociale, poiché disobbedivano ai dettami degli dèi negando all'uomo di perpetuare il proprio nome e la propria memoria attraverso la prole.
L'ampia diffusione dell'infanticidio (nei confronti di figli indesiderati o disabili) è in gran parte un mito. Qui hanno probabilmente contribuito alcuni resoconti mitologici dove si raccontava che vari dèi erano stati abbandonati alla nascita e cresciuti da qualcun altro (di solito da pastori) prima di recuperare la loro posizione nel mondo e compiere grandi gesta. Molto più comune era la pratica di lasciare fuori casa i figli indesiderati, cosicché chiunque poteva prenderli ed adottarli. Questa pratica rappresentava una fonte importante di schiavi a buon mercato, che erano "salvati" in questo modo. È anche un mito che le figlie fossero abbandonate più spesso dei figli maschi. Le figlie erano di certo costose (richiedevano doti nel contratto di matrimonio), ma preziose e utili nel costruire e sigillare alleanze politiche. Da alcune iscrizioni su lapide sappiamo, per esempio, che una figlia morta in gioventù si piangeva tanto quanto un figlio.
Posizioni filosofiche
I ruoli di genere erano stati razionalizzati attraverso la competenza medica delle varie scuole filosofiche (dove allora veniva insegnata la medicina). Erano i filosofi a spiegare la differenze tra uomini e donne. Gli uomini avevano sangue caldo, si diceva, le donne lo avevano freddo. 'Caldo' significava 'attivo', 'freddo', invece, 'passivo'. Secondo i testi di medicina del tempo, durante il ciclo mestruale, il sangue freddo, influenzato dai vapori del grembo (e del fegato), poteva salire fino al cervello, causando 'isteria' (l'antico equivalente della sindrome premestruale).
Si pensava che il grembo fosse un incubatore e che avesse la sola funzione di nutrire il feto fino al parto. Da qui il termine latino vagina ("fodero dove è riposta la spada"). Si credeva poi che i tratti fisici di una persona fossero contenuti solo nel liquido seminale maschile. Alle donne gravide era consigliata una vita sana e passiva, poiché comportamenti sconvenienti avrebbero potuto avere un effetto indesiderato sul feto. Il filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.) affermava che la nascita di una femmina (piuttosto che quella di un maschio) era segno che qualcosa non aveva funzionato durante la gravidanza. Per Aristotele, la femmina rappresentava un informe, incompleto, feto maschile
Tuttavia, all'intraprendenza maschile non si poteva dare troppa libertà, o le passioni sarebbero presto state fuori controllo e la società avrebbe sofferto d'irrazionalità. Le scuole filosofiche insegnavano perciò l'apetheia, ovvero il non essere governato dalle passioni (pulsioni) del corpo o dalle emozioni. Questa perdita di controllo in favore delle pulsioni era particolarmente evidente durante l'orgasmo sessuale.
Omosessualità nel mondo antico
In contrasto con il dibattito contemporaneo riguardante la sessualità, i matrimoni omosessuali e l'identificazione di genere, nel mondo antico, non c'era alcun concetto circa uno stile di vita alternativo a quello eterosessuale. Nell'antica Grecia le donne vivevano separate dagli uomini, anche all'interno della stessa casa, e ciò facilitava lo sviluppo di relazioni tra membri dello stesso sesso. La relazione più importante che si poteva sviluppare nella Grecia dell'epoca era quella tra un uomo maturo, che faceva da mentore, e un ragazzo non ancora adulto. Il ruolo del mentore era quello di educare il giovane alle norme sociali e nelle arti di governo, così che la nuova generazione avrebbe potuto prendere il posto di quella precedente. Sebbene non fosse sempre vero, questa relazione poteva ampliarsi fino ad includere la sfera affettiva e il vero e proprio rapporto sessuale.
C'erano tuttavia delle regole; molti uomini negavano di praticare la sodomia, intesa come penetrazione anale. Nessuna ingominia spettava all'uomo che eseguiva l'atto sessuale, quanto invece si denigrava colui che lo riceveva. Subire l'atto sessuale era considerato un segno di debolezza, era solo compito della donna, infatti, quello di ricevere passivamente. Piuttosto, l'attività sessuale tra uomini doveva essere fatta frontalmente, oralmente o con le mani.
Una volta poi che il ragazzo diventava adulto, la relazione finiva. Doveva ammogliarsi e procreare per il bene della comunità. Un anziano che continuava a mostrare interesse per il suo giovane protetto veniva schernito e deriso. Il nostro termine contemporaneo, pedofilia, deriva dal greco paidós ("bambino") e philía ("amore amicale" o "amicizia"). Sia nell'antica Grecia che a Roma, l'acquisto di ragazzi prepubescenti per l'attività sessuale era considerato un crimine.
Per quanto riguardava invece la relazione lesbica, conosciamo solo la vicenda della famosa poetessa Saffo (630-570 a.C.), che avrebbe gestito una scuola per ragazze sull'isola di Lesbo. Saffo scrisse molte poesie d'amore, talvolta esplicite, dedicate alle sue studentesse. Lesbismo divenne così il termine utilizzato per indicare le relazioni omosessuali tra donne.
Altri accenni all'omosessualità si possono trovare nel Levitico. Qui si fa una distinzione tra i peccati comuni e gli abomini. Un abominio era un peccato che non si sarebbe potuto espiare in alcun modo. Nei libri dei profeti, gli abomini venivano puniti con l'esilio: "Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, entrambi hanno commesso un'abominio; saranno certamente messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro" (Levitico 20:13). L'abominio di "un uomo come con una donna" è motivato dallo spreco di liquido seminale (fonte di vita) che non poteva così portare alla procreazione (che era il primo comandamento di Dio). Il lesbismo qui non è menzionato poiché non ha a che fare con la procreazione.
I libri dei profeti e i Vangeli
I profeti di Israele avevano spiegato che Dio aveva permesso alle nazioni straniere di conquistare Israele proprio perché qui si praticava l'idolatria. L'idolatria era associata alle divinità della fertilità, perciò i profeti utilizzavano talvolta metafore su matrimonio e adulterio. Tale idolatria poteva anche portare all'immoralità sessuale (in greco pornea). Riferendosi in origine all'incesto, i profeti ne ampliarono il concetto per criticare gli stili di vita dei non-ebrei. A loro avviso, l'idolatria portava all'immoralità sessuale, che portava poi alla morte.
I Vangeli (scritti tra il 70-100 d.C.) non riportano alcun insegnamento specifico di Gesù sulla sessualità umana. Tuttavia, gli scrittori affermano che egli sosteneva l'importanza tradizionale del matrimonio e della procreazione:
Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola... L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto. (Marco 10:7-9)
Il Vangelo afferma che Gesù era contro il divorzio (così sosteneva anche Paolo) ma non era contro il divorzio in quanto tale (Mosè infatti l'aveva permesso). Era contro la pratica di risposarsi, specialmente per quelle mogli che avevano perso il marito. Paolo aveva educato le vedove a rimanere tali in vista della 'crisi imminente' (il ritorno di Cristo e la venuta del regno di Dio).
Matteo ne aveva poi esteso l'insegnamento:
Fu detto: "Chiunque ripudia sua moglie le dia l'atto del divorzio." Ma io vi dico: chiunque manda via la propria moglie, eccetto in caso di fornicazione, la fa diventare adultera; e chiunque sposa una donna ripudiata, commette adulterio. (5:31-32)
Matteo 20:30 aggiunge poi che: "Nella resurrezione le persone non si sposeranno né saranno date in matrimonio; esse saranno come angeli in paradiso." I Padri della Chiesa più tardi riutilizzarono questo passaggio per legittimare il celibato del clero. Il celibato (mancanza di un contratto matrimoniale) e la castità (mancanza di rapporti sessuali) erano i mezzi con i quali innalzare la classe clericale sopra il popolo. Diventò un sacrificio da onorare in nome della Chiesa, che più tardi riterrà questi suoi capi martiri e poi santi.
Reazioni allo stile di vita greco
Dopo che Alessandro Magno (r. 336-323 a.C.) conquistò la regione, alcuni ebrei redassero degli elenchi dei peccati con l'intento di criticare la dominante cultura greca. Possiamo trovare un tipico elenco nella prima lettera di Paolo ai Corinzi:
O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v'illudete: né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né effemminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né oltreggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. (6:9-10)
L'unica volta in cui le donne vengono esplicitamente menzionate in relazione a certi comportamente è nella lettera di Paolo ai Romani:
Per questo [l'idolatria] Dio li ha abbandonati a passioni infami. Anche le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, hanno ceduto al desiderio degli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo essi stessi il castigo per i loro errori." (1:26-27)
Questi passaggi furono poi riutilizzati dai Padri della Chiesa che li adoperarono per condannare l'omosessualità che portava alla "giusta condanna", ovvero all'inferno.
I Padri della Chiesa
Giunte ormai al II secolo d.C., le comunità cristiane avevano sostituito i membri ebrei con gentili convertiti. I loro capi erano stati educati nelle varie scuole di filosofia e avevano sviluppato la convinzione che l'atto sessuale, sebbene necessario per la procreazione, era in realtà un atto ignominioso. La misoginia era radicata sia nella cultura ebraica che in quella cristiana. Entrambe si richiamavano al libro della Genesi per spiegare la caduta dal giardino dell'Eden. Questa è l'origine di Satana; il serpente, in principio un mero strumento narrativo per spiegare perché Adamo ed Eva avevano peccato, che veniva ora reinterpretato per essere il diavolo.
Dal II secolo d.C. si iniziano a vedere le prime tracce di questo tipo nell'iconografia cristiana. Le raffigurazioni di Pan, che era l'antica divinità pagana della fertilità e delle foreste, d'aspetto umano e caprino, cominciarono ad essere usate per rappresentare il diavolo. La figura di Pan dotò il diavolo di zoccoli e di corna. Munito poi di un grande fallo in erezione, Pan provava costantemente a sedurre le ninfe (che erano entità semi-divine). Allo stesso modo, proprio per mezzo del suo fallo, il diavolo aveva sedotto Eva, che aveva poi sedotto Adamo. Il primo comandamento di Dio agli uomini era quello di moltiplicarsi, ma lo si sarebbe dovuto fare senza godimento, senza passione. Eva aveva introdotto, invece, il desiderio sessuale. La lussuria (definita come forte desiderio sessuale) venne allora dichiarata peccato. Nel V secolo, Agostino d'Ippona avrebbe aggiunto altri dettagli al concetto di sessualità come peccato. Egli affermò che il primo atto di lussuria di Adamo ed Eva, il peccato originale, aveva lasciato una marchio indelebile ed ereditabile su tutte le persone.
Tertulliano (115-220 d.C.) sostenne la connessione con il diavolo attraverso il genere femminile:
E non sai forse di essere Eva? La sentenza di Dio pende ancora sopra il tuo sesso e la sua punizione è ancora pesante su di te. Tu sei la porta del diavolo [la vagina]; tu sei colei che per prima violò l'albero proibito contravvenendo la legge di Dio. Tu sei colei che persuase Adamo, che il diavolo non ebbe la forza di tentare. Con quale facilità distruggesti ciò che venne creato in immagine di Dio: l'uomo! Per colpa della morte che meritasti, anche il figlio di Dio è duvuto morire. (L'eleganza delle donne, capitolo 1)
Il male necessario
Senza il rapporto sessuale e la procreazione il movimento cristiano non avrebbe potuto crescere e fiorire. Si pensava che Dio permettesse questo male con l'intento di spargere "il Verbo" per tutto l'impero. Si insegnava che le donne potevano rimanere incinte solo se passive durante l'atto sessuale (l'uomo sopra, la donna sotto). Fu questa l'unica posizione tollerata dalla Chiesa. I cristiani dovevano praticare i rapporti sessuali solo in questa posizione e al solo scopo di avere figli. Tutto quello che era diverso era condannato come vizioso. La masturbazione era peccato perché allo stesso modo sprecava il seme della vita. Durante l'Età delle esplorazioni, i missionari europei vennero in contatto con le popolazioni indigene dell'Asia, dell'Africa e delle Americhe. Parte del loro compito era quello di porre sotto controllo la sessualità di questi popoli, considerata sfrenata, e la posizione che insegnavano fu da allora conosciuta come la posizione del missionario.
Applicando i propri giudizi morali alle popolazioni dominate, la tradizione Occidentale cominciò a riferirsi a questi popoli come pagianoi (pagani), una parola equivalente a bifolchi o zotici. La parola greca originale per indicare il rituale religioso era orgia. Applicando tale termine a tutti i culti dei nativi, si cominciò ad affermare che tutti questi praticavano sesso di gruppo e che si ubriacavano e ingozzavano ai banchetti. Nonostante non siano mai state verificate storicamente, queste credenze vengono riproposte ancora oggi.
Dopo la conversione di Costantino al cristianesimo (312 d.C.) e il primo concilio di Nicea, il credo (ciò a cui tutti i cristiani dovevano credere) venne sostenuto anche con il potere dell'esercito romano. Il cristianesimo accettò l'antico concetto di totale unificazione tra divino e umano, che ora veniva mediato attraverso la Chiesa. In quanto capi della Chiesa, gli imperatori cristiani avevano l'autorità di dettare le politiche della relazione tra corpo e società. Costantino rese un crimine l'aborto e l'adulterio e ordinò la chiusura di tutti i bordelli. Durante il Medioevo, con l'ascesa degli Stati nazionali e poi la Riforma protestante, si ebbe modo di sviluppare la convinzione cristiana moderna secondo la quale i governi hanno il dovere morale di controllare la salute e il benessere dei loro cittadini.