Declino e caduta dell'Impero Romano di Edward Gibbon

Articolo

Donald L. Wasson
da , tradotto da Gennaro Meccariello
pubblicato il 26 gennaio 2023
Disponibile in altre lingue: Inglese, Francese, Turco
Stampa l'articolo

Lo storico inglese Edward Gibbon (1737-1794) scrisse la sua opera maggiore, dal titolo "Declino e caduta dell'Impero Romano", tra il 1776 ed il 1788. I sei volumi di cui si compone l'opera sono legati da un'idea guida, quella secondo cui la caduta dell'Impero Romano sarebbe stata causata dall'affermarsi del Cristianesimo, con i suoi effetti negativi sul popolo e sulle strategie politiche di Roma.

Gibbon's Decline & Fall of the Roman Empire
Frontespizio dell'edizione originale dell'opera:
Internet Archive (Public Domain)

Edward Gibbon

L'Edward Gibbon diventato poi il famoso storico, nacque in Inghilterra nel 1737. Il padre, che si chiamava nello stesso identico modo, aveva studiato all'Emmanuel College di Cambridge, facendo parte della Camera dei Comuni. La madre Giuditta, morì nel 1747. Trascurato da entrambi i genitori, crebbe e fu educato da una zia, che gli trasmise la passione per lo studio e la lettura. Dopo aver ricevuto gli insegnamenti di molti precettori entrò, nel 1748, al Westminster College. Tuttavia appena due anni più tardi, a causa di una malattia, fu costretto ad abbandonare gli studi. In fine, dopo essersi completamente ristabilito, fu ammesso nel 1752, in qualità di nobile studente indipendente, al Magdalen College di Oxford. Egli considerava la scuola, che etichettava come una mancanza di conoscenza in un grande carico di erudizione, come un'istituzione impantanata nel pregiudizio e distante dalla sua missione di studioso.

PER MOLTI DEI SUOI CONTEMPORANEI, EGLI ERA "iL VOLTAIRE INGLESE" - PER VIA DELLA SUA OSTILITà VERSO IL CRISTIANESIMO E DELLA SUA FILOSOFIA DELLA STORIA.

Il vecchio Gibbon, essendo preoccupato della qualità dell'istruzione del figlio, lo trasferì da Oxford a Losanna, in Svizzera, per iscriverlo ad una scuola diretta dal pastore calvinista Daniel Pavillidad. Gibbon padre si era segnatamente allarmato del fatto che il giovane e pigro figlio, si stesse avvicinando ad ambienti Cattolici. A Losanna, Gibbon ritornò al Protestantesimo e fu avviato ad un percorso formativo fatto da testi di letteratura classica e moderna. Entrò in contatto e divenne amico di Voltaire, il famoso filosofo francese autore del Candide, che viveva esiliato lì dalla Francia, per via delle sue idee politiche. Fu spesso ospite delle feste e degli spettacoli teatrali di Voltaire, ammirando il modo in cui egli incarnava il ruolo di celebrità del mondo culturale.

Una volta ritornato in Inghilterra nel 1759, si arruolò al fianco del padre nella legione dell'Hampshire meridionale. Furono quelli gli anni in cui il giovane autore iniziò a pubblicare saggi su vari argomenti, utilizzando in modo prevalente la lingua francese. Di lì a poco, nel gennaio del 1763, con il benestare del padre, lasciò nuovamente l'Inghilterra per trasferirsi a Parigi, là dove in veste di letterato iniziò a frequentare i più grandi filosofi della città, Helvétius e d'Holbach. Quindi tornò a Losanna e fu nuovamente vicino a Voltaire.

Negli anni seguenti viaggiò in Italia, visitando Firenze, Roma, Napoli e Venezia. Durante tale soggiorno, per la prima volta, prese in considerazione l'idea di scrivere un'opera sulla caduta dell'Impero Romano. Il tour lasciò un segno importante nella coscienza del giovane pensatore, tanto da fargli scrivere al padre che grazie a quel viaggio era diventato nemico degli imperi, in quanto organizzazione politica, ed amico della libertà delle nazioni. Lasciò l'Europa continentale nel 1768, facendo ritorno in Inghilterra. Una volta in patria continuò a far parte dell'esercito, così come del parlamento, nella Camera dei Comuni. In un incontro con il filosofo scozzese David Hume fu incoraggiato da quest'ultimo a scrivere la sua opera storica, ma in Inglese piuttosto che in Francese.

Pubblicazione

L'opera storica di Gibbon, suddivisa in più tomi, si articola in tre parti distinte:

  1. Dall'Imperatore Traiano (r. 98-117 d.C.) alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente
  2. Dall'Imperatore Bizantino Giustiniano I (r. 527-565) al Sacro Romano Impero di Carlo Magno (r. 800-814)
  3. Dal IX secolo al 1453: la caduta di Costantinopoli.

Il primo volume di "Declino e caduta dell'Impero Romano" venne dato alle stampe nel febbraio del 1776 ed ebbe un buon riscontro di pubblico. Le ulteriori parti arrivarono soltanto più tardi: nel giugno del 1776, nel 1777 e nel 1781. Come era prevedibile, ben presto arrivarono le critiche e gli attacchi dei lettori. Stando a quanto riferito da David Womersley, curatore di una recente pubblicazione dell'opera per i tipi della casa editrice Penguin, Gibbon riuscì "nello scontentare i religiosi di ogni categoria, dagli appartenenti alle alte gerarchie ecclesiastiche fino ai dissidenti" (XIX). Le obiezioni erano incentrate sia sull'aver riproposto argomenti già noti ed utilizzati dai pagani sin dalla tarda antichità contro il Cristianesimo, sia sull'aver utilizzato i dati storici in modo subdolo per alterarne a proprio uso il senso.

Edward Gibbon
Edward Gibbon
Henry Walton (Public Domain)

La seconda e la terza parte furono accolte con minore entusiasmo rispetto alla prima. Gibbon, divenuto nel frattempo un autore affermato, decise di ritornare a Losanna, in casuale coincidenza col verificarsi degli eventi della Rivoluzione Francese. In un primo tempo egli accolse con favorevole moderazione quanto accadeva in Francia, ma col progredire della Rivoluzione, rimase deluso dal carattere violento della stessa. Lo storico, ritornato in Inghilterra, vi morì il 16 gennaio 1794.

Per molti dei suoi contemporanei egli era il "Voltaire inglese". Tale appellativo era dovuto alla sua ostilità verso il Cristianesimo ed alla sua filosofia della Storia, basata su di uno sguardo laico e non epico, ed allo stesso tempo slegata dalla Provvidenza divina. Nel suo testo Antiquity, Norman F. Cantor afferma che l'opera di Gibbon mosse gli storici a riflettere ed ad interrogarsi sulle cause del declino della Roma antica. Secondo Cantor, così come sostenuto dal Gibbon stesso, si trattò sia di un declino interno che di un attacco dall'esterno e precisamente dai barbari.

Argomenti principali

Gibbon era convinto che i Romani non fossero affatto consapevoli dell'imminente pericolo e dell'effettiva numerosità dei loro avversari. Egli teneva ben presente la minaccia esterna costituita dai barbari e scrive: "Freddo, povertà ed un'esistenza fatta di pericolo e fatica avevano oltremodo rafforzato il vigore fisico ed il coraggio dei Barbari" (440). Ed aggiunge poi, che il Cristianesimo: "Aprì le porte del Paradiso" ai Barbari portando una significativa innovazione nei loro comportamenti individuali, nelle loro condizioni sociali e nella loro vita politica.

La storia della sua rovina e semplice e scontata, ed invece di chiederci perché l'Impero Romano sia andato distrutto, dovremmo essere alquanto meravigliati del modo in cui sia riuscito a resistere per così tanto tempo. (436)

Gibbon sostiene che la città di Roma crebbe: "gonfiandosi in un modo tale, da ritrovarsi con un Impero" ed, il suo declino, "non fu altro che la naturale ed invitabile conseguenza della sua grandezza smodata" (435). Continua poi scrivendo "I frutti della prosperità furono i semi della decadenza; ed i fattori di sviamento si moltiplicarono con l'ampliarsi delle conquiste territoriali" (435). Come argomento contrario a tale affermazione, gli storici portarono allora il sopravvivere dell'Impero Orientale, alla caduta di quello Occidentale. La fondazione di Costantinopoli e l'Impero Orientale contribuirono piuttosto alla conservazione, che alla rovina delle posizioni occidentali. La decadenza di Roma non era legata in alcun modo con la crescita dell'Est dell'Impero – i poteri dell'amministrazione erano stati suddivisi e non annullati, in tale passaggio.

The Growth of Christianity in the Roman Empire
Lo sviluppo del Cristianesimo nell'Impero Romano
Simeon Netchev (CC BY-NC-ND)

Naturalmente, al centro dell'analisi della caduta dell'Impero di Gibbon, c'era la religione. Egli scrive:

Nella storia dell'Impero Romano, una schietta ma ragionata istruttoria sull'evolversi e sull'affermarsi del Cristianesimo è da ritenersi un momento del tutto essenziale. Mentre lo sconfinato territorio veniva invaso dalla violenza o si sfaldava in un lento disfacimento, una pura ed umile religione si insinuava gentilmente nelle menti degli uomini ... (121)

Etichettando Gibbon come scettico, Cantor oblitera il suo leitmotiv: "Si deve alla Chiesa" replicando: "Se la società romana avesse funzionato ordinariamente, la cultura della Chiesa non avrebbe avuto su di essa un impatto tanto negativo" (Cantor, 44). Lo stesso aggiunge poi che c'era sì una motivazione culturale nel declino, ma non si trattava né della corruzione della spirito civile delle istituzioni, né dell'affermarsi del Cristianesimo. Gibbon, invece, dava molto peso al Cristianizzazione dell'Impero, poiché era convinto che la sua indole pacifista, avesse infiacchito lo spirito bellicoso dell'esercito romano. In particolare, egli accusava di ciò la conversione al Cristianesimo di Costantino e lo sprigionarsi da ciò di una "Rivoluzione culturale" nella quale la struttura ideologica della civiltà romana iniziò a scomporsi:

I virtuosi costumi di quelle società furono demoliti e ciò che rimaneva della loro indole guerriera venne sepolto nei chiostri... Fede, zelante curiosità e le più mondane tra le passioni, la malizia e l'ambizione, alimentarono il fuoco dei dissidi teologici. (437)

Tuttavia, secondo la storiografia posteriore, egli sopravvalutò il ruolo e l'importanza della religione nel Tardoantico. Peter Heather, ad esempio, nel suo testo La caduta dell'Impero Romano, sottolinea come Gibbon non sia affatto persuasivo nel sostenere l'effetto deleterio del Cristianesimo sull'Impero. Secondo Heather infatti, non c'era alcun motivo per cui il Cristianesimo dovesse generare una tale crisi. Sin dal tempo di Augusto (r. 27 a.C. - 14 d.C.), gli oracoli avevano predetto la conquista di un impero mondiale a Roma. Allo stesso tempo, nel fare ciò, avevano ispirato e motivato i futuri imperatori. Poi, dalla conversione di Costantino, la relazione tra il potere politico e la religione fu rivista in modo inaspettato e soltanto da quel momento la grandezza di Roma fu associata alla nuova fede Cristiana.

Fortuna e Critica

Gli storici hanno a lungo discusso le affermazioni di Gibbon, con osservazioni anche diametralmente opposte, sugli effetti di lungo termine sia dell'opera, sia del pensiero dell'autore. Nel suo libro "Tardo Antico", Gillian Clark ha scritto: "Roma è l'esempio più lampante di declino e caduta di un Impero"(6). È stato Gibbon a rendere tale concetto del tutto familiare. Uno dei fattori dirimenti di tale dibattito è la rilevanza della temperie culturale nella quale Gibbon scrisse. Mary Beard nel suo libro SPQR, attribuisce a Gibbon l'introduzione di un nuovo modo di valutare le fonti antiche. L'autrice aggiunge poi che si trattò di: "Un singolare esperimento storico, dal quale ebbe inizio lo studio moderno della storia romana nei paesi anglofoni" (16). La stessa è convinta che quello: "Era il tempo in cui gli storici esprimevano valutazioni senza esitare ed erano propensi a ritenere che il mondo romano fosse stato il miglior posto in cui vivere, in specie rispetto alla loro epoca"(431).

Diversamente da Beard, Barry Strauss, autore del testo Imperatori - dieci uomini che hanno fatto grande Roma -, ha un atteggiamento molto più critico verso Gibbon e la sua lettura settecentesca della storia di Roma. Riguardo alla pessima valutazione riservata da Gibbon all'Imperatore Settimio Severo (r. 193-211 d.C.), egli dice che lo storico inglese era uno snob, appartenente all'età dell'Illuminismo, con poca o nessuna simpatia per le personalità emergenti e gli stranieri. Ad ogni modo, è possibile che uno sguardo più attento all'Illuminismo sia d'aiuto a quanti vogliano capire le origini del pensiero del Gibbon. L'Illuminismo monopolizzò la cultura europea tra il XVII ed il XVIII secolo, esaltando il pensiero e la ragione umana. Fu quello il tempo di John Locke, Voltaire, Jean-Jacques Rousseau e Montesquieu. Les philosophes, i pensatori francesi, che più di tutti ebbero influenza su Gibbon, avevano fiducia nel progressivo sviluppo della ragione e nelle sue conquiste in ogni campo dello scibile umano. Uno dei loro principali bersagli era la Chiesa Cattolica.

In ultima analisi, secondo la maggior parte degli storici a lui posteriori, i tempi in cui Gibbon scrisse contribuirono in modo cruciale sia alle sue opinioni, che alle sue opere. Nel suo testo, dal titolo Pax Romana, Adrian Goldworthy cita un passo da Declino e caduta nel quale Gibbon asserisce che l'Impero Romano era "governato da un potere assoluto, ispirato da virtù e saggezza". Goldworthy ritiene, tale punto di vista, oltremodo benevolo e nel contempo utile a rafforzare l'assunto centrale del testo, ossia quello adoperato nell'argomentare il declino e la caduta dell'Impero e d'altronde, nella prospettiva ideologica del XVIII secolo, ciò era del tutto plausibile. Egli aggiunge poi che l'Europa al tempo di Gibbon era divisa tra piccoli e grandi regni, in competizione e spesso in guerra tra di loro, per il controllo di un'area geografica sulla quale Roma, invece, aveva esercitato il potere, condividendo la medesima, raffinata, cultura Greco-Romana". (9)

Tuttavia, però, nello sguardo di Gibbon sull'Impero, qualcosa si salvava. Infatti, pur essendo molto critico riguardo ai tempi immediatamente antecedenti alla caduta dell'Impero, egli esprime grande apprezzamento per gli Imperatori del II secolo. Entrambi gli interpreti di Gibbon, Beard e Goldsworthy, non a caso riportano l'elogio espresso dall'autore:

Se a qualcuno fosse chiesto di stabilire quale sia stato il periodo della storia del genere umano nel quale si siano verificate le migliori e più felici condizioni di vita, egli dovrebbe, senz'ombra di dubbio, indicare quello dalla morte di Domiziano fino all'associazione al trono di Commodo." (Beard, 401)

Fu proprio in quegli anni che si realizzò la cosiddetta Pax Romana – l'era dei cinque Imperatori buoni: Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Ognuno di loro, secondo Gibbon, merita grande rispetto e considerazione. Strauss, il quale su tale punto cita ugualmente lo storico illuminista, concorda nel dire che furono quegli gli anni in cui l'Impero raggiunse il suo zenit, e benché Gibbon scrivesse nel 1776, su ciò diceva qualcosa di giusto.

Gli storici convengono nell'indicare come cause della caduta dell'Impero tanto fattori esterni, quanto interni:

  • Il degrado dell'Urbe – diminuzione delle entrate fiscali; sovrappopolazione; leadership scarse ed inadeguate; alti tassi di inflazione e disoccupazione; epidemie.
  • L'arrivo dei Barbari – sebbene molti di essi fossero cristiani.

Tuttavia, mentre anche Gibbon non nega l'importanza di tali fattori, egli è rimasto solo nell'accusare il Cristianesimo del declino e della caduta dell'Impero.

Domande e risposte

Quali furono le cause della caduta dell'Impero Romano secondo Gibbon?

Nella sua opera dal titolo "Declino e caduta dell'Impero Romano", Edward Gibbon prende di mira l'affermarsi del Cristianesimo ed i suoi effetti negativi sulla popolazione e sulle strategie politiche di Roma, che alla fine portarono al suo crollo.

In quale periodo Gibbon scrisse "Declino e Caduta dell'Impero Romano"?

Gibbon scrisse e diede alle stampe "Declino e Caduta dell'Impero Romano" tra il 1776 ed il 1788.

Bibliografia

World History Encyclopedia è un associato Amazon e guadagna una commissione sugli acquisti di libri qualificati.

Info traduttore

Gennaro Meccariello
Gennaro è uno studioso di storia locale ed è appassionato di storia. Laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Benevento, è interessato in particolar modo alla storia medievale, alla storia delle istituzioni ed alla storia contemporanea.

Info autore

Donald L. Wasson
Donald ha insegnato Storia antica, medievale e degli Stati Uniti al Lincoln College di Normal, nell'Illinois. È sempre stato (e sempre sarà) uno studioso di storia, sin da quando incontrò per la prima volta la figura di Alessandro Magno. Il suo desiderio è quello di trasmettere tale conoscenza ai suoi studenti.

Cita questo lavoro

Stile APA

Wasson, D. L. (2023, gennaio 26). Declino e caduta dell'Impero Romano di Edward Gibbon [Gibbon's Decline & Fall of the Roman Empire]. (G. Meccariello, Traduttore). World History Encyclopedia. Estratto da https://www.worldhistory.org/trans/it/2-2153/declino-e-caduta-dellimpero-romano-di-edward-gibbo/

Stile CHICAGO

Wasson, Donald L.. "Declino e caduta dell'Impero Romano di Edward Gibbon." Tradotto da Gennaro Meccariello. World History Encyclopedia. Modificato il gennaio 26, 2023. https://www.worldhistory.org/trans/it/2-2153/declino-e-caduta-dellimpero-romano-di-edward-gibbo/.

Stile MLA

Wasson, Donald L.. "Declino e caduta dell'Impero Romano di Edward Gibbon." Tradotto da Gennaro Meccariello. World History Encyclopedia. World History Encyclopedia, 26 gen 2023. Web. 03 mar 2025.