La Battaglia di Civitate ebbe luogo il 18 Giugno 1053, fra San Paolo di Civitate ed il fiume Fortore, al confine tra Puglia e Molise, in Italia. In essa si affrontarono l'esercito di Papa Leone IX (r. 1049-1054) ed uno sparuto gruppo di cavalieri normanni, che erano in cerca di legittimazione per le loro conquiste territoriali e per i loro titoli. Nonostante l'inferiorità numerica, i Normanni ne uscirono vincitori ed a 37 anni dal loro arrivo, dopo tale vittoria, la conquista dell'Italia meridionale poteva dirsi davvero iniziata.
Il Meridione d'Italia nell'anno 1000
Il Meridione d'Italia nell'Undicesimo secolo era politicamente diviso, tanto da poter essere descritto come un insieme eterogeneo di potentati ed istituzioni indipendenti, spesso in lotta tra di loro, per l'ottenimento di fini ed obbiettivi limitati al proprio singolo particolare. Primi tra questi erano i Principati di Salerno, Capua e Benevento, in competizione tra di loro per l'eredità del Regno Longobardo. I suddetti Principati stringevano di frequente, per mero calcolo d'opportunità, alleanza tra di loro o gli uni contro gli altri e, a seconda delle circostanze più convenienti, riconoscevano, alternativamente l'Imperatore di Bisanzio, l'Imperatore del Sacro Romano Impero o il Papa. C'erano poi le città di Napoli, Amalfi e Gaeta, fiorenti scali portuali della costa tirrenica che, almeno formalmente, accettavano l'autorità dell'Impero Bizantino, sebbene fossero virtualmente indipendenti. Inoltre, la maggior parte del Meridione d'Italia, comprese le odierne regioni di Puglia e Calabria, erano rivendicate dall'Impero Bizantino, per quanto gli stessi Bizantini non fossero sempre in grado di tenere sotto controllo le aree più periferiche dei loro domini, in specie dopo il 1025. La forte tassazione e la coscrizione delle leve militari, inasprivano, tra l'altro, l'astio delle popolazioni locali verso i Bizantini, causando di frequente rivolte contro di loro.
Una questione a parte, su cui contendere, era la vecchia provincia bizantina di Sicilia, che era entrata, dal Nono secolo, nell'orbita dei Califfati islamici nord africani e spesso, proprio dai porti siciliani, partivano contingenti di uomini per spedizioni armate contro le vicine città della costa peninsulare. In ultimo, a Nord dei territori Bizantini e Longobardi c'era lo Stato pontificio, formalmente guidato dal Papa cattolico ed in teoria salvaguardato dalle truppe dell'Imperatore del Sacro Romano Impero. Ruolo per cui, l'Imperatore, rivendicava la propria supremazia sull'intera penisola, senza avere però una strategia a tal fine e senza mettere in campo le necessarie risorse, per la realizzazione delle sue pretese.
Fu verso un tale scenario composito ed instabile, che i Normanni mossero nel 1017, prevalentemente come mercenari. I Normanni, iniziavano sin dall'infanzia ad esercitarsi nel cavalcare, nella caccia e nella sopravvivenza in ambienti naturali, divenendo poi, in gran maggioranza, soldati di ventura. La disciplina militare, l'equipaggiamento, e l'abilità nel combattere in schieramenti di uomini a cavallo, li resero valenti combattenti. Per di più, avendo messo a punto l'utilizzo della carica di cavalleria, ed avendo abbattuto in diverse occasioni chiunque gli si fosse opposto, si erano guadagnati una temibile reputazione. Benché, abbastanza contraddittoriamente, sembra che siano state la fede e la pietà cristiana a spingerli verso Sud.
Il dissidente Longobardo
Sulle pendici del Gargano, nell'Italia meridionale adriatica, c'è un Santuario dedicato a san Michele Arcangelo, molto venerato anche dai pellegrini normanni. Fu proprio in occasione di un pellegrinaggio di 40 cavalieri normanni presso il Santuario, nel 1016, che un capo Longobardo dissidente, di nome Melo, richiese il loro aiuto per riscattare la sua città, Bari, dal dominio dei Bizantini.
Come accadeva di sovente, la forte tassazione e la coscrizione di leva pretesa dai Bizantini nei territori sotto il loro dominio, furono causa di contesa anche con le signorie locali dei nobili longobardi, fino a generare vere e proprie rivolte. Così era accaduto nel 1009, allorquando Melo e suo cognato, espugnarono Bari ed alcune città vicine. Nel giro di pochi anni, però, i Bizantini riuscirono a riguadagnare le loro città e costrinsero Melo a fuggire verso Salerno, dove egli meditò le sue contromosse. Quindi, quando i pellegrini normanni lo incontrarono nel 1016, accordarono deferentemente il loro aiuto a Melo, dopo essere tornati a casa per organizzare i rinforzi. Così ebbe inizio la presenza normanna nel Meridione d'Italia.
Rainulfo e i primi Normanni in Italia
In una prima fase, nel 1018, Melo ed i Normanni suoi alleati persero contro la predominante forza dei Bizantini, tuttavia le medesime truppe bizantine di stanza in Italia sarebbero state indebolite con la dipartita dell'Imperatore Basilio II (r. 975-1025) avvenuta nel 1025, da cui iniziò un cinquantennio, circa, di Imperatori meno autorevoli. Alcuni capi Longobardi si resero conto delle difficoltà nella politica estera dell'Impero bizantino e ne approfittarono per assoldare i nuovi mercenari normanni. Ad esempio Pandolfo IV, Principe di Capua, provò a sfruttare la debolezza bizantina attaccando le vicine città di Napoli e Gaeta. In assenza di una forte reazione bizantina, Pandolfo ebbe l'opportunità di utilizzare gli alleati normanni, fino a costringere i suoi vicini alla sottomissione.
In questo primo periodo, tra i Normanni, emerse la figura di Rainulfo Drengot (m. 1045). Egli, sebbene inizialmente fosse stato alleato con Pandolfo, intorno al 1029, cambiò campo, guadagnandosi la riconoscenza di Sergio IV, Duca di Napoli. Come ricompensa Sergio, nel 1030, donò a Rainulfo la città di Aversa, unitamente ad una proposta di matrimonio con sua sorella. In un sol colpo, Rainulfo conquistò un proprio feudo e divenne cognato di un Duca, entrando a far parte dell'aristocrazia del Meridione d'Italia.
Aversa, situata tra Capua e Napoli, dava a Rainulfo la possibilità di spostare l'ago della bilancia su qualunque dei contendenti egli decidesse di sostenere. Dopo la morte della moglie, ad esempio, non ebbe alcuno scrupolo nello sposare, nel 1035, la nipote di Pandolfo, per stringere una nuova alleanza con i Capuani. Ma, nel 1038, a seguito della rappresaglia di Pandolfo contro la vicina Abbazia di Montecassino, che aveva causato il risentimento di tutti, Rainulfo decise nuovamente di cambiare campo e di sostenere Guaimario IV (r. 1027-1052), Principe di Salerno.
Guaimario e Rainulfo nel 1038, per fermare le scorrerie di Pandolfo, si unirono addirittura a Corrado II, Imperatore del Sacro Romano Impero (r. 1032-1039), ed in seguito a ciò, Rainulfo fu formalmente investito del titolo imperiale di Conte di Aversa, da Corrado medesimo. Grazie ad una perspicace azione politica e con un abile gioco di alleanze, appena 20 anni dopo il suo arrivo in Italia, Rainulfo riuscì a raggiungere una posizione di comando tra le forze militari del Meridione tirrenico.
Gli Altavilla
I successi di Rainulfo richiamarono inevitabilmente in Italia, altre giovani leve Normanne, in cerca di fama e di una posizione sociale. La famiglia degli Altavilla, ad esempio, deve le sue fortune italiane, alla prolificità del suo primo esponente ed alla modestia delle sue proprietà, che erano insufficienti a garantire una solida prospettiva di vita per ognuno dei suoi molti figli. Tancredi d'Altavilla (980-1041), nella sua vita, ebbe dodici figli da due differenti mogli e nel 1035, i tre figli maggiori, Guglielmo (1005-1046), Drogo (1010-1051) ed Umfredo (1010-1057) presero la strada verso Sud, per far parte del sempre più numeroso esercito di Rainulfo. Dopo pochi anni dal loro arrivo, i fratelli Altavilla decisero di unirsi alla spedizione organizzata nel 1038 dai Bizantini, per rivendicare la Sicilia. Nel corso di tale spedizione, durante un assedio, Guglielmo si distinse, disarcionando da cavallo l'Emiro di Siracusa. L'audace atto di spavalderia valse a Guglielmo l'appellativo di "Uomo di ferro", ed il riconoscimento, da parte dei suoi commilitoni, di un ruolo di guida. L'esercito formato dai Bizantini si sciolse dopo poco tempo, ma gli Altavilla, una volta ritornati in Italia, non faticarono a trovare altre occupazioni. Giunti a Salerno, infatti, seppero di un'insurrezione contro il governo bizantino, che era scoppiata in Puglia.
Ad un nobile Longobardo di nome Arduino, dal 1040, insieme ad un gruppo di Normanni, tra cui i fratelli Altavilla, fu affidato il controllo di Melfi, una fortezza strategica, situata su di un'altura a metà strada tra Salerno e Bari. Partendo da Melfi le schiere dei Longobardi e dei Normanni ebbero una serie di vittorie sui Bizantini. Infine, nel 1042, grazie alla sua abilità in combattimento e alla sua forte personalità, Gugliemo d'Altavilla fu scelto dai suoi commilitoni come capo dell'esercito Normanno in Puglia. Tuttavia, il diritto feudale, richiedeva che un titolo fosse formalmente concesso da un'autorità superiore, come un principe, un duca o un imperatore. Guaimario IV, Principe di Salerno, in risposta alla richiesta dello stesso Guglielmo, nel 1042, lo proclamò Conte di Puglia sotto Guaimario, stabilizzando un secondo caposaldo del potere normanno nel Meridione d'Italia.
I fatti che portarono a Civitate
I due poli del potere normanno, Melfi ed Aversa, erano stati rafforzati nel 1047 dall'investitura ufficiale di Enrico III, Imperatore del Sacro Romano Impero (r. 1046-1056). Tuttavia, non essendo avvezzi ad amministrare il potere, i Normanni si guadagnarono ben presto una cattiva fama, per via dei modi predatori e della mano pesante con cui trattavano le persone loro sottoposte, piuttosto che proteggerle, come avrebbero dovuto fare. Inoltre, molti nobili normanni si sparsero per tutta la Puglia, e benché Guglielmo, Drogo e Umfredo fossero, secondo quest'ordine, loro superiori, i fratelli Altavilla non riuscirono ad esercitare un controllo efficace sui loro connazionali, divenuti nel frattempo indipendenti. La situazione si complicò ulteriormente allorquando, nel 1051, il vicino Duca di Benevento, espressione dell'amministrazione pontificia, fu danneggiato dalle incursioni dei Normanni, che divennero, in tal modo, sgraditi a Papa Leone IX (r. 1049-1054).
Leone era preoccupato dall'espansione normanna, tanto da stringere alleanza con un nobile bizantino, signore di quei luoghi, per arginare quella che riteneva essere la maggior minaccia per il Meridione d'Italia. Ma, non avendo a disposizione un proprio esercito, il Papa si rivolse all'Imperatore Enrico III, affinché gli inviasse delle truppe. Tuttavia l'Imperatore rispose alla richiesta, concedendo solo un piccolo ed agguerrito distaccamento di spadaccini svevi. Leone dislocò quest'unità a Sud, raccogliendo forze volontarie lungo la strada, fino a mettere insieme un considerevole esercito. La strategia prevedeva di unire le forze con quelle dell'alleato bizantino, prima di affrontare in modo congiunto i Normanni.
I baroni normanni, da parte loro, erano ben coscienti di andare incontro ad una situazione difficile nel dover far fronte alle truppe pontificie, bizantine e pugliesi. Essendo in inferiorità numerica, compresero ben presto di dover marciare uniti. Quindi, il nuovo comandante di Aversa, Riccardo II, il Conte Umfredo di Puglia e Roberto il Guiscardo (il maggiore dei figli nati dal secondo matrimonio di Tancredi) si unirono, nel provare ad impedire che le truppe papali si ricongiungessero a quelle bizantine. Il 17 giugno 1053 i cavalieri normanni si trovarono a far fronte all'esercito pontificio appena fuori le mura della città di Civitate, nelle campagne dell'attuale San Paolo di Civitate (FG), non distante da San Severo e dal fiume Fortore.
Si aprirono delle trattative considerato che, gli alleati cercavano di prendere tempo, fin quando non fossero arrivate le truppe bizantine e, sull'altro fronte, i Normanni sembravano aver più di qualche remora nell'attaccare il rappresentante di Dio in terra. Tuttavia quest'ultimi erano ben consci che l'arrivo dei Bizantini avrebbe seriamente compromesso le loro possibilità di mantenere il campo. Le trattative si interruppero allorquando la divisione degli svevi, dallo schieramento dell'esercito papale, iniziò a prendersi gioco dei Normanni, sollecitando Leone a rifiutare le loro proposte di pace. La mattina seguente, la battaglia ebbe inizio.
La Battaglia
L'esercito pontificio contava oltre 6.000 uomini, tra cavalieri e fanteria. L'ala sinistra era formata dai numerosi alleati italiani, tra cui i Longobardi, mentre la divisione degli spadaccini svevi guidava la destra ed il centro, essendo disposta in una fila stretta. I Tedeschi rappresentavano la spina dorsale dello schieramento, poiché erano combattenti agguerriti, determinati a battersi fino alla morte, piuttosto che arrendersi. Guglielmo di Puglia, una fonte contemporanea di parte normanna, descrive i guerrieri svevi in modo dettagliato, con le seguenti parole:
I Tedeschi si accompagnavano a numerosi alleati, confidando, in modo imprudente, nel sostegno dei pavidi Longobardi...C'erano soldati fieri e di grande coraggio, ma senza alcuna abilità nell'equitazione, abituati a combattere più con la spada che con la lancia...Le loro spade, lunghe ed affilate, erano capaci di tagliare un uomo in due, dalla testa ai piedi! Essi preferivano scendere da cavallo e combattere sul terreno, fino alla morte, piuttosto che battere in ritirata. Il loro coraggio era tale da renderli molto più temibili nel corpo a corpo, di quanto non lo fossero essendo a cavallo.
Sull'altro fronte i Normanni, in palese inferiorità numerica, potevano contare soltanto su circa 3.000 cavalieri e 500 fanti, divisi in tre gruppi, di cui l'ala destra, con Riccardo d'Aversa ed i suoi cavalieri, si sarebbe scontrata con il Longobardi. Mentre il Conte Umfredo avrebbe dovuto condurre la fanteria e gli arcieri, posizionandosi nel centro per opporsi ai Tedeschi e Roberto, con un drappello di cavalieri, sarebbe rimasto sull'ala sinistra, tenendosi nelle retrovie, in modo da intervenire là dove fosse stato più necessario.
La battaglia ebbe inizio con una carica del reparto di Riccardo di Aversa, che sembrò disperdere al primo colpo i soldati longobardi ed italiani. Con l'ala sinistra ormai datasi alla fuga, i Tedeschi dovettero vedersela con la fanteria di Umfredo. Guglielmo di Puglia descrive così la scena:
Gli Svevi si schierarono contro le truppe del valoroso Umfredo che in un primo momento li attaccò dalla distanza con le frecce degli arcieri, ma fu a sua volta messo in difficoltà da quelle scagliate dai suoi nemici. In fine le parti arrivarono allo scontro all'arma bianca, infliggendo pesanti colpi gli uni agli altri; era possibile trovare corpi divisi in due dalla testa ai piedi, come anche cavallo e cavaliere stesi senza vita, l'uno a fianco all'altro. Quindi Roberto, vedendo suo fratello così crudelmente attaccato dai nemici, decise di dare il tutto per tutto, pur di non cedere nemmeno un centimetro di terreno ai suoi avversari, e si gettò con coraggio e prestanza nel mezzo dei ranghi avversari...fu disarcionato tre volte, e per tre volte riprese le forze, tornando sempre più agguerrito nella mischia.
I Tedeschi dimostrarono di essere strenui combattenti, e la battaglia stava per volgere a loro favore. Ciò che salvò la situazione per i Normanni fu l'azione disciplinata di Riccardo d'Aversa e dei suoi cavalieri, che una volta ritornati dall'inseguimento degli Italiani, fiaccarono i Tedeschi aprendo un terzo fronte contro di loro. Guglielmo ci riporta la fine della battaglia con le seguenti frasi:
Le gloriose truppe di Riccardo, ritornando vincitrici ed unendosi all'esercito, furono la principale causa della disfatta dei nemici. Molti uomini sfortunati caddero in molti modi, e di questi nessuno sopravvisse.
Ulteriori esiti della Battaglia
Papa Leone era stato umiliato, il suo esercito sconfitto, il contingente tedesco massacrato per un uomo. Con molta sorpresa, i Normanni vittoriosi non si comportarono come se avessero catturato un nemico, ma, al contrario, si dice che caddero in ginocchio implorando il perdono del Papa ed addirittura lo scortarono nel suo ritorno verso Benevento. Malgrado tutta la presunta devozione dei Normanni, Leone fu tenuto in quella città, in uno stato virtuale di prigionia, per quasi un anno. Gli fu permesso di portare avanti le incombenze della sua carica, tuttavia non fu lasciato libero fin quando non accordò formale conferma ai possedimenti dei Normanni, ovunque essi si fossero insediati.
Dopo circa nove mesi di prigionia, Leone si decise all'accoglimento delle loro richieste, riconoscendo le conquiste dei Normanni avvenute fino ad allora. Così, non rimanendo altri motivi per tenerlo rinchiuso a Benevento, gli fu permesso di partire alla volta di Roma il 12 marzo del 1054, e fu scortato nel suo viaggio di ritorno, fino a Capua, dal Conte Umfredo.
Cosa rappresenta Civitate nella storia del Meridione d'Italia
I Normanni avevano raggiunto la vittoria di maggior peso, dal loro approdo in Italia, 37 anni prima. Da ciò essi ottennero il formale riconoscimento, da parte pontificia, dei diritti sui territori conquistati fino ad allora, avendo inoltre dimostrato di essere forti abbastanza, da non poter essere più allontanati dalle terre da loro conquistate.
La Battaglia di Civitate rappresentò, senz'altro, un momento di svolta per i Normanni, dopo di cui la conquista del Meridione d'Italia e della Sicilia, poteva dirsi veramente iniziata. Roberto il Guiscardo assunse il comando all'indomani della morte di Umfredo, avvenuta nel 1057, ed iniziò ad erodere il residuo potere degli ultimi Longobardi, così come l'influenza dei Bizantini e del Papa. Appena due anni dopo, il nuovo Papa, Nicola II (r. 1059-1061) siglando il trattato di Melfi, avrebbe investito formalmente Roberto del Ducato di Puglia, Calabria e Sicilia. Nel seguente passo, la storica Susan Wise-Bauer esprime in sintesi il significato di questo trattato:
Ma il Trattato di Melfi fu molto di più. Con esso venne meno lo speciale regime giuridico dell'Imperatore Romano, giustificato dal fine di proteggere i successori di San Pietro. Siglando il Trattato, Nicola II eliminò il compito principale sul quale si fondava la sacralità dell'Impero. Tale compito passava dunque ai Normanni, che — così come previsto dal trattato — si impegnavano altresì, qualora fosse stato necessario, a difendere il Papa contro ogni futura pretesa dell'Imperatore.
Questo fu, probabilmente, il più rilevante risultato politico della Battaglia di Civitate, quello cioè di fare in modo che il Papato affidasse ai Normanni e non più all'Imperatore, l'onere di difendere i propri interessi in Italia, che in altri termini significava gestire l'equilibrio dei poteri in quell'area geografica. Dopo essere stato riconosciuto come legittimo sovrano dei suoi vasti possedimenti, Roberto poté dare inizio al processo di unificazione di tutto il Meridione d'Italia, che proseguito poi, durante il suo regno, e durante quello dei suoi eredi, tanto doveva segnare, nel bene e nel male, la storia di quelle terre, e sul quale la storiografia del Novecento si è molto interrogata.
Pur essendosi dimostrato sul campo un valido capo militare, considerate le continue sommosse causate dai baroni territoriali, alla fine Roberto istaurò un dominio blando sui vasti territori della Puglia e della Calabria. Oltre a ciò, lui ed il suo fratello più giovane, Ruggero I, diedero avvio alla riconquista della Sicilia. Roberto provò, poi, con qualche successo, ad invadere l'Impero bizantino. Grazie, anche, alle fondamenta poste dai suoi avi nella Battaglia di Civitate, il nipote di Roberto, Ruggero II (R.1105-1154) riuscì ad unire, dal 1130, gli ampi territori controllati dai Normanni in un unico regno, con capitale Palermo.