La battaglia del passo di Kasserine, combattuta tra il 18 e il 22 febbraio del 1943, si concluse con una vittoria delle forze dell'Asse, guidate dal feldmaresciallo Erwin Rommel (1891-1944), contro un esercito alleato combinato, formato da britannici, francesi e statunitensi. Si trattò dell'ultimo successo del famoso Afrikakorps, ma fu insignificante sul piano operativo: gli Alleati stavano radunando le loro forze e avrebbero scacciato definitivamente gli italo-tedeschi dal Nordafrica pochi mesi dopo.
L'operazione Torch
Gli Stati Uniti e l'Impero britannico erano desiderosi di aprire un secondo fronte in Europa contro Germania e Italia, ma prima dovevano assicurarsi il possesso del Nordafrica, che sarebbe servito da piattaforma per l'invasione dell'Italia. La guerra nel deserto, chiamata Western Desert Campaign nella storiografia anglosassone, era stata caratterizzata da varie oscillazioni del fronte fin dal 1940. Alla fine, questi cambi di fronte si arrestarono con il successo dell'8ª Armata britannica nella seconda battaglia di El Alamein, tra l'ottobre e il novembre del 1942. Pochi giorni dopo, venne messa in atto l'operazione Torch che, con una serie di massicce azioni anfibie, permise lo sbarco di tre eserciti alleati nel Marocco e nell'Algeria francesi. Dato che l'8ª Armata britannica, comandata dal generale Bernard Montgomery (1887-1976), avanzava da est e un altro esercito composta da statunitensi, britannici e francesi, guidato dal tenente generale Dwight D. Eisenhower (1890-1969) muoveva da ovest, le forze dell'Asse si ritrovarono schiacciate in una sacca nella Tunisia settentrionale. Non avendo rifornimenti sufficienti, il feldmaresciallo Erwin Rommel raccomandò al capo della Germania nazista, Adolf Hitler (1889-1945), il quale però in quel momento era totalmente assorbito dagli eventi del fronte russo, di abbandonare il Nordafrica. Il consiglio di Rommel fu ignorato, e gli venne ordinato di continuare la guerra nel deserto come meglio poteva. Nonostante ciò, arrivarono in suo aiuto 17.000 soldati, che sbarcarono a Tunisi nel corso di tutto il mese di novembre. Questi rinforzi, insieme a un potenziamento delle unità aeree tedesche nella regione, permisero all'Asse di difendere con successo le loro posizioni in Tunisia a Longstop Hill, tra il 22 e il 25 dicembre.
I progressi degli Alleati furono seriamente ostacolati dal cattivo tempo e dalla difficoltà di rifornire l'8ª Armata attraverso gli estesi campi minati di El Alamein. Montgomery, inoltre, era particolarmente prudente e, nel corso della sua lenta avanzata, si assicurava che il nemico non stesse tornando indietro con il suo esercito. In ogni caso, con l'inizio del 1943, la forza degli Alleati, grazie all'utilizzo dei numerosi porti che controllavano, cresceva continuamente in numero e potenza. Anche gli italo-tedeschi si erano rafforzati, ma in maniera assai inferiore rispetto ai loro avversari. La superiorità aeronavale degli Alleati metteva continuamente in pericolo i rifornimenti dell'Asse: nel gennaio del 1943, 31 delle 51 navi da trasporto dirette in Tunisia furono affondate o danneggiate; tra gennaio e febbraio, gli italo-tedeschi persero 200.000 tonnellate di materiali destinati a Tunisi.
Gli opposti schieramenti
Gli italo-tedeschi avevano due eserciti, uno a occidente, diretto dal feldmaresciallo Albert Kesselring (1885-1960) e guidato sul campo dal generale Hans-Jürgen von Arnim (1889-1962), e un altro a oriente, al comando di Rommel. Per impedire che gli Alleati creassero un cuneo tra questi due eserciti, i comandanti dell'Asse decisero di contrattaccare. Proprio quando statunitensi e britannici pensavano di essere già in possesso del Nordafrica, questo contrattacco sgonfiò l'ego di molti dei loro comandanti e costò la vita a migliaia di soldati inesperti.
I primi a sentire il peso dell'offensiva furono le divisioni francesi sulla dorsale orientale dell'Atlante. Queste truppe avevano armi inferiori rispetto a quelle delle forze di von Arnim. Dal 18 gennaio, le forze dell'Asse, dopo aver spazzate via i francesi, ottennero il controllo dei passi della dorsale orientale. Von Arnim continuò a spingere e prese Sidi Bou Zid e Sbeitla. Anche Rommel si lanciò all'offensiva, prendendo la città di Gafsa. All'improvviso, la campagna del Nordafrica si ravvivò. Nel giro di 48 ore, gli Alleati avevano perso l'iniziativa e, con essa, sei battaglioni. Il piano generale di Rommel era di schiacciare gli Alleati a ovest, dato che si erano indeboliti, prima di rivolgersi ancora una volta contro Montgomery a est, permettendo alle potenze dell'Asse di mantenere a sufficienza il Nordafrica per prevenire o almeno ritardare un'invasione dell'Italia.
Quando i comandanti anglo-americani realizzarono che gli italo-tedeschi stavano effettuando una grande offensiva, si ritirarono sulla più sicura dorsale occidentale dell'Atlante per protegger il fianco avevano precedentemente esposto. Come per la parte orientale, anche qui erano presenti diversi passi, e gli Alleati li occuparono per dissuadere il nemico. Per la protezione del passo di Kasserine venne designato il II Corpo d'armata statunitense, comandato dal tenente generale Lloyd Fredendall (1883-1963). Questa variegata unità era composta da elementi della 26ª Divisione di fanteria, dal 19° Reggimento genieri, dal 33° Battaglione di artiglieria campale e dall'85° Battaglione anticarro dell'esercito americano, nonché dal 67° Reggimento di artiglieria africana francese, composto principalmente da algerini. La maggior parte di questi soldati aveva poca o nessuna esperienza in battaglia, e il loro debutto nella Seconda guerra mondiale si rivelò un vero e proprio battesimo del fuoco. Arrivati sul passo il 18 febbraio, gli statunitensi si affrettarono ad approntare le loro difese creando campi minati e scavando delle trincee nelle quali cercarono di evitare la fase iniziale dell'imminente battaglia: un attacco aereo dei temuti bombardieri in picchiata Junkers Ju 87.
Rommel divise il suo esercito in due, lasciando la maggior parte degli italiani a difendere la sua retroguardia sulla linea del Mareth, nella Tunisia meridionale, contro l'8ª Armata in avvicinamento. Le truppe tedesche al comando del feldmaresciallo erano composte dagli agguerriti veterani del famoso Deutsches Afrikakorps (D.A.K.), nonché da elementi delle ben equipaggiate 10ª e 21ª Panzer-Division. L'esercito tedesco in Tunisia, infatti, aveva a disposizione un certo numero dei nuovi carri armati Panzer VI Tiger, dotati di tremendi cannoni da 88 mm e protetti da una corazza di 10 cm, che erano superiori ai carri alleati. Sfortunatamente per Rommel, far arrivare questi mezzi a Kasserine si rivelò problematico. Le forze aeree dell'Asse in Tunisia erano state significativamente irrobustite dai nuovi modelli di aerei da caccia Focke-Wulf Fw 190. Le forze aeree italo-tedesche, composte da 81 caccia e 28 bombardieri in picchiata, erano totalmente inadeguate per fronteggiare l'aviazione alleata, ma potevano causare seri danni se concentrate nello stesso momento su un determinato punto.
Alla fine, durante la battaglia del passo di Kasserine, le forze dell'Asse attaccarono in tre punti diversi, ma la mancanza di coordinazione si rivelò cruciale. Rommel aveva pianificato di sfondare le linee alleate in un solo punto, cioè a Kasserine, in modo tale da schiacciare l'esercito nemico con una veloce manovra a sorpresa impedendogli di ritirarsi e di poter continuare a combattere in un futuro prossimo. Tuttavia, il feldmaresciallo verrà ostacolato dagli stessi ordini che aveva ricevuto: l'alto comando italiano che, di fatto, era costituito dai diretti superiori di Rommel, gli ordinò di attaccare simultaneamente sia il passo di Kasserine che quello di Sufes (odierna Sbiba). Questo portò l'esercito dell'Asse a dividersi, impedendo alle Panzer-Division di supportarsi a vicenda. Rommel non ebbe altra scelta che provare a raggiungere entrambi gli obiettivi.
Lo sfondamento di Rommel
I tedeschi attaccarono l'entrata del passo di Kasserine il 19 febbraio. Rommel, come sempre, guidava i suoi uomini dal fronte. Uno dei suoi aiutanti di campo, il capitano Alfred-Ingemar Berndt, ricorda così l'effetto della presenza del feldmaresciallo:
Era magnifico vedere la gioia delle sue truppe, durante gli ultimi giorni, mentre passava tra le colonne di soldati. Gli occhi della truppa si illuminarono quando, nel bel mezzo dell'attacco, apparve in mezzo alla 10ª Panzer-Division, tra i ricognitori che guidavano la fanteria e i carri più avanzati, e si accovacciò nel fango alla vecchia maniera, sotto il fuoco dell'artiglieria, insieme ai suoi uomini. Quale altro comandante ha una tale fiducia da cui attingere?
(Clark, 218)
Il combattimento fu a senso unico. Il primo errore strategico degli Alleati fu quello di presumere che la zona fosse troppo montuosa per utilizzare efficacemente i carri armati, e così vennero colti di sorpresa. Ai comandanti americani sfuggì l'importanza del soprannome che Rommel si era guadagnato, cioè quello di "volpe del deserto". I britannici dall'altra parte della Tunisia, data loro dura esperienza, avrebbero potuto avvertire i loro alleati di aspettarsi l'inaspettato da lui. Il secondo errore fu quello di aver piazzato troppo a nord la forza principale di riserva, guidata dal tenente generale Kenneth Anderson: ciò fu dovuto a una cattiva interpretazione delle informazioni che lo spionaggio militare avevano carpito al nemico. Il terzo errore fu quello di aver ordinato alle truppe che presidiavano il passo di Kasserine di difendere la posizione a tutti i costi. Un quarto errore fu quello di aver reso la struttura di comando alleata troppo complicata, tanto da pretendere che pochi uomini sul terreno sapessero cosa fare e dove.
Gli equipaggi dei carri armati tedeschi erano molto esperti, ed erano in grado di sparare molto più rapidamente rispetto ai loro avversari alle prime armi. Heinz Schmidt descrive così l'incontro della sua unità con i carri Sherman statunitensi:
Oltre il campo minato la strada cominciava a risalire. Stavo oltrepassando una curva stretta quando avvistai e riconobbi un carro Sherman davanti a me, che si trovava nel mio raggio d'attacco. Strappai il volante dalle mani del guidatore e il veicolo fece una brusca deviazione verso la sponda sinistra della strada. Gli uomini che maneggiavano il cannone proprio dietro di me furono veloci a prendere l'iniziativa. In pochi secondi balzarono dai loro sedili, prepararono il cannone, lo girarono e spararono il loro primo colpo, mentre gli americani, ancora immobili, puntavano ancora una collinetta alla nostra destra. Il nostro primo proiettile colpì lo Sherman di fianco in un angolo, incendiandolo.
(Strawson, 218-19)
Mentre la notte scendeva sul primo giorno della battaglia, gli Alleati, che cercavano ancora di tenere il passo di Kasserine, ricevettero rinforzi provvidenziali dal 6° Reggimento di fanteria corazzata statunitense e da una composita forza britannica in arrivo da Thala, che aveva in dotazione dei pezzi d'artiglieria. Durante il secondo giorno, l'area fu colpita da forti piogge, che impedirono i movimenti sia a terra che in aria di entrambe le parti. Nel frattempo, al passo di Sufes, la resistenza anglo-americana si rivelò molto più agguerrita di quanto avesse previsto Rommel: i campi minati e le unità dotate di cannoni anticarro si dimostrarono degli ostacoli formidabili per tutta la giornata del 19 febbraio. Pertanto, se Rommel voleva ottenere una vittoria, avrebbe dovuto farlo presso il passo di Kasserine.
Il 20 febbraio, il feldmaresciallo spinse indietro gli Alleati di 80 chilometri proprio attraverso il suddetto passo. I comandanti dell'Asse però erano molto meno affiatati dei loro carristi: von Arnim si rifiutò di inviare una Panzer-Division per sostenere la spinta di Rommel, e mandò solo un gruppo da combattimento che però non aveva in dotazione i nuovi Panzer Tiger. Quel che è peggio, l'alto comando italiano adesso voleva attaccare le riserve alleate a Le Kef. L'idea di per sé era buona, ma avrebbe avuto effetti solo a breve termine, dato che gli Alleati potevano facilmente rifornire le loro forze da altri punti. Rommel definì la decisione di andare a Le Kef come "un'incredibile e spaventoso esempio di miopia" (Dear, 637).
Come risultato dei nuovi ordini, alla fine del 20 febbraio le forze dell'Asse erano divise in due tronconi: uno che si dirigeva verso Tébessa e l'altro verso Thala. Ora però, i comandanti alleati erano pienamente coscienti della direzione dell'attacco di Rommel e vennero inviati cospicui rinforzi nei punti giusti. L'imponenza delle risorse in mano agli Alleati divenne chiara a Rommel, che realizzò il fatto che, nel lungo periodo, non potesse esserci speranza di vittoria: "di fatto, le loro armi anticarro e i loro mezzi corazzati erano così tanti che avevamo poche speranze di successo nelle successive battaglie di movimento" (Allen Butler, 433).
Il 22 febbraio, dopo aver realizzato che il terreno e le condizioni meteo non erano favorevoli ai suoi mezzi corazzati ed essendo venuto a conoscenza che Montgomery era finalmente arrivato in prossimità della linea del Mareth, Rommel sospese l'attacco. Con l'aumento dei rinforzi, aumentava anche la resistenza degli Alleati; inoltre, l'efficacia della superiorità aerea avversaria, l'accuratezza sorprendente dell'artiglieria anglo-americana, la robusta resistenza al passo di Sufes e il fallimento di von Arnim e della sua 5ª Panzerarmee nel supportare pienamente il suo piano, convinsero Rommel a mettere fine alla battaglia mentre era in vantaggio. Rommel diede la colpa del mancato successo totale a von Arnim, lamentandosi della "goffa capacità di comando da parte di alcuni ufficiali tedeschi" (Boatner, 464). Il 23 febbraio, le forze dell'Asse iniziarono a ritirarsi dai passi di montagna.
Conseguenze
Rommel ottenne un'altra vittoria, ma l'esito della battaglia del passo di Kasserine non ebbe conseguenze significative sul corso della campagna del Nordafrica: il passo venne ripreso il 24 febbraio. Nel corso degli scontri, circa 6.000 statunitensi persero la vita o vennero feriti; le forze dell'Asse ebbero perdite simili, ma non erano in grado di rimpiazzarle così facilmente come i loro avversari. Vennero fatti prigionieri 3.000 soldati americani, ma questo risultato giovò solo alla propaganda.
Gli Alleati persero la battaglia, ma appresero delle lezioni di inestimabile valore: l'ufficiale a capo dello spionaggio fu rimpiazzato e vennero migliorati i metodi di addestramento. La sconfitta fu un duro colpo, in particolare per gli inesperti soldati statunitensi. Forse, la conseguenza più importante di tutte fu che Eisenhower rimpiazzò Fredendall con il generale George Patton (1885-1945), complessivamente più capace, sicuro e aggressivo del suo predecessore, e più deciso a lasciare la sua impronta sulla guerra. Patton sintetizzò la sua filosofia, basata sull'essere sempre all'attacco, con queste parole: "tienili per il naso e prendili a calci nel sedere" (Dear, 677). Nel frattempo, le forze dell'Asse continuarono a essere svantaggiate dallo scarso supporto che ricevevano dai loro comandi. Come notò mestamente il generale Walter Nehring, "le nostre operazioni militari in Nordafrica erano secondarie per Hitler, che era concentrato principalmente nella dura guerra contro i russi. Alla fine, le forze tedesche in Nordafrica furono semplicemente sacrificate da Hitler" (Holmes, 261).
L'8ª Armata britannica di Montgomery attaccò la linea del Mareth nel corso del mese di marzo. Le forze dell'Asse ora erano comandate dal maresciallo Giovanni Messe (1883-1968), dato che Rommel era stato promosso a comandante in capo del Gruppo d'armate Africa, il cosiddetto Heeresgruppe Afrika. La struttura di comando alleata fu fortemente migliorata dalla nomina dell'esperto generale Harold Alexander (1891-1961), di fatto il secondo di Eisenhower e comandante sul campo delle forze alleate in Nordafrica. Gli Alleati ottennero una vittoria presso Médenine (6 marzo 1943) e Rommel, in pessime condizioni di salute, tornò in Germania nel marzo del 1943: non avrebbe più combattuto in Africa. Nel maggio del 1943 le forze dell'Asse, non avendo sufficienti risorse e materiali a causa di uno stringente blocco navale, furono scacciate dal Nordafrica. Alla fine, la vittoria degli Alleati in Nordafrica permise loro di assicurarsi una piattaforma da cui avrebbero potuto attaccare l'Europa occupata dall'Asse passando per l'Italia, che il primo ministro britannico Winston Churchill (1874-1965) aveva definito "in ventre molle d'Europa" (Holland, 430). La Seconda guerra mondiale entrava in una nuova fase e nuovi teatri di conflitto stavano per aprirsi.