Il ruolo e lo status delle donne nel mondo romano e in generale nella maggior parte delle società antiche, è stato spesso oscurato dai pregiudizi di antichi scrittori e studiosi di sesso maschile del XIX-XX secolo, una situazione a cui si è posto rimedio soltanto di recente grazie a moderni studi che hanno cercato di valutare in modo più oggettivo lo status, i diritti, i doveri e la rappresentazione delle donne nelle arti e nella vita quotidiana; il tutto partendo da materiale appartenente a fonti quasi esclusivamente maschili e riguardante un mondo romano dominato da uomini.
Donne e mitologia
A differenza di altre culture antiche, come quella greca, che diedero vita al mito della creazione in cui la donna era vista come una creatura secondaria rispetto all'uomo e, nello specifico, assumeva la forma di Pandora, portatrice di infelicità e vizi, i Romani avevano un approccio più neutrale in cui l'umanità, non l'uomo in particolare, era stata creata dagli dei dalla terra e dall'acqua. Nelle Metamorfosi di Ovidio, ad esempio, non viene specificato se il primo essere umano fosse un uomo o una donna. Almeno dal punto di vista fisico, di conseguenza, uomini e donne non venivano considerati appartenenti a specie diverse come nel mondo greco, visione spesso ribadita nei trattati di medicina romani.
Uno dei primi e più famosi episodi della mitologia romana, che rivela molto dell'atteggiamento nei confronti delle donne, è il Ratto delle Sabine. Secondo il mito, i primi coloni di Roma rapirono le donne delle tribù vicine, prendendole come mogli. Una delle ragioni di un simile atto potrebbe essere il desiderio di formare alleanze locali attraverso legami di sangue. Le tribù, naturalmente, cercarono di reclamare le proprie donne e dichiararono lo stato di guerra. Le donne rapite, tuttavia, con la guida di Ersilia, moglie di Romolo, cercarono di intervenire per evitare uno spargimento di sangue. La storia sottolinea l'importante ruolo volto dalle donne nel collegare le famiglie nella società romana, ovvero la famiglia di nascita e poi la famiglia creata dopo il matrimonio.
Donne e famiglia
In molti casi, le donne romane erano strettamente identificate con il ruolo definito dalla società. Il dovere principale era prendersi cura della casa e delle famiglia (pietas familiae), in particolare di generare figli legittimi, una conseguenza del quale era un matrimonio precoce (a volte anche prima della pubertà, ma in genere intorno ai 20 anni), al fine di garantire che la donna non avesse precedenti sessuali che potessero mettere in imbarazzo il futuro marito. La famiglia romana era dominata dagli uomini, in genere la figura maschile più anziana (paterfamilias). Le donne erano subordinate e ciò si rifletteva nella prassi romana di assegnazione dei nomi. I cittadini maschi avevano tre nomi: praenomen, nomen e cognomen, mentre tutte le donne della stessa famiglia venivano chiamate con la versione femminile del nome di famiglia. Una donna sposata poteva mantenere il nome da nubile o essere chiamata con il nome del marito (ad esempio Terenzia di Cicerone). All'interno della famiglia le donne si occupavano della casa, degli schiavi e producevano manufatti, mentre le donne della classe superiore potevano anche studiare materie accademiche come la letteratura e la filosofia.
La forte dipendenza delle donne dai parenti maschi si rifletteva anche in materie quali diritto e finanza; le donne venivano, infatti, legalmente obbligate a nominare un membro della famiglia di sesso maschile che agisse nel loro interesse (Tutela mulierum perpetua). Le uniche eccezioni alla disposizione valeva per le donne con tre figli (a partire dal 17 a.C. circa), le liberte con quattro figli e le Vestali. Tale regola venne pensata per mantenere la proprietà, soprattutto ereditata, nella famiglia controllata da uomini, anche se la prole sia di sesso maschile e femminile secondo il diritto romano godeva degli stessi diritti. In concreto, tuttavia, le famiglie potrebbero non aver sempre seguito tale legge alla lettera, come accadde per molte altre questioni, esistono prove di donne che amministravano gli affari finanziari, possedevano imprese, gestivano proprietà ecc., in particolare nei casi in cui il capofamiglia era deceduto durante una spedizione militare.
Un'altra spiegazione, ancora più sciovinista, per l'esistenza della regola che consentiva alle donne di ereditare e possedere, ma non di controllare la proprietà, era che le donne venivano ritenute incapaci di gestire da sole tali affari. La tesi che le donne avessero una capacità di giudizio limitata (infirmitas consilii) venne esposta, ad esempio, da Cicerone. Il diritto romano, tuttavia, prevedeva almeno che i beni della moglie fossero tenuti separati da quelli del marito (ad eccezione della dote) e che potessero essere recuperati in caso di divorzio. La separazione per divorzio era facilmente ottenibile da entrambe le parti secondo il diritto romano, tuttavia, i figli della coppia appartenevano legalmente al padre o al parente maschio più prossimo se questi non era più in vita. Nell'ultimo impero, soprattutto in seguito alla legislazione imposta da Costantino, il divorzio divenne molto più difficile, soprattutto per la parte femminile.
Le donne nella società in generale
Le donne romane avevano un ruolo molto limitato nella vita pubblica. Non potevano partecipare, parlare o votare nelle assemblee politiche e non potevano ricoprire alcuna carica politica. Per quanto sia vero che alcune donne compagne di uomini potenti potevano influenzare gli affari pubblici attraverso i mariti, si trattava, tuttavia, solo di eccezioni. È interessante notare come le donne che possiedono un certo potere politico vengono rappresentate nella letteratura romana spesso come motivate da emozioni negative quali rancore e gelosia; inoltre, le azioni che compiono vengono di solito usate per mettere in cattiva luce i propri parenti maschi. Le donne romane di classe inferiore conducevano una vita pubblica perché dovevano lavorare per vivere. I lavori tipici di tali donne comprendevano attività agricole, mercati, artigianato, fare da levatrici e balie.
La religione romana era dominata dagli uomini, nonostante ciò vi erano delle eccezioni in cui le donne assumevano un ruolo più pubblico, come le sacerdotesse di Iside (nel periodo imperiale) e le Vestali. Queste ultime, le Vestali, prestavano servizio per 30 anni nel culto di Vesta e partecipavano a molte cerimonie religiose, eseguendo anche riti sacrificali, ruolo tipicamente riservato ai sacerdoti maschi. Esistevano anche diverse festività femminili come la Bona Dea e alcuni culti cittadini, ad esempio quello di Cerere. Le donne potevano svolgere incarichi anche nella religione giudaica e cristiana, tuttavia, ancora una volta, erano gli uomini a discutere le implicazioni di tale ruolo.
Le altre donne
Le romane potevano essere distinte (non sempre con assoluta chiarezza) in donne che erano considerate rispettabili e donne che non lo erano. Molti uomini romani assumevano una posizione un po' ipocrita, secondo cui le proprie compagne dovevano essere onorevoli e caste custodi della moralità, ma allo stesso tempo erano più che disposti ad avvalersi dei servizi di amanti e prostitute.
Per ricordare a tutti tale distinzione, i vestiti divennero uno strumento utile. Le donne rispettabili indossavano un abito lungo o stola, un mantello (palla) e avevano dei nastri nei capelli (vittae), al contrario le prostitute indossavano una toga. Se una donna rispettabile veniva giudicata colpevole di adulterio, una delle punizioni era di indossare la toga. È interessante notare come le donne fossero considerate appartenenti all'uno o all'altro gruppo (non esisteva una terza categoria), ma al contempo si riteneva necessario identificarle con segni visivi per evitare che si creasse una confusione imbarazzante. La distinzione tra i due gruppi non era solo morale, in quanto le prostitute e le altre donne di classe inferiore avevano ancora meno diritti delle donne di status sociale più elevato. Le prostitute e le cameriere, ad esempio, non potevano denunciare per stupro e nel caso delle schiave veniva considerato solo un danno per il padrone.
Donne romane celebri
Alcune donne romane si elevarono al di sopra del ruolo limitato di custodi della famiglia e della casa imposto dalla società e raggiunsero posizioni di reale influenza. Ortensia fu una delle prime. Nel 42 a.C. tenne un discorso nel Foro di Roma divenuto famoso, sfidando la proposta del triumvirato di tassare le ricchezze delle donne di Roma per finanziare la guerra contro gli assassini di Cesare. Altre donne che agitarono le acque pubbliche furono Cornelia (madre dei fratelli Gracchi), Servilia (sorellastra di Catone e madre di Bruto) e Fulvia (moglie di Marco Antonio). Con l'arrivo degli imperatori, madri, mogli, sorelle e persino figlie potevano esercitare una notevole influenza politica e anche i grandi progetti edilizi venivano spesso sponsorizzati e dedicati a tali donne. Una delle più celebri mogli di un imperatore fu Giulia Domna (170-217), moglie di Settimio Severo e madre di Caracalla. Iulia ricevette il titolo di Augusta e fu una nota mecenate nel campo delle arti, in particolare della letteratura e della filosofia. Nella sua vita movimentata fu anche sacerdotessa in Siria, viaggiò in Britannia e, quando Caracalla divenne imperatore, le fu attribuito il titolo di "madre del senato e della patria". Nella tarda antichità si ricorda la più famosa filosofa donna, Ipazia di Alessandria, la quale scrisse numerosi trattati e divenne capo della scuola neoplatonica della città egiziana, ma venne brutalmente assassinata da una folla cristiana nel 415.
Conclusione
La legge e le norme sociali romane erano, quindi, pesantemente orientate a favore degli uomini; ciononostante, la piena applicazione pratica di leggi e consuetudini in casi specifici è spesso difficile da determinare, soprattutto perché quasi tutto il materiale considerato come fonte proviene da una prospettiva maschile, per di più d'élite. Il fatto che le donne fossero considerate inferiori in termini legali sembra chiaro, ma ci sono anche innumerevoli testi, iscrizioni e persino ritratti idealizzati che mostravano l'apprezzamento, l'ammirazione e persino la soggezione dell'uomo romano nei confronti delle donne e del ruolo svolto nella vita quotidiana. I maschi romani non consideravano le donne alla loro altezza, ma nemmeno le odiavano. Forse l'atteggiamento ambivalente degli uomini romani nei confronti delle loro donne è meglio riassunto dalle parole di Metello Numidico, citato in un discorso di Augusto quando l'imperatore si rivolse all'assemblea: "La natura ha fatto in modo che non possiamo vivere con loro in modo particolarmente tranquillo, non possiamo vivere senza di loro".