Un colombario è una camera sotterranea che i romani usavano per conservare le ceneri dei morti. Durante il I e II secolo d.C., i colombari che fiancheggiavano le strade consolari che portavano fuori Roma erano centinaia, mentre ora ne rimangono solo una ventina. Organizzati con cura, con soffitti ordinatamente stuccati, pareti affrescate e pavimenti a mosaico, i colombari non devono essere confusi con le catacombe, ossia lunghe gallerie sotterranee con rozze nicchie, scavate nella viva roccia di tufo e utilizzate per l'inumazione. Dal momento che il colombario rappresenta un ambiente autonomo, risulta ideale per valutare i riti funerari e le usanze commemorative di individui dell'antica Roma che scelsero di condividere l'eventuale cremazione, la conservazione e quindi la memoria dei loro resti terreni.
L'uso diffuso dei colombari è un fenomeno specifico della città di Roma, anche se piccoli colombari si possono trovare anche in Etruria e Campania. La loro quantitativamente massiccia costruzione sembra associata alle riforme di Augusto rispetto alle leggi arcaiche di Roma sulla sepoltura. La chiusura del cimitero esquilino con i suoi fetidi puticuli (e la successiva bonifica di quel terreno per ricavarne giardini pubblici), richiese un nuovo metodo di sistemazione dei morti. I colombari rappresentano così un mezzo economicamente conveniente per soddisfare i bisogni di una popolazione di schiavi e liberti in in continua crescita.
I Circoli dei Colombari
I colombari ebbero vari sostenitori, a partire dall'imperatore, dai membri della famiglia imperiale o dalle famiglie senatorie. Molti, invece, furono finanziati da gruppi autonomi di schiavi o liberti, membri delle coorti urbane apparentemente senza alcun legame tra loro. Tuttavia, questi singoli individui unirono le loro risorse in gruppo per formare un'associazione funeraria: un caso esemplare di questo fenomeno è rappresentato dal colombario dei Trentasei Soci sulla Via Latina, oggi non più esistente. Tali associazioni si riunivano regolarmente come aggregazioni con interessi sociali e di commemorazione, assicurando ad ogni membro defunto un'adeguata cremazione e la precisa disposizione delle ceneri in uno spazio designato.
La cremazione vera e propria avveniva presso una vicina ustrina, o pira funeraria (una gigantesca ustrina, delle dimensioni di un campo da calcio, si trovava al quinto miliario della Via Appia.). Se il defunto era stato abbastanza ricco, il suo corpo sarebbe stato avvolto in un sudario di amianto in modo che le ossa cremate non si mescolassero con il legno bruciato della pira funeraria (il Vaticano ha ancora oggi una testimonianza di un sudario simile). Quando le ceneri si erano raffreddate, le ossa incenerite venivano accuratamente raccolte e poste in un'urna cineraria, che sarebbe stata poi collocata nell'apposita nicchia. I resti bruciati del letto e della pira, invece, venivano posti in un apposito vaso di terracotta e seppelliti sotto il pavimento del colombario (il Museo Capitolino possiede un vaso che conteneva i frammenti carbonizzati di amorini d'avorio, probabilmente posti a decorazione di un letto funebre).
In pratica, i membri di queste associazioni prenotavano e acquistavano lo spazio in un colombario: queste nicchie venivano quindi considerate come le loro rispettive case per l'eternità (il concetto di un'urna cineraria come casa è evidente da molte urne in marmo che assumono la forma di case, con tanto di tetti di tegole, finestre e porte). Le riunioni dell'associazione si dovevano occupare di organizzare, manutenere, regolamentare e persino decorare i colombaria, tanto che non sembra azzardato il parallelo con le odierne associazioni condominiali, che discutono appunto della manutenzione delle residenze dei loro membri. Anche strutturalmente, i colombari sono essenzialmente condomini per i defunti: le nicchie a mezzaluna (loculi) - dotate di giare (ollae) incastonate nella struttura e perciò invisibili che contengono le ceneri - sono disposte fila per fila su ogni parete, come piccoli appartamenti che si affacciano su un cortile centrale.
Nella loro funzione di associazioni funerarie, i colombari rappresentano un esempio di spiccata eguaglianza sociale: i membri, per lo più di origine servile, eleggono degli ufficiali (detti decuriones), con il compito di presiedere alle riunioni dell'associazione. Molti circoli dei colombari, infatti, erano organizzati come veri e propri governi: oltre ai decurioni, i membri eleggevano "ministri" incaricati di funzioni specifiche, come disporre e pagare la decorazione e la manutenzione dei pavimenti a mosaico, degli affreschi parietali, delle scale, dei giardini, dei pergolati, delle meridiane e dei pozzi. I colombari meglio arredati avevano anche cucine adiacenti. Insomma, si può dire che questi circoli funerari sembrano essere stati un raro esempio di istituzione democratica all'interno di una città, Roma, altrimenti autocratica, in quanto i soci votavano su questioni come l'adesione, i regolamenti, l'assegnazione e la distribuzione delle ollae e, in particolare, la decorazione delle loro future case per l'eternità.
Le festività commemorative, come i Parentalia, Rosalia e Violacia, erano fondamentali per le antiche associazioni funebri, la cui funzione più importante era garantire che i membri defunti fossero adeguatamente commemorati nei giorni di festa dei morti. In queste occasioni i membri delle associazioni si riunivano per decorare le nicchie con fiori, per accendere lucerne e per versare libagioni di miele e vino. Le libagioni venivano versate direttamente sulle ossa incenerite sollevando i coperchi delle urne, oppure, nei colombari più piccoli dove tale accesso non era disponibile, versandole attraverso tubi di argilla, che sporgevano dalle urne incassate sotto il pavimento. In alcuni colombari con i loculi sigillati le offerte venivano invece lasciate in dei piatti all'esterno e venivano accese lampade ad olio in ricordo dei defunti. In tali occasioni commemorative, i membri tenevano banchetti nei triclinia adiacenti, oppure festeggiavano sotto i graticci dei giardini che erano annessi agli ambienti che ospitavano le ceneri (l'affresco di un colombario in Via Portuense raffigura un sorta di picnic di questo tipo, con amici e parenti che giocano con una palla). Tali celebrazioni avevano quindi un duplice scopo, sia d'intrattenimento e svago per i membri viventi, sia per la commemorazione di quelli già defunti.
Dimensioni e forma dei Columbaria
I colombari furono costruiti in dimensioni e forme diverse. Alcuni erano giganteschi, come l'ormai scomparso colombario degli schiavi di Livia, conservato solo nelle incisioni di XVIII secolo (i suoi epitafi ora rivestono le pareti del Museo Capitolino di Roma), e il colombario degli schiavi di Augusto, in gran parte in rovina. Entrambi contenevano spazio per 3000 urne. Queste gigantesche strutture furono costruite per lo smaltimento dei resti di "famiglie" di schiavi e liberti imperiali. Altri, come i tre colombari alla Vigna Codini, sopravvissuti sino ad oggi e ciascuno contenente 600-700 ollae, conservano le ceneri di schiavi e liberti sia della famiglia imperiale sia, in numero uguale, individui apparentemente slegati dall'imperatore e senza rapporti evidenti nemmeno tra loro. I defunti di questi colombari, infatti, sono con ogni probabilità compagnie di stranieri.
Molti colombari erano piuttosto piccoli. Un esempio è l'ipogeo di Pomponio Hylas, proprietà di un circolo di associati indipendenti, come dimostrano i nomi presenti sulle iscrizioni. Questo colombario è costituito da una camera splendidamente affrescata che poteva contenere i resti cremati di circa 150-300 persone. Molti di questi piccoli colombari risalenti al I secolo appartenevano a singole famiglie e ai loro dipendenti, o ai membri di collegia, come il Collegium Scabellorum (il collegio di coloro che scandivano il ritmo a teatro usando lo scabellum, una sorta di strumento a percussione indossato come sandalo) o il Collegium Praeconum (il collegio degli araldi). Il II secolo fornisce esempi di colombari ancora più piccoli, contenenti da due a quattro loculi: un esempio di questa tipologia di colombari sono quelli, minuscoli e sparsi disordinatamente in grandi cimiteri, che oggi si possono vedere al Vaticano.
Alcuni colombari conservano testimonianze di una compravendita di loculi, acquistati sia come investimento sia per uso personale. Ne è un esempio il colombario scoperto nel 1840 d.C. in Vigna Codini, che attesta un massiccio commercio di urne cinerarie: i testi degli epitafi su lastre marmoree registrano infatti intere transazioni commerciali, indicando il nome non solo dell'attuale proprietario - ossia la persona commemorata - ma anche di tutti i precedenti possessori delle ollae. Che una documentazione così dettagliata dei nomi di acquirenti e venditori rifletta una qualche legge funeraria dimenticata? L'iscrizione dimostra evidentemente che un simile commercio di nicchie funerarie non era limitato a questo colombario, in cui si registrano una dozzina di compravendite che coinvolgono sia uomini sia donne. Tra questi, è interessante il caso di Lucio Pinario, forse un "commerciante di olle usate", visto che sembra abbia venduto almeno quattro loculi in questo colombario. La rivendita di recipienti cinerari, ovviamente liberati dai resti dei precedenti defunti, è suggerita da iscrizioni di altri colombari ormai scomparsi, in cui si pubblicizzan la vendita di ollae virgines, ovvero urne di terracotta mai utilizzate prima.
Le modalità di costruzione dei colombari sono tante e diverse tra loro. Quelli molto ampi avevano scale che conducevano ai loggiati superiori e mensole marmoree a sostegno di balconi in legno, in modo da facilitare la visione, il versamento di libagioni o l'accensione di lampade funerarie da parte dei parenti e degli amici del defunto. I colombari più grandi avevano spesso pilastri centrali quadrati o rotondi, che svolgevano una doppia funzione: sostenere il soffitto e fornire ulteriore spazio ai loculi. Molte di queste camere erano semisotterranee e illuminate da pozzi di luce, aperti a livello del suolo; lunghe scale scendevano nei loro oscuri recessi. Altri ancora, come i colombari al parco della Via Latina o il colombario di Villa Wolkonsky (residenza dell'ambasciatore britannico), erano a più piani, con una sala da pranzo in alto e nicchie e ceneri nei piani medio e inferiore.
Epitafi e Iscrizioni dei Colombari
A prima vista, gli epitafi dei colombari possono sembrare semplici, ma molti rivelano una certa eccentricità, a dimostrazione degli sforzi dei singoli di elaborare commemorazioni originali e distintive all'interno di strutture che, a causa della loro grandezza, dovevano sembrare macrocosmi impersonali. Gli epitafi non solo presentano informazioni come il sesso, l'età, lo stato sociale e la professione, ma indicano anche il diritto di proprietà di loculi contigui o anche di intere file verticali o orizzontali. Altre lapidi commemorative specificano chi ha diritto alla sepoltura, ed escludono dall'occupazione parenti, schiavi o eredi, o perché avevano altrove i propri loculi, o perché avevano offeso il proprietario, come si vede in un epitafio che concede a tutti il diritto di sepoltura, eccetto che a “Secundina, quella liberta ingrata”.
Le iscrizioni del colombario dimostrano costantemente l'importanza per un individuo di conservare la propria identità. Benché alcuni epitafii riportino solamente la professione e il nome, sia del defunto che del donatore del loculus, altri epitafi, come quelli dell'elegante colombario rivestito di marmo scoperto nel 1852 alla Vigna Codini, mostrano una certa preoccupazione per lo status sociale: le nicchie conservano sì resti di schiavi, o addirittura di schiavi di schiavi (servi vicarii) o schiavi di liberti, ma comunque si sta parlando di schiavi della crème della società romana. Esemplare è l'epitafio della figlia di tre anni della schiava della padrona degli armadi degli schiavi di Agrippina, la madre dell'imperatore Nerone; il padre del bambino era schiavo di Narciso, il famoso liberto e segretario di Stato dell'imperatore Claudio.
Altri epitaffi dichiarano i talenti o le abilità speciali del defunto. Un esempio è il buffone di corte di Tiberio, Mutus-Argutus: egli ricorda di aver fatto ridere l'austero imperatore imitando i discorsi di famosi avvocati che discutevano cause. Tuttavia, gli sforzi per mantenere l'individualità sono esibiti anche in modi più semplici, come l'ingrandimento della dimensione dei caratteri di un'iscrizione, in modo che sia più evidente tra tutti gli altri epitafi in un colombario.
Nei colombari più grandi, la quarta fila dal basso - appena sopra l'altezza degli occhi - o la sezione sotto l'arco della scala sembrano essere state le posizioni preferite per la commemorazione, almeno secondo quando testimoniano le iscrizioni. Alcuni epitafi pre-acquistati forniscono anche indicazioni specifiche su come trovare un particolare loculo, anche se in un colombario il problema dell'accessibilità sembra essere stato risolto da qualcuno che ha inciso una grande "X" nel muro stuccato per segnare il punto designato ad una nicchia. Tali accorgimenti dimostrano gli sforzi compiuti dagli individui per distinguersi in quelli che comunque rimanevano in effetti vasti magazzini per i morti, nonostante i tentativi di razionalizzare la morte attraverso componimenti poetici o ornamenti imitanti la domesticità.
Affreschi e Stucchi dei Colombari
A differenza di un cimitero all'aperto, progettato in modo che il passante si fermi a leggere un epitafio, un colombario era essenzialmente un luogo privato non destinato alla visione pubblica. Solo i membri dell'associazione, che possono essere o meno parenti o amici, avrebbero visto questi epitaffi, peraltro solo debolmente, alla luce tremolante della lampada a olio. Nonostante tutto il loro isolamento, tuttavia, i colombari romani esibiscono una ricca diversità di forme e decorazioni, come se fossero destinati a essere apprezzati da tutti. Si spiega così la presenza di affreschi finemente eseguiti, con gioiose rappresentazioni di uccelli, conigli, strumenti musicali, pigmei del Nilo, bestie e figure simili a marionette danzanti (come quelle del Colombario di Scribonio Menofilo). Queste raffinate espressioni artistiche sembrano essere la regola piuttosto che l'eccezione. Il colombario di Menofilo, scoperto nel 1983 sul terreno di Villa Doria Pamphili, inoltre, permette di valutare l'attendibilità e l'accuratezza della testimonianza di un testimone oculare del XVII secolo di un vicino colombario sulla Via Aurelia, ora scomparso (simili testimonianze devono sempre essere considerate con un certo grado di cautela). Il testimone oculare è Pietro Santo Bartoli, antiquario e incisore, che raffigura un pavimento musivo di un colombario, sul quale danzano uomini discinti con copricapi conici che reggono trombette. Queste figure sono simili negli attributi agli uomini che saltellano sulle pareti del vicino colombario di Menofilo, che Bartoli non avrebbe potuto vedere poiché rimase sepolto dal I secolo d.C. fino alla fine del XX secolo d.C.
Gli elementi pittorici e l'iconografia degli affreschi e degli stucchi dei colombari romani mantengono la finzione di un ambiente domestico, imitando i temi presenti nelle pitture parietali delle case di epoca augustea. Non rappresentano quindi solo animali, uccelli e danzatori, ma raffigurano anche paesaggi sacrali e idilliaci, maschere teatrali e rappresentazioni di commedie e tragedie. Soggetti simili raffigurati su urne di marmo, alcune delle quali sono anch'esse scolpite a forma di case, rappresentano ulteriori indicazioni dell'antico concetto dei colombari come dimore per i morti.
Saccheggio, Distruzione e Trasformazione dei Colombari
Lo studio dei colombari comporta anche un'indagine sulla storia del saccheggio di monumenti antichi, così come della battaglia tra archeologia e progresso urbano durante tutto il XIX e l'inizio del XX secolo. Infatti, anche se numerosi colombari sono venuti alla luce nei dintorni di Roma sin dal XV secolo d.C., la maggior parte è stata demolita indiscriminatamente non appena è stata scoperta. L'artista Piranesi fornisce la prova del sistematico smantellamento degli edifici nelle sue incisioni del XVIII secolo. Nei due secoli successivi si continua, fin quasi a completare, l'inesorabile smantellamento dei colombari. Gli archeologi registravano ogni dettaglio, in una corsa costante per raccogliere informazioni prima che le squadre di costruzione edilizia gettassero fondamenta di cemento, soprattutto durante i grandi progetti di ampliamento urbano a Roma nel XIX secolo. Ma i più insidiosi demolitori della maggior parte dei colombari che sono riusciti a sopravvivere a queste demolizioni sono stati il tempo e l'incuria.
Pochi sono gli edifici ad aver avuto miglior sorte: tra questi, i tre giganteschi colombari della Vigna Codini, l'ipogeo intimo di Pomponio Hyla e il colombario semidiroccato della tomba degli Scipioni (tutti tra la via Latina e la via Appia), quelli dei Doria Pamphili sul Gianicolo, tra cui quello di Scribonio Menofilo, il cui stato di conservazione è particolarmente notevole, e l'insolito agglomerato di colombari del II secolo sotto il parcheggio privato del Vaticano.
Altri ancora hanno subito bizzarre metamorfosi: il colombario della famiglia di schiavi di Augusto sulla via Appia era diventato un'enoteca quando lo vide Piranesi e ancora oggi all'interno si trova una suggestiva trattoria, dove si può pranzare tra i morti (considerando l'usanza antica di tenere banchetti nei colombari, i morti avrebbero probabilmente approvato senza riserve.). Un gruppetto di colombari sulla Via Portuense è ormai diventato il nucleo centrale del Museo Drugstore, che raggruppa intorno a colombari di II secolo d.C. un supermercato, un bar, una discoteca e addirittura una concessionaria di auto usate: per quanto possa sembrare stravagante, il Museo Drugstore espone meticolosamente i colombaria e rappresenta un esperimento illuminato del Professor Fiorenzo Catalli della Soprintendenza Archeologica di Roma nella conservazione dei monumenti antichi, nato con l'idea di costruire intorno, e non sopra, ai resti archeologici.
Relativamente pochi epitafi di colombari rimangono in situ. Loro attestazioni, tuttavia, sopravvivono nelle raffigurazioni di XVII-XVIII secolo, come quelle di Bartoli e Piranesi, oltre che nei rapporti di scavo del XIX-XX secolo e nelle migliaia di iscrizioni registrate nel volume VI.2 del Corpus delle Iscrizioni Latine (CIL). L'analisi di questa grande quantità di reperti permette di studiare da una prospettiva particolare la vita e la morte degli "ultimi" nella società dell'era giulio-claudia, i cui nomi e la cui stessa esistenza erano sconosciuti allo storico Tacito o al biografo Svetonio. Attraverso i loro epitafi, tuttavia, questi abitanti dei colombari di Roma - uomini, donne e bambini invisibili nel cuore dell'Impero Romano - si materializzano momentaneamente per noi come eterni abitanti delle Dimore della Morte.